Lo scrittore romano Palladio assicura che Sant’Apollo, suo contemporaneo, vissuto nel primo secolo d.C., riceveva anch’egli il suo cibo da un angelo. Egli riporta di lui i seguenti segni: uno dei solitari viventi sotto la sua direzione è messo in prigione al tempo di Giuliano l’apostata. Egli va a consolarlo e si trattiene anch’egli prigioniero con i suoi compagni.
Il bagliore dell’angelo e la “grande fuga”
Immediatamente, durante la notte, un angelo appare nella prigione tutto raggiante di luce: i carcerieri spaventati aprono le porte ai detenuti e li scongiurano di uscire. Il tribuno di guardia, la cui casa è stata rovesciata da un terremoto, i cui servi sono stati atterrati da mani invisibili, colto anch’egli da spavento, allontana dalla città i pii solitari. Cantando gli inni, essi ritornano liberamente nel loro deserto.
Il pasto nella caverna
Un’altra volta, era Pasqua, sant’Apollo viveva con cinque fratelli in una caverna spaventosa. Essi non avevano per pasto pasquale che alcuni pani secchi ed alcuni legumi appassiti. Il santo esortò i fratelli a chiedere semplicemente a Dio un cibo che convenisse meglio alla festa.
Latte schiumante e dolci
Ed ecco che la notte, degli sconosciuti deposero all’entrata della caverna delle provvigioni di ogni specie: frutti dei più vari, uva e arance colte di fresco, prodotti esotici, raggi di miele, un grande vaso pieno di latte schiumante, dolci e pani come usciti dal forno.
Fino a Pentecoste
I fratelli di Sant'Apollo non dubitarono che quelle provvigioni non venissero loro dalla mano degli angeli. Essi ne mangiarono con azioni di grazie e ne ebbero fino a Pentecoste (Act. SS. Gen. Tomo I, p. 239-240).