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Ortodossia: la guerra rinforza l’ambiguità delle relazioni Chiese/Stati 

11/20/2015 Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per i Rapporti Esterni della Chiesa ortodossa russa, parla all'incontro delle due camere del Parlamento russo. Ramil Sitdikov/Sputnik

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Philippe de Saint-Germain - pubblicato il 28/06/22
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Intervista con Patrick Gazagne, fine conoscitore delle culture dell'Europa orientale e delle loro (in)distinte identità religiose.

Già funzionario con numerosi soggiorni nei Balcani, in Russia e in altri paesi dell’ex-URSS all’attivo, Patrick Gazagne è un buon conoscitore del mondo dell’ortodossia. Che significa la dichiarazione di indipendenza della Chiesa ucraina? Come evolvono le chiese ortodosse a partire dall’inizio della guerra in Ucraina? Ha risposto alle nostre domande. 

Philippe de Saint-Germain: La Chiesa ortodossa ucraina ha annunciato, il 27 maggio 2022, di prendere la propria “piena indipendenza” e “autonomia” riguardo al patriarcato di Mosca, a causa della guerra in Ucraina. Uno statuto di indipendenza e di autonomia le era già stato conferito fin dal 1990, dal patriarca Alessio II. Che c’è di nuovo? 

Patrick Gazagne: Dal 1990, la Chiesa ortodossa ucraina aveva effettivamente uno statuto di larga autonomia, ma in seno al patriarcato di Mosca. Questa dipendenza canonica si traduceva in particolare col fatto di dover far approvare dal Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Russia la scelta del proprio primate, a differenza delle Chiese autocefale che, come dice il loro nome, designano da sé stesse il loro capo. La decisione del 27 maggio è anzitutto una scelta di sopravvivenza, poiché la prospettiva della proibizione di una chiesa dipendente dal patriarcato di Mosca diventava sempre più probabile, col prolungarsi dei bombardamenti russi in Ucraina. 

Il metropolita Onofrio di Kiev non aveva altra scelta che di agire pubblicamente, conformemente alle aspettative delle autorità ucraine, rivendicando la “piena indipendenza” della sua Chiesa in rapporto al patriarcato di Mosca. Per contro, ha evitato di utilizzare il termine “autocefalia”, perché una chiesa non può conferirsi da sé questa prerogativa, sotto pena di diventare scismatica. 

Posto questo, menzionando il patriarca Kirill, durante le celebrazioni liturgiche, sullo stesso piano dei primati di altre Chiese autocefale, il metropolita Onofrio si colloca de facto nella posizione di una Chiesa autocefala. Il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha del resto rilevato il carattere non canonico delle modifiche allo statuto della Chiesa ortodossa ucraina. Al contempo, il patriarcato ha sufficientemente denunciato le pressioni esercitate dalle autorità di Kiev sulla Chiesa ortodossa ucraina per comprendere il contesto nel quale sono state prese le decisioni annunciate il 27 maggio. 

In ultimo, a questo stadio non sembrava che la Chiesa del metropolita Onofrio subisse pressioni perché si riavvicinasse alla Chiesa ortodossa di Ucraina del metropolita Epifanio, la quale ha ricevuto la propria autocefalia da Costantinopoli poco più di tre anni fa, e che ancora oggi non è riconosciuta dalla maggioranza delle Chiese ortodosse autocefale. 

Ph. d.S.-G.: Questa decisione della Chiesa ortodossa di Ucraina, decisa in maniera collegiale, ha una portata ecclesiologica in seno all’ortodossia? 

P. G.: Anche se si tratta anzitutto di una decisione politica dettata dalla situazione bellica, la decisione della Chiesa ortodossa ucraina del 27 maggio ha evidentemente una importante portata ecclesiologica. Anche se l’avvenire canonico di questa chiesa permane incerto, è chiaro che è stato fatto un passo importante verso l’autocefalia, e che si fa fatica a immaginare un ritorno indietro, a meno che Mosca non arrivi a un controllo militare e politico di tutto il territorio ucraino. A tal proposito bisogna notare che dopo la decisione del 27 maggio le diocesi della Chiesa ortodossa ucraina collocate in territori controllati dall’esercito russo hanno deciso di collegarsi direttamente al patriarcato di Mosca. Quanto ai primati delle altre Chiese ortodosse autocefale, è probabile che si tengano in una posizione mediana, mantenendo il legame canonico con la Chiesa ortodossa ucraina senza riconoscere il metropolita Onofrio quale loro “pari”. 

Ph. d.S.-G.: Il 7 giugno abbiamo appreso che il metropolita Hilarion di Volokolamsk lasciava le sue funzioni di presidente del dipartimento degli Affari ecclesiastici esteri del patriarcato di Mosca per prendere le redini della diocesi di Budapest, in Ungheria. Questo trasferimento è segno di una crisi nel patriarcato di Mosca? 

P. G.: Questa decisione è indubbiamente politica, essa pure, ma a questo stadio non possiamo che formulare ipotesi. Il metropolita Hilarion stesso ha dichiarato di ignorare molti dettagli riguardanti le misure prese nei suoi riguardi: a quanto gli sarebbe stato detto, esse sarebbero state «esatte dalla situazione socio-politica». Forse la decisione è stata presa direttamente dal patriarca Kirill oppure da lui su “consiglio” delle autorità politiche russe, le quali magari avevano giudicato che il metropolita Hilarion fosse al di sotto di ciò che ci si attendeva dalla Chiesa ortodossa russa come sostegno alla politica del presidente Putin in Ucraina. Ciò conferma che oggi la Chiesa ortodossa russa, al di là della libertà di culto, è completamente imbavagliata nelle sue espressioni. Ciò riguarda del resto il complesso della società russa, come illustra la decisione del rabbino-capo di Mosca di fuggire la russia per non dover sostenere pubblicamente la guerra in Ucraina – come da lui si esigeva. 

Il metropolita Hilarion, per quanto possa condividere una certa visione imperiale della Russia e della Chiesa ortodossa russa, è anzitutto un teologo, un intellettuale e un compositore di talento. A dispetto di un discorso pubblico spesso anti-occidentale e francamente ostile alla Chiesa greco-cattolica di Ucraina, il metropolita Hilarion ha intrattenuto relazioni corpose con diversi prelati della Chiesa cattolica, a cominciare da papa Benedetto XVI, per il quale aveva scritto la prefazione all’edizione russa delle suo Gesù di Nazaret, o con il cardinale Schönborn, l’arcivescovo di Vienna. Egli è anzi considerato filo-cattolico da una parte importante della Chiesa ortodossa di Russia, e questo non deve deporre a suo favore. 

Ph. d.S.-G.: Qual è il clima in seno alla Chiesa ortodossa russa? 

P. G.: È certo che la guerra condotta dalla Russia in Ucraina, nonché le dichiarazioni del patriarca Kirill, hanno conseguenze gravi per la Chiesa ortodossa russa. Dal di fuori, essa è sempre più isolata: alcune Chiese ortodosse, pure se tradizionalmente vicine al patriarcato di Mosca (come quelle di Polonia, di Serbia o di Bulgaria), hanno preso le loro distanze rispetto alla posizione della gerarchia ortodossa russa. All’interno l’aria è pesante: dopo una presa di posizione di diverse decine di preti e di diaconi, che hanno firmato una petizione ostile all’operazione militare, all’inizio della guerra, regna il silenzio più totale. Sembrano essere tornati i vecchi riflessi che portavano in epoca sovietica al timore di esprimere un’opinione dissidente. Per atavico sentimento anti-occidentale e sotto l’effetto di una propaganda ufficiale onnipresente, numerosi chierici e fedeli ortodossi sostengono la guerra in Ucraina. Quanti sono forse meglio informati si pongono domande oppure non aderiscono alla versione ufficiale, e al momento non hanno altra scelta che tacere o lasciare il Paese. 

La guerra in Ucraina rivela in maniera brutale l’ambiguità delle relazioni tra la Chiesa ortodossa e lo Stato in Russia. Nella sua storia, la Chiesa ortodossa russa non ha praticamente mai conosciuto una vera indipendenza in rapporto al potere politico. Sotto la pressione e la persecuzione, la Chiesa si è dovuta sottomettere. Ciò detto, anche incontestabilmente esistono divergenze di analisi fra lo Stato e la Chiesa in Russia, soprattutto sulle società occidentali, ciò non significa che ci sia una completa identità di vedute. È in questo contesto di completo sconvolgimento della libertà di espressione, che tocca tutti gli strati della società russa, che bisogna considerare anche le dichiarazioni del patriarca russo, che effettivamente in Occidente risultano inascoltabili. 

Ph. d.S.-G.: Il carattere nazionale delle Chiese ortodosse non contiene in sé stesso una sorta di incontrollabile effetto centrifugo? Come l’ortodossia può mantenere la propria unità? 

P. G.: Effettivamente ci troviamo in una nuova ondata di disintegrazione dell’Ortodossia, in seguito alla scomparsa dell’Unione sovietica e della Jugoslavia. Un fenomeno simile aveva avuto luogo alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo con lo sgretolamento dell’Impero ottomano, quando la creazione di Stati nazionali indipendenti aveva comportato la costituzione di chiese autocefale in ciascuno di questi Stati. Poche settimane fa, la Chiesa ortodossa della Macedonia del Nord, considerata scismatica da tutte le Chiese ortodosse dopo aver proclamato unilateralmente la propria autocefalia nel 1967, è stata riconosciuta canonicamente dal patriarcato di Belgrado e da quello di Costantinopoli. Non si può escludere che questo esempio incoraggi le autorità politiche del Montenegro ad accentuare le loro pressioni perché sia creata una Chiesa ortodossa montenegrina che non dipenda più dalla Chiesa ortodossa di Serbia. 

È un fatto che, in un certo numero di paesi ortodossi, la confusione tra identità nazionale e identità religiosa sia un fattore di divisione, e la presente situazione ce ne mostra il caso. Conviene però rilevare che sul piano della fede, della teologia, della liturgia o delle questioni morali, l’Ortodossia resta largamente unita. Il punto di frizione è di natura squisitamente ecclesiologica, con particolare riguardo con la questione della natura del primato della sede di Costantinopoli. Il che confluisce nella più vasta questione del rapporto fra primato e sinodalità, che del resto è al cuore del dialogo ecumenico fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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