Di Paola Rinaldi in collaborazione con professor Tommaso Tufo neurochirurgo presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dottor Marcello Melone responsabile del servizio di Anestesia e Terapia intensiva cardiochirurgica presso Città di Lecce Hospital Gvm Care & Research, dottor Gerardo Serra responsabile del Centro di terapia antalgica dell’Irccs Ospedale Sacro
Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella, Verona
Compromette i rapporti sociali, riduce l’autonomia personale e può addirittura alterare l’equilibrio psicologico di chi ne soffre, generando un profondo senso di malessere e sfiducia verso presente e futuro.
Il dolore cronico affligge tra il 10 e il 30 per cento della popolazione adulta, rappresentando uno dei maggiori problemi di salute pubblica.
«Ciascuno di noi ha vissuto almeno una volta nella vita l’esperienza del dolore, una spiacevole esperienza sensoriale legata a traumi, lesioni, ustioni, interventi chirurgici o malattie», spiega il professor Tommaso Tufo, neurochirurgo presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma.
I numeri
21,7%
La percentuale della popolazione italiana interessata da dolore cronico, vale a dire uno su cinque
7 anni
La durata media della sofferenza per una persona su quattro
4.556 euro
Il costo annuo per ogni paziente, imputabile ad assenze sul lavoro e costi diretti a carico del Ssn.
«Quello cronico, però, è un dolore persistente che dura da almeno tre mesi, non risponde ai tradizionali farmaci analgesici e può avere diverse cause.
La sofferenza può essere costante durante il giorno oppure intermittente, alternando fasi in cui scompare ad altre in cui si ripresenta, ma in entrambi i casi finisce per compromettere le normali attività quotidiane, anche le più banali come la cura di sé».
Rispetto al dolore acuto può essere meno intenso e sovente si presenta sotto forma di bruciore, scosse elettriche, alterazione della sensibilità cutanea, sensazione di punture di spillo sulla pelle e addormentamento di una parte del corpo.
Tre le tipologie
Comunemente, si distinguono tre tipologie di dolore cronico:
dolore nocicettivo, causato da un danno reale o potenziale a un tessuto non neurologico (come pelle, muscoli, ossa oppure organi viscerali).
Può iniziare come dolore acuto, per esempio in seguito a un trauma o un intervento chirurgico, e poi trasformarsi in cronico a causa della compromissione di una struttura nervosa.
È determinato dall’attivazione dei nocicettori, particolari terminazioni nervose sensibili a stimoli meccanici, termici e chimici;
dolore neuropatico, dovuto a lesioni o disfunzioni del sistema nervoso periferico o centrale (come nella sindrome del tunnel carpale o nella nevralgia del trigemino): è uno stato di sofferenza particolarmente complesso, difficile da gestire e trattare, perché è resistente ai farmaci e causa lo sviluppo di tolleranza, ovvero la necessità di aumentare la dose di principio attivo per ottenere lo stesso effetto;
dolore nociplastico, legato a un’alterazione della nocicezione, cioè del processo sensoriale che rileva e convoglia i segnali e le sensazioni di dolore (come nella fibromialgia).
In questo caso, la persona inizia a sentire più dolore del dovuto e sperimenta un’alterata
percezione tattile, per esempio avvertendo sofferenza anche quando riceve un gesto delicato come una carezza.
«Seppure dolorose, tutte queste condizioni sono comunque benigne», tiene a precisare il professor Tufo, «perché esiste un ulteriore dolore cronico, stavolta maligno e legato a patologie oncologiche, che richiede terapie specifiche».
Se il termine benigno è senz’altro fonte di sollievo, nel caso del dolore cronico il conforto è solo parziale: il suo impatto sulla qualità della vita infatti è pesante, perché va colpire le normali attività e, in particolare, la capacità lavorativa.
«Chi ne è affetto si assenta con maggiore frequenza dal lavoro, è costretto ad abbandonarlo più precocemente rispetto agli altri oppure si trova a dover cambiare mansione per un calo di rendimento, efficienza e produttività, accettando posizioni meno qualificanti.
Per di più, inizia a sviluppare gradualmente debolezza, disturbi del sonno, perdita dell’appetito e depressione, che a loro volta generano modifiche comportamentali, relazionali e affettive.
Ecco perché la problematica va trattata con un approccio multidisciplinare», sottolinea l’esperto, «per individuare i trattamenti in grado di fornire un adeguato controllo della sofferenza e consentire, quantomeno, lo svolgimento delle normali attività quotidiane, come mangiare, dormire e lavorare».
Qualsiasi distretto del corpo
Il dolore cronico può colpire qualsiasi parte del corpo. Per esempio, tra le forme più comuni del distretto cranio-facciale c’è la nevralgia del trigemino, che si manifesta sotto forma di violente scosse elettriche localizzate al volto (guancia, mascella, gengive, labbra e, talvolta, occhi e fronte).
Per scatenare dolori lancinanti bastano stimolazioni molto lievi, come radersi la barba, lavare i denti, parlare, truccarsi, sorridere o il vento che soffia sul viso, al punto che questa condizione può arrivare a compromettere l’alimentazione dei pazienti, che non riescono a masticare né a bere.
«Nello stesso distretto possono manifestarsi anche la nevralgia occipitale, una forma di cefalea che interessa soprattutto la nuca ma si irradia anche nella zona anteriore del capo, e la nevralgia glossofaringea, che provoca attacchi ricorrenti di dolore intenso nella parte
posteriore della gola, l’area vicina alle tonsille, per cui la deglutizione diventa difficilissima».
Gli arti inferiori, invece, possono essere colpiti da neuropatie legate al diabete oppure conseguenti a interventi chirurgici alla colonna vertebrale:
«Nel secondo caso si tratta della cosiddetta Failed back surgery syndrome, o sindrome da fallimento chirurgico, caratterizzata da un dolore che persiste dopo la chirurgia vertebrale e può essere dovuto a cause pre-esistenti all’intervento, cause non rimosse dall’intervento o cause indotte dall’intervento stesso».
Tipica degli arti superiori, invece, è la sindrome del tunnel carpale, che colpisce l’arco situato fra il polso e il palmo della mano attraverso il quale passano nove tendini e un nervo: si tratta di una patologia maggiormente diffusa nella popolazione femminile, soprattutto quella che oscilla tra i 30 e i 50 anni di età, che si trova a svolgere quotidianamente attività lavorative particolarmente ripetitive e dannose per la salute delle mani.
«Chi ne soffre avverte una sensazione di formicolio e intorpidimento delle prime tre dita, pollice, indice e medio. Un fastidio che si accentua soprattutto la notte, quando il dolore può diventare talmente forte da svegliare il paziente e costringerlo a muovere la mano oppure a metterla in posizioni che alleviano i sintomi», racconta il professor Tufo.
Bisogna reagire
Cronico significa che durerà per tutta la vita? Dipende. In alcuni casi sì, in altri invece la situazione migliora oppure si risolve nel corso del tempo.
«Ecco perché questa forma di dolore viene considerata una vera e propria malattia, che va curata adeguatamente, tenendo conto che alcuni fattori come la mancanza di sonno, l’immobilità o lo stress possono accentuarla», sottolinea Tufo.
Misurare l'intensità
Per intervenire in maniera efficace, va misurata innanzitutto l’intensità del dolore percepito, che è variabile da soggetto a soggetto, anche in relazione alla soglia di tolleranza individuale.
«Per farlo, bisogna valutare l’impatto del dolore sulla vita del paziente, considerando ad esempio la qualità del sonno, la capacità di svolgere le normali attività quotidiane, i riflessi sull’umore e sulle relazioni interpersonali», interviene il dottor Marcello Melone, responsabile del Servizio di Anestesia e Terapia intensiva cardiochirurgica presso Città di Lecce Hospital Gvm Care & Research.
In aiuto vengono appositi questionari dove il paziente può rispondere alle domande con un “punteggio” che varia in base alla scala utilizzata, ma che a grandi linee spazia da 0 (assenza di dolore) a 10 (massima intensità di dolore).
«L’arma vincente sta nella semplicità e nell’immediatezza della compilazione. Questo aiuta il terapista a comprendere quanto il paziente possa essere debilitato dalla spiacevole sensazione dolorosa»
Quali soluzioni
Trattandosi di una condizione invalidante, il dolore cronico richiede una buona anamnesi e un accurato esame clinico e strumentale, che generalmente sono in grado di determinarne l’origine: «Uno sguardo va sempre rivolto al peso psicologico, perché una sofferenza costante e continua predispone ad ansia, depressione, frustrazione e terrore che quel “male” non cesserà mai, ma continuerà a manifestarsi per il resto della vita», evidenzia il dottor Melone.
I farmaci
Così, tenendo conto di età, patologie associate, terapie in corso, condizione psicologica ed eventuali esperienze passate con i farmaci antalgici, il dolore cronico può essere trattato innanzitutto con uno o più principi attivi, indicati dalle linee guida internazionali, tutti con documentata efficacia negli studi clinici.
«È importante che sia uno specialista a prescriverli, quindi assolutamente vietato è il fai-da-te: bypassare il medico con un’automedicazione improvvisata rischia di essere inutile o addirittura di determinare effetti indesiderati anche gravi», tiene a precisare il dottor Gerardo Serra, specialista in Fisiopatologia e Terapia del dolore, responsabile del Centro di terapia antalgica dell’Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella, Verona.
«Al contrario, un bravo professionista sa consigliare dosi, tempi e frequenza di assunzione per ottenere benefici reali e duraturi, potendo attingere a un ricco arsenale di farmaci, come antinfiammatori, oppiacei, antidepressivi o anticonvulsivanti».
Altre strade di cura
Invece, nei casi più complessi oppure nei pazienti dove la terapia farmacologica induce
troppi eventi avversi (come deficit di attenzione, problemi di memoria o sonnolenza), si possono valutare altre opzioni terapeutiche:
«Prendiamo le fratture vertebrali, che possono verificarsi a seguito di eventi traumatici come incidenti o cadute ma anche come conseguenza dell’osteoporosi nei soggetti più anziani.
Il forte dolore che ne deriva a livello lombare può persistere nel tempo e in passato veniva trattato con l’utilizzo di busti ortopedici da indossare per qualche mese, con tutti i disagi che ne conseguivano.
Oggi invece i crolli vertebrali si possono trattare con la vertebroplastica, che consente non solo un’immediata scomparsa del dolore, ma anche una rapida ripresa dell’attività e la mancanza degli effetti collaterali legati all’uso del corsetto, come l’atrofia muscolare», racconta il dottor Serra.
Si tratta di una procedura mininvasiva che si effettua per via percutanea, in anestesia locale o in sedazione, spesso in regime di day-hospital o con dimissioni il giorno successivo, indicata anche nei pazienti molto anziani.
«La procedura consiste nell’iniezione di uno speciale “cemento” nella vertebra fratturata,
che ritrova solidità e di conseguenza permette la rapida regressione del dolore, che scompare immediatamente o comunque si riduce in maniera significativa», assicura il dottor Serra.
A ciascuno il giusto sollievo
Nella nevralgia del trigemino che non risponde ai farmaci, invece, si può ricorrere a interventi mininvasivi come la decompressione micro-vascolare del nervo (Mvd), la compressione percutanea con palloncino (Pbc) o la termorizotomia trigeminale con radiofrequenza (Rf ): tramite un intervento microchirurgico si decomprime il nervo trigemino nella Mvd, per via percutanea viene creata una piccola lesione termica nel ramo del trigemino interessato nella Rf oppure si comprime il nervo con un micro palloncino nella Pbc.
Le procedure vengono personalizzate sul paziente e hanno lo scopo di togliere il dolore, ma senza alterare sensibilità e funzionalità del viso.
«Oppure in un altro problema molto diffuso, come la lombalgia dovuta a un’ernia del disco, si può optare per un trattamento infiltrativo che si effettua sotto guida radiologica e serve a iniettare un farmaco anestetico o cortisonico in prossimità della radice nervosa da cui si irradia il dolore», descrive Serra.
«Qualora la procedura non sia sufficiente, lo specialista può valutare una erniectomia endoscopica, una tecnica minimamente invasiva che consente di asportare ernie discali lombari senza alterare l’anatomia della colonna vertebrale».
Un altro esempio è la cosiddetta neurostimolazione midollare, una terapia efficace e sicura che può dare sollievo al dolore cronico (in particolare quello neuropatico) non trattabile farmacologicamente o con altre terapie non-farmacologiche.
«In questo caso, viene impiantato un elettrodo permanente sotto pelle che opera come un piccolo generatore di corrente e stimola il midollo spinale, interferendo con la trasmissione dei segnali di dolore al cervello. Così, il paziente avverte una sensazione di formicolio nella zona che prima era dolente», illustra il dottor Serra. «In definitiva, al dolore cronico non bisogna mai arrendersi.
Il percorso corretto
Con il corretto inquadramento diagnostico, il medico ha diverse opzioni a disposizione. L’importante è seguire il giusto percorso terapeutico, che normalmente parte dai trattamenti farmacologici per poi valutare tecniche di chirurgia mininvasiva nel caso in cui i medicinali falliscano. Talvolta è possibile sconfiggere definitivamente il problema, in altri casi lo si può tenere per lo meno sotto controllo e consentire al paziente di tornare alle sue attività abituali con sollievo e fiducia»
Prevenirlo è difficile
Un’ultima considerazione la merita uno dei temi più dibattuti in medicina, ovvero la prevenzione, che purtroppo nel dolore cronico non è così facile. «I fattori di rischio modificabili non sono molti», riprende il dottor Marcello Melone.
«Spesso il dolore cronico è espressione di sindromi complesse, basti pensare a diabete, malattie reumatologiche o autoimmuni, per cui difficilmente si può prevenire in maniera sostanziale con degli aggiustamenti allo stile di vita».
Molti accorgimenti invece si possono adottare per le patologie dolorose a carico della schiena o delle articolazioni in generale, dove ad esempio il calo ponderale e la correzione posturale possono svolgere un ruolo importante.
L’aspetto fondamentale resta la diagnosi precoce: «Alla prima visita è importante che il paziente porti con sé esami radiologici, referti, esami che attestino altre eventuali patologie presenti e qualsiasi altra documentazione che possa supportare il medico nella ricostruzione della sua storia clinica».
Errori da evitare
Ma c’è chi, prima di approdare dal medico, preferisce tentare strade alternative rispetto a quelle tradizionali, con il risultato di ritardare la diagnosi e quindi il trattamento specifico corretto: «Attenzione ai presunti santoni», conclude Melone.
«Provare dolore ogni giorno innesca una condizione di fragilità e instabilità emotiva che fa aggrappare con tutte le forze alla vita e induce a rivolgersi a millantate terapie promosse da presunti guaritori. Il rischio è quello di arrivare tardi ai trattamenti veramente efficaci, mentre i professionisti del settore sanno agire tempestivamente.