Dall’arroganza si può “guarire”: con un metodo che ci “insegna” Gesù, sostiene il cardinale Matteo Zuppi. Lo scrive nel libro “Guarire le malattie del cuore“ (Edizioni San Paolo).
Umiliare l’altro
L’arroganza usa i doni per compiacersi e per umiliare l’altro. Non si manifesta solo con la rozzezza, con il disprezzo. Non è solo il penoso «lei non sa chi sono io», molto diffuso e non solo per la presunta classe dirigente! Arroganza è la gloria del mondo: esibizione del proprio potere, del denaro, di una condizione raggiunta.
Egocentrismo e arroganza
Arroganza è anche l’elegante freddezza con la quale non ci pieghiamo alle necessità degli altri. Arroganza è il piccolo/grande egocentrismo che ci rende di fatto offensivi, anche oltre le nostre intenzioni, per cui conto io e conta quello che penso indipendentemente da te.
Aggressivo verso il prossimo
In realtà l’arroganza, sostiene il cardinale Zuppi, si manifesta soprattutto nel non avere mitezza e sensibilità per il prossimo. Basta l’assenza di queste! L’arrogante difficilmente se ne rende conto. Anzi! Egli ha una considerazione di sé tale che giudica tutto e tutti a partire da quello che lui pensa e sente!
L’arroganza dei discepoli
Anche i discepoli di Gesù usano arroganza. Non a caso si rivela proprio con i bambini, cioè i «piccoli», coloro che non hanno difese e non possono vivere da soli. Venivano condotti da Gesù e i discepoli li allontanano. Possiamo pensare che lo fecero con tratto sbrigativo, con fastidio, probabilmente pensando che era inutile perdere tempo con chi, come loro, non ha nulla da dare in contraccambio. Discepoli paurosi verso i forti, arroganti verso i deboli.
Il giogo di Gesù
Gesù, dice il Vangelo, s’indignò e spiega con le parole e con i gesti qual è la sua scelta. Il giogo che Gesù propone, davvero dolce e leggero, è quello della mitezza e dell’umiltà di cuore, ad iniziare verso coloro che più di tutti devono essere amati proprio perché più deboli. Gesù ha un «riguardo» particolare proprio per loro. Li predilige.
Un esercizio del cuore
Diceva don Lorenzo Milani: «Non c’è peggiore ingiustizia che tagliare la torta in parti uguali tra chi non è uguale». La mitezza richiede un esercizio costante del cuore. Non è affatto debolezza, ma forza di amore. Permette all’altro di farsi volere bene; lo libera dall’idea che non si deve chiedere, dalla vergogna di importunare, dal sentire la propria debolezza una condanna e dal credere che l’esibizione di sé e della propria condizione sia la vera forza! L’arroganza, invece, allontana il prossimo, produce in lui sofferenza e umiliazione oppure genera altra arroganza!
I bambini nel regno dei cieli: cosa significa?
Gesù spiega che se non accogliamo il regno come i bambini non entreremo nel regno dei cieli. Vuol dire lasciarsi aiutare, chiedere, imparare dall’unico Maestro, da quel Padre che non lascia orfani. Chi crediamo di essere tanto da diventare arroganti? I bambini non sopportano la divisione: litigano, certo, ma si sanno ritrovare pienamente e soffrono per l’assenza di qualcuno. Hanno paura di restare soli; cercano l’amicizia e pensano che questa non finisca mai.
La scelta di San Francesco
Francesco di Assisi scelse i minimi, più piccoli, e trovò la vera letizia; visse con tanti fratelli; con gli occhi di un bambino guardava con stupore il creato per contemplare la gloria di Dio; si rivolse anche al lupo con amore forte e semplice e così lo liberò dalla violenza.
La tenerezza di Dio
Perché l’amore mite e disarmato (il vero contrario dell’arroganza che rende sterili perché umilia invece di umiliarsi!) trasforma il mondo e il cuore degli uomini, libera dalla solitudine e fa sperimentare fin da oggi la tenerezza di Dio. L’arrogante, conclude il cardinale Zuppi, non lo sa, non lo ricorda, non lo vuole ammettere, o non ne è più capace: siamo tutti e tanto piccoli, bisognosi di amore.
Una proposta non sentimentale
La mitezza, al contrario, rende importante l’altro e lo fa sentire amato. «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli». Non è un’affermazione sentimentale. È una proposta.