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Edith Stein, filosofa della conversione 

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Vincent Aucante - pubblicato il 04/08/22
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Fu dopo una lunga maturazione che l’intellettuale ebrea Edith Stein si convertì al cattolicesimo. Autore del libro “Édith Stein. La grâce devant soi”, Vincent Arcante racconta la “filosofia della conversione” della futura santa Teresa Benedetta della Croce.

Il nostro tempo ha più che mai bisogno di conversione – che sia la conversione della Chiesa, a cui papa Francesco ci invita, o la conversione all’amore degli uomini. La vita e l’opera di Edith Stein possono essere per ognuno, cristiano o no, un modello di conversione. 

La conversione marca un passaggio, lascia un segno nella storia di una persona. Essa apre il cuore e lo conduce a incontrare Dio. La persona può convertirsi riscoprendo le proprie radici, la fede della propria famiglia o della propria comunità, o cambiando religione. Edith Stein ha vissuto entrambi i tipi di conversione: di origine giudaica ma divenuta agnostica, scelse il cattolicesimo e pochi anni dopo entrò al Carmelo. Lì riscoprì la profondità del giudaismo, nel quale crebbero Maria, Gesù e gli apostoli. 

«È la verità» 

La conversione di Edith Stein, indicatissima dai biografi, tracima nel mito. Siamo in Germania, nel 1921. Si era vista rifiutare l’accesso alla cattedra universitaria (l’insegnamento accademico era ancora proibito alle donne). In quel momento di grave crisi economica trovò rifugio presso l’amico Hedwig Conrad-Martius. La loro giornata si dedicava al lavoro agricolo, la sera era per la filosofia. Fu in quel contesto che intervenne la lettura decisiva della vita di santa Teresa d’Avila, autrice che Edith Stein frequentava già da qualche tempo. 

Una sera che era rimasta sola, riaprì la sua Vita, che all’indomani la persuader a fare l’ultimo passo verso la Chiesa: di buon mattino, dopo aver letto l’opera tutta d’un fiato, la restituì all’amico dicendogli soltanto “questa è la verità”. Poco dopo, chiese il battesimo. L’evento giunse in realtà a coronamento di una maturazione protrattasi per diversi anni a loro volta puntellati di incontri, di esperienze, di letture, e abitata dalla ricerca della verità. La scelta della Chiesa non era all’epoca più facile di quanto non sia oggi. Edith Stein dovette superare il disprezzo degli intellettuali contemporanei per la fede, nonché l’incomprensione della sua famiglia. 

La discreta azione della grazia 

La conversione pone la questione della filiazione, che si snoda su più livelli. Riguardo alla legge, il figlio ha un padre e una madre che si assumono le relative responsabilità. Dal punto di vista affettivo, i legami si tessono fin dai primi anni, tra genitori e figli (nel bene e nel male). Poi l’adulto si trova a confrontarsi con altri legami comunitari, si trova a fronteggiare scelte che non dipendono più dalla sua famiglia, e allora può riedere il suo patrimonio culturale e religioso. Altri incontri, altre maniere di vivere, altre credenze gli aprono orizzonti che possono offrire nuovi orientamenti religiosi. È spesso la grazia divina ad agire con discrezione, e a preparare il cuore al futuro convertito. Edith Stein lo nota en passant: «Dal punto di vista di Dio, il caso non esiste». A partire da questo sono possibili numerosi cambiamenti, che riguardano tutte le dimensioni della vita sociale e interiore, dunque anche la vita religiosa. 

Uno strappo 

La conversione investe le molteplici dimensioni della persona: essa può procedere nel foro interno, ma poiché l’individuo condivide anche i valori di diverse comunità queste si troveranno toccate dalla svolta di uno dei loro membri. In una famiglia, quando uno dei figli si converte la sua scelta ha necessariamente delle ripercussioni sugli altri (genitori e fratelli); e poiché non hanno partecipato all’evoluzione interiore del convertito, che resta segreta, sono indotti a rivedere le relazioni affettive strette nell’arco di lunghi anni. 

Per questo la conversione religiosa di una sola persona può scatenare sofferenze in seno alla propria famiglia, perché gli altri si sentiranno come di una parte dei legami affettivi che avevano costruito. Può aprirsi una crepa tra il convertito e i suoi cari, un vero strappo nel caso di Edith Stein, la cui famiglia, giudea, avrebbe disapprovato la di lei scelta della Chiesa cattolica. 

Vale lo stesso per il posto del convertito nella società, in seno a una cultura che non necessariamente è sulla lunghezza d’onda delle scelte del convertito. L’ascesa del nazismo in Germania, negli anni ’30, avrebbe trascinato con sé un antisemitismo radicale che avrebbe perseguitato Edith Stein fino a farla morire ad Auschwitz. I cristiani del nostro tempo sono pronti a soffrire per la Chiesa? 

Una duplice appartenenza 

Per apprendere la conversione, bisogna tenere insieme due termini che normalmente sono separati: 

    e ciò dando all’uno e all’altro uguale importanza. 

    L’opera e la vita di Edith Stein assumono in tal senso un rilievo esemplare, perché non soltanto la filosofa ha sempre rivendicato la propria duplice appartenenza al giudaismo e al cattolicesimo, ma ha per di più teorizzato un’antropologia che lasci un posto alla possibilità della conversione e al contempo una filosofia della comunità e della società particolarmente ricca. Le sue riflessioni sulla persona rivelano infatti più dimensioni, che si intrecciano senza confondersi: la vita carnale, la vita razionale e il cuore. È in questo luogo segreto che abita “il nucleo dell’anima”, nel quale si realizza la conversione. 

    Viviamo sotto l’influsso delle filiazioni famigliari e culturali. Abbiamo anche una vita interiore nella quale Dio ci chiama. Ma è sempre la grazia divina che opera in ogni conversione, e il convertito è sempre libero di rispondere alla chiamata di Dio. 

    Édith Stein, la grâce devant soi : philosophie de la conversion, collana « Le Carmel vivant », aprile 2019, 152 pp.

    [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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