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La scienza può provare l’esistenza di Dio? Sentiamo un gesuita scienziato

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Valdemar De Vaux - pubblicato il 23/06/22
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Dall’autunno 2021 il libro Dieu, la science, les preuves, di Olivier Bonnassies e Michel-Yves Bolloré riscontra un grande successo di pubblico. Poiché le relazioni tra scienze e fede restano un argomento complesso, il gesuita François Euvé pubblica con Étienne Klein La Science, l’épreuve de Dieu (Salvator). Abbiamo intervistato il religioso.

Nelle nostre società, la scienza ha assunto un ruolo importante, talvolta a detrimento della fede. Rilanciata dall’enciclica Fides et ratio del 1998, la questione dei rapporti tra questi due modi del conoscere non cessa di suscitare interrogativi. Olivier Bonnassies e Michel-Yves Bolloré hanno pubblicato nell’ottobre 2021 Dieu, la science, les preuves (ed. G. Trédaniel), con cui i lettori vengono invitati a osservare come l’attuale ricerca scientifica lasci essa stessa la porta aperta all’esistenza di Dio. 

Per aggiungere la propria pietra all’edificio, il sacerdote gesuita François Euvé, scienziato e capo-redattore della rivista Études, pubblica con le edizioni Salvator La Science, l’épreuve de Dieu. Non per dire il contrario, ma per permettere di pensare la complessità della cosa. Per ricordare che il “Dio di Gesù Cristo” non è un meccanico o una cosa da provare, ma una persona con cui entrare in relazione, che impegna più della ragione umana: la libertà. L’abbiamo intervistato. 

Valdemar de Vaux: Lei ha letto il libro Dieu, la science, les preuves, uscito nell’ottobre 2021. Perché ha voluto nutrire il dibattito scrivendo una specie di risposta? 

François Euvé s.J.: È un dibattito molto importante, come attesta il successo del libro. Molte persone si interrogano sull’esistenza di Dio, anche quelle che non si riconoscono credenti. I successi della scienza sono impressionanti. Al contempo, quel che nel grande pubblico si conosce delle “nuove” teorie (ad esempio la relatività o la fisica quantistica) è profondamente intrigante. Gli scienziati stessi, almeno quelli che lavorano sui modelli dell’universo, non esitano a porre questioni di ordine metafisico: che cos’è la materia? l’universo ha un inizio assoluto? e via dicendo… Mi è sembrato importante presentare una sorta di stato dell’arte della questione, una specie di inventario di grandi argomenti integrato da un apporto storico. È un campo in cui lavoro da molto tempo, ma non avevo mai avuto l’occasione di fare una piccola sintesi non tecnica della mia riflessione in merito. La pubblicazione di Dieu, la science, les preuves è stata l’accensione della miccia. 

V. d.V.: Il titolo della sua opera evoca “la prova” che la scienza rappresenta per Dio: che cosa intende? 

F. E. s.J.: È piuttosto comune pensare che la scienza metta Dio alla prova. La scienza, di fatto, pretende di spiegare i fenomeni naturali senza ricorrere a cause soprannaturali. Resta ovviamente dell’insperato. Nel tessuto sempre più serrato delle spiegazioni del mondo, restano spazi bianchi, questioni aperte, in particolare il passaggio dalla materia inerte a quella vivente. Nulla però dice a priori che tali spazi e questioni resteranno aperte e bianchi: tutto ciò rimanda alla difficile questione dell’azione divina nel mondo, almeno nel mondo fisico. 

V. d.V.: Il problema è forse semantico: che parola utilizzare per parlare degli indizi sulla propria esistenza che il Creatore ha lasciato nella creazione? 

F. E. s.J.: Meglio essere precisi sui termini. La parola “prova” è spesso compresa nel senso forte di “dimostrazione rigorosa che non lascia alcun margine di interpretazione”. Ammettere la conclusione di un teorema matematico non impegna la libertà. La si può impiegare in un senso più debole, però io preferisco parlare di “segni”, come nel Vangelo secondo Giovanni. Sono, se vogliamo, degli “indizi”. Che un evento inatteso mi sproni a rendere grazie a Dio non mi pone alcuna difficoltà, anche se altre persone possono vedervi il risultato del caso. Il segno suppone l’impegno di una libertà. 

V. d.V.: A partire dalle più recenti scoperte scientifiche, si può ancora essere materialisti? 

F. E. s.J.: Lo si dovrebbe chiedere a quanti si dicono “materialisti”… Si devono distinguere almeno due accezioni del termine: una filosofica e una pratica. La prima posizione mi pone meno difficoltà, benché io non la condivida. Nessuna persona sensata pretende che la scienza abbia spiegato tutto; un’anima scientifica, però, non può invocare troppo alla svelta istanze esplicative preternaturali o soprannaturali. La seconda attitudine potrebbe assomigliare alle prime pagine del libro della Sapienza (Sap 2,2): poiché siamo nati dal caso, tutto è permesso perché la vita è priva di senso. Questo invece pone una questione. 

V. d.V.: Provare l’esistenza di Dio non significa, paradossalmente, negarlo? 

F. E. s.J.: In prospettiva cristiana, Dio non è una “cosa”, un oggetto che esista come esiste la scrivania a cui sto seduto, ma una persona con cui sono in relazione vitale. Il “conoscere” non è del medesimo ordine del conoscere un elettrone, un cromosoma o una galassia: ciò suppone un modello teorico e una verifica sperimentale oggettiva. Provare l’esistenza dell’atomo è una cosa, ma non si può impiegare la medesima procedura per il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. La relazione che stringo con lui riguarda la libertà. 

V. d.V.: Che differenza c’è fra un dio “grande orologiaio” e il Dio di Gesù Cristo? 

F. E. s.J.: Il “grande orologiaio” rimanda alla poesia di Voltaire: si fonda sull’idea che il mondo sia un orologio, ossia una costruzione meccanica. Il modello è la visione di Newton e dei fondatori della scienza moderna, come Cartesio. Si sa che Pascal era critico verso questo Dio «dei filosofi e dei sapienti». Il Dio che si rivela in Gesù Cristo presenta un altro “profilo”, se possiamo dire così. La sua potenza si manifesta nel suo contrario, come san Paolo ha vigorosamente sottolineato. Questo ci mostra l’azione divina creatrice in modo ben diverso che secondo il modello della fabbricazione di una macchina. 

V. d.V.: Insomma che cosa può dire la scienza su Dio e sulla fede? 

F. E. s.J.: Mi piace molto la formula che papa Giovanni Paolo II utilizzò nel 1998 in una sua lettera a p. George Coyne: «La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione». Evidentemente, la formula è negativa: la scienza ha un ruolo critico. Più positivamente, l’attività scientifica valorizza la ragione umana, la capacità umana di conoscere il mondo e di agire su di esso. 

V. d.V.: E inversamente, che cosa può dire la fede sulla scienza? 

F. E. s.J.: È ciò che segue dalla formula precedente: «La religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti». Anche qui, da principio essa è critica nei riguardi della tentazione di ogni discorso razionale di ripiegarsi su sé stesso. 

Storicamente, il cristianesimo ha giocato un ruolo non trascurabile nella formazione della scienza moderna. Non è solo perché il mondo è un kosmos e non un chaos, come riconoscono i filosofi greci: è soprattutto, a mio avviso, l’idea che l’universo, avendo un principio, ha una storia. Altrimenti detto, non è tanto la scienza in quanto teoria bensì in quanto ricerca, a rilanciare permanentemente la sfida, perché il mondo è un mistero inesauribile. 

V. d.V.: In fondo, il problema non è spirituale: abbiamo paura che Dio ci lasci liberi e ci inviti a partecipare alla creazione? Dio è presente, ma questa presenza non annulla né inibisce la nostra azione. 

F. E. s.J.: Assolutamente! Una delle componenti centrali della nozione teologica di “creazione” è che il Creatore conferisce alle sue creature una piena autonomia. Non sono marionette fra le mani di un burattinaio, ma degli esseri liberi. Come scrive san Tommaso d’Aquino, il Creatore non dà soltanto l’essere, ma anche la capacità di essere causa dell’essere. 

Certamente, l’orizzonte dell’azione creatrice di Dio è la relazione con lui, la comunione di tutte le creature fra loro e con Dio; ma questa comunione non può che essere cosa da persone libere, a meno che non si adotti un modello collettivistico. Se si parla di azione divina, non si tratta di un’azione coercitiva, bensì di un’azione congiunta. 

V. d.V.: Come tenere l’equilibrio tra fede e ragione, per evitare sia lo scientismo sia il fideismo? Senza confusione né separazione… 

F. E. s.J.: Come distinguere senza separare e unire senza confondere? La Chiesa cattolica rigetta al contempo sia il fideismo (la ragione non gioca alcun ruolo nella confessione della fede) sia il razionalismo (la confessione della fede sarebbe dimostrabile per via di ragione, vale a dire senza fare appello alla Rivelazione). C’è sempre una linea di cresta, fra questi due estremi: riconoscere la ragione significa riconoscere la parte di autonomia della persona umana. Ci sarebbe però l’illusione di una perfetta indipendenza, che mi fa credere di poter vivere astraendomi da ogni forma di dipendenza. Invece noi siamo profondamente interdipendenti, perché non è che diamo e basta, ma diamo e riceviamo. Potremmo dire che il razionalista non fa che dare e il fideista non fa che ricevere. Ma noi abbiamo bisogno di scambio, di condivisione, di dialogo. E il Dio che si rivela in Gesù Cristo ha a che fare con questo dialogo. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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