Una delle debolezze dei cattolici di oggi, soprattutto se sanno di essere dotti, è l’aver perso lo spirito di fede, che spesso è anche spirito di fanciullezza, e di credersi più intelligenti, più illuminati degli altri (e di quelli del passato). Così abbiamo posto limiti a ciò che ci sembra credibile, e conseguentemente alla potenza divina.
Alcuni santi, la cui esistenza è stata letteralmente tempestata di miracoli, fanno le spese della nostra attitudine sospettosa. Sant’Antonio da Padova, festeggiato il 13 giugno, ne è un buon esempio. Un religioso molto erudito diventato recentemente suo biografo ci ha mostrato senza la minima esitazione che, di fatto, non sappiamo nulla (o quasi) di una delle figure di santità più popolari del cattolicesimo – a cominciare dal suo nome, da quelli dei suoi genitori o dalla sua data di nascita! Roba da gettare nello sconforto i devoti del francescano di Padova. Dovremo per questo berci tutte le affermazioni dei professoroni? O dobbiamo crederci degli imbecilli, se riteniamo che ogni prodigio sia possibile a Dio e a quanti Egli ama? Ognuno dia il proprio giudizio alla luce della fede.
Chiamato fin dall’infanzia
Ammettiamo dunque nella nostra ingenuità che Antonio, o piuttosto Ferdinando (suo nome di Battesimo) di Bulhan (deformazione portoghese di Bouillon) sia nato a Lisbona il 15 agosto 1195 da una nobile famiglia, probabilmente di origine francese da parte di padre, e che abbia ricevuto l’educazione accurata del suo rango, la quale lo destinava a diventare cavaliere.
In un film molto carino destinato alla RAI, Umberto Marino (prendendosi qualche libertà) immagina che Ferdinando si sia dato a Dio in cambio della sopravvivenza del suo migliore amico, da lui volontariamente ferito durante un torneo per una disputa amorosa. La vocazione del santo sembrerebbe invece risalire all’infanzia, e parrebbe essersi sviluppata sotto la direzione di una madre profondamente devota alla Madonna. Nessuno nella sua famiglia è dunque veramente stupito per il fatto che il dotatissimo studente abbia preferito la Chiesa alla carriera marziale. Il che non significa neanche che i suoi fossero contenti della scelta, a giudicare dai tentativi operati per fargli lasciare il convento lisbonese dei Canonici di sant’Agostino (col risultato di spingerlo a rifugiarsi a Coimbra).
Eppure non era neanche lì che Dio lo chiamava, e verso il 1220 il giovane canonico avrebbe lasciato l’Ordine per entrare, attratto dalla loro povertà, nei Frati Minori di Francesco, appena arrivati in Portogallo. Pronunciando i voti fra loro, prese il nome di Antonio.
Un irritante talento oratorio
Nulla però sarebbe andato secondo i suoi sogni. Sperava il martirio e di partire per evangelizzare i musulmani, ma non riuscì ad andare in Nordafrica. In occasione della riunione dei Francescani ad Assisi presero questo oscuro frate portoghese per un illetterato e lo trattarono di conseguenza. Fu per carità che lo accolsero nella comunità di Monte San Paolo, presso Bologna, come domestico, e lì caddero dalle nubi quando scoprirono che era pure prete – cosa rara nell’Ordine, poiché Francesco stesso non lo era – e pieno di titoli di studio. Obbligato, nel 1222, a predicare a Forlì in occasione delle ordinazioni, egli rivelò un prodigioso talento oratorio, tanto visibilmente acceso dallo Spirito Santo che nessuno pensò più di tenerlo in penombra.
La Francia era allora (soprattutto nel Midi) devastata dall’eresia catara, recrudescenza dell’antico dualismo manicheo che opponeva un dio puramente buono e spirituale a un dio malvagio creatore del mondo materiale. Per sfuggire al suo dominio, bisognerebbe astenersi dal matrimonio e dalla procreazione, non uccidere alcunché, diventare vegetariani e spogliarsi di tutto. Questa ascesi verso “la perfezione”, donde il nome di “perfetti” dato ai più progrediti nel movimento (ideale del resto tanto difficile da conseguire che la maggior parte degli adepti non riceve i sacramenti se non in articulo mortis), attraeva anime sincere e piene di ideali, spesso scandalizzate dalla ricchezza e dal comportamento del clero; ma pure una nobiltà e una borghesia meridionali che vedevano nel catarismo uno strumento di lotta contro l’influenza degli “uomini del Nord”, rappresentati dal Re di Francia e dalla Chiesa. Costoro, veramente pericolosi, non sono degli idealisti ma, per la loro ricchezza e il loro potere, trascinavano nell’eresia regioni intere, fino all’Italia!
Poiché le campagne e le città del Sud denunciavano la fortuna arrogante del clero, ad esse furono mandati quei religiosi poveri e mendicanti che erano i francescani e i domenicani. Percorrendo instancabilmente la Provenza, la Linguadoca, il Quercy e il Limousin, predicando senza mai concedersi tregua, Antonio ricondusse le folle a Cristo, guadagnandosi il soprannome di “martello degli eretici” ma facendosi anche innumerevoli e mortali nemici.
Seminò sui suoi passi i miracoli più meravigliosi, perfino i più inutili, direbbero alcuni, come quel giorno in cui fece ricrescere in un istante la florida chioma di una giovane che il marito aveva tonsurato per punirla di esser andata a sentire il predicatore cattolico. Quando gli uomini non lo ascoltano, sono gli animali a rendere giustizia alla verità del suo insegnamento.
Era tutto molto, troppo irritante. Bisognava farlo tacere ad ogni costo.
«Non vi vergognate?»
Fu senza dubbio dalle parti di Rimini che degli eretici decisero di assassinarlo. Finsero di essere stati toccati dalla sua parola e lo invitarono a pranzo, poi approfittarono del pasto per avvelenarlo. Il piano sembrava infallibile… ma non era stata tenuta in conto la Provvidenza divina! Prima del pasto-con-trappola, Antonio fu avvertito dal Cielo del crimine che si preparava ma, invece di sottrarsi, questi si recò sul posto, si mise a sedere senza fare una piega e, quando gli portarono vivande e bevande, guardò i commensali con lo sguardo austero di cui sapeva dar prova:
Da principio sbalorditi per l’essere stati smascherati, i suoi attentatori non demorsero; avevano giurato che quello non si sarebbe alzato di tavola e gli dissero beffardi:
Imperturbabile, Antonio tracciò il segno della croce sull’acqua e sulla zuppa a lui destinati, mangiò e bevve come se nulla fosse e lasciò la tavola senza provare il minimo malore. Nel film di Marino, questo tentato omicidio è stato imputato al tirannico podestà di Padova, ma questa – ve lo garantisco – è un’altra storia.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]