Maria, ferita e mutilata come i cristiani dell'Iraq
Dallo scorso mercoledì, 1 giugno, la statua della Madonna di Batnaya è ospite nella parrocchia Regina Pacis di Forlì. È nota come Vergine ferita di Mosul, essendo Batnaya un villaggio della piana di Ninive (nel Nord dell'Iraq) non lontano da Mosul, luogo diventato l'emblema delle persecuzioni dello Stato Islamico verso la popolazione cristiana.
La statua è ferita perché andata completamente in frantumi sotto i colpi dell'Isis nel 2014 e poi restaurata in Italia dall’artigiano restauratore Franco Elli (con l’aiuto di Aurelio Villa e Fiorino Sironi), che ha voluto preservare visibili i segni dei colpi subiti dall'oggetto sacro.
Quello che colpisce subito è proprio il volto di Maria: restano intatti solo gli occhi, mentre naso, guance e bocca sono scomparsi. Pare 'resa muta'. Eppure proprio i segni evidenti di questa violenza la rendono un'immagine straordinariamente eloquente.
La Madonna ferita viene a sanare le nostre ferite
Prima dell'invasione da parte dello Stato Islamico, circa 950 famiglie cattoliche risiedevano a Batnaya, tutte fuggite per scampare a morte certa. Nell'intera zona della piana di Ninive, oltre alle abitazioni private, sono state profanate e distrutte oltre 300 chiese e anche cimiteri e monasteri. Durante le incursioni i libri sacri sono stati bruciati, mentre le statue venivano decapitate o usate come tiro al bersaglio dalle milizie dell'Isis.
Dal 2017 lo Stato Islamico è stato respinto da Mosul e dalla piana di Ninive, la popolazione cristiana ha cominciato la lunghissima fase del ritorno e della ricostruzione. Aiuto alla Chiesa che soffre è una delle associazioni più attive nel sostegno dei cristiani perseguitati nel mondo ed è sua anche l'idea di questo pellegrinaggio in Italia della statua della Vergine ferita di Mosul.
Lo stile di Maria è sempre quello di muoversi in anticipo, come quando si mosse per visitare Elisabetta. Liberamente al dimandar precorre, disse Dante. Maria è una pellegrina libera e premurosa che, in questo caso, mostra sulla sua figura tutte le ferite dell'accanimento violento che ha subito. E venendoci incontro così vulnerabile, quasi c'implora di affidare a Lei tutte le nostre fragilità e vulnerabilità. Per questo, essendo Forlì non distante da casa mia, ho voluto andare a vederla di persona.
Sentirsi a casa vicino a Lei
Sono arrivata alla parrocchia Regina Pacis di mattina, in chiesa mi hanno accolto due zelanti signore che stavano pulendo la chiesa. Temevo di essere invadente nel mettermi a fare foto, ma loro mi hanno incoraggiato a godere appieno della presenza di Maria. Mi hanno raccontato del loro entusiasmo quando la statua è arrivata. Mi sono seduta e ho detto il rosario, fissando la Vergine ferita.
Davvero ferita. Una mano è stata staccata di netto, anche ora non è stata riattaccata ma sta ai piedi della statua vicino a un piede. Del volto restano gli occhi. E sul collo è riconoscibilissimo il segno di un colpo netto per tentare di decapitarla, da lì parte una frattura, dalle spalle in giù, che taglia a metà la parte frontale da quella posteriore.
Disarmata e calma, Maria esibisce questo essere sfigurata. E mentre la fissavo pregando, attorno a me le signore pulivano i banchi e i pavimenti della chiesa, con una solerzia allegra. Allora, mi è sorta questa domanda: Maria, è così che si pulisce il mondo? Si porta con docilità il patire, lo si accoglie come via d'accesso di una provvidenza certa che costruisce meglio quando noi siamo a pezzi e ci affidiamo al Padre. Non è una provvidenza cinica che ci vuole distrutti, ma che rovesciandoci dai nostri troni, c'innalza quando siamo umili.
E innalzare cos'è poi? Lasciare che emerga il mistero della Resurrezione.
Dal banco in cui ero seduta mi si porgeva una prospettiva eloquente, quella di una sconfitta apparentemente palese. Dietro il volto sfigurato della statua di Maria si stagliava un crocifisso particolarmente suggestivo nel mostrare un Cristo scarnificato dal dolore. Muta la Madre senza più bocca, muto il Figlio inchiodato in Croce.
Quest'impotenza dell'Onnipotente è ciò che viene a sostenerci nel fitto del nostro quotidiano. E se per noi, spesso, questo paradosso rischia di ridursi a mera voce sentimentale o intellettuale, non così è per chi ha vissuto da impotente l'assalto di un male senza pietà.
Quella della Vergine ferita non è solo una statua, ma è la storia del popolo a cui appartiene. Ed è la voce di un popolo che, perseguitato, ora vive dando una testimonianza di Resurrezione. Il parroco della chiesa Regina Pacis, don Roberto Rossi, è stato più volte tra i cristiani perseguitati dell'Iraq. Con una disponibilità disarmante (l'ho colto un po' di sorpresa), mi ha raccontato perché ha voluto portare la Madonna di Batnaya qui da noi. E ancora una volta, eccoci di fronte a un testimone che parla di quel seme che morendo porta molto frutto.
Caro don Roberto, perché ha scelto di ospitare nella sua parrocchia questa statua?
Ho sempre ammirato l'associazione Aiuto alla Chiesa che soffre per tutto quello che fa nel mondo a sostegno dei cristiani perseguitati. Ho visto con i miei occhi la loro opera quando ho visitato i campi profughi a Erbil, in cui erano accolti i cristiani cacciati dalla piana di Ninive dall'Isis. Famiglie provenienti da Mosul, Qaraqosh, Batnaya. Avendo là degli amici, ho avuto la possibilità di rimanere in contatto con loro fin dai primi giorni della persecuzione, cioé dall'agosto del 2014. Poi, appena ho potuto, sono andato a visitarli.
Nel 2015 sono stato in quei campi profughi, ho ascoltato i racconti di questa gente. Sono ritornato nel 2017 e ho avuto la possibilità, fortuita diciamo, di essere accompagnato a Mosul e Qaraqosh circa 5 o 6 giorni dopo che l'Isis era stata cacciata e ho trovato tutto distrutto, bruciato, non c'era una casa sana. Anche le chiese erano distrutte e bruciate. Nella cattedrale di Qaraqosh ho avuto la possibilità di celebrare una delle prime messe insieme alle famiglie del luogo e in mezzo alle macerie. Infatti è stata quasi completamente bruciata.
Visitando i vari luoghi - chiese, cimiteri, conventi - ho visto la distruzione coi miei occhi e di più. Certe parti delle chiese sono state usate come poligoni di tiro dai guerriglieri, quindi anche le statue e gli ornamenti sono andati completamente distrutti, ridotti a pezzi in mezzo alle macerie. La statua della Madonna che è in pellegrinaggio qui da noi è stata trovata tra le macerie di Batnaya ed è stata riportata in Italia e restaurata, lasciando però i segni delle ferite inferte.
Come è stata accolta dai parrocchiani?
L'accoglienza è stata grande, con tutto il cuore. La gente sta pregando davanti a lei sia per i cristiani della piana di Ninive che, dopo la distruzione, stanno affrontando gli anni della ricostruzione, sia per tutti i cristiani che soffrono a causa della fede. E si prega anche per la pace in questi giorni difficili. Soprattutto nei giorni festivi il numero dei fedeli è folto.
La statua è stata accolta dal vescovo mercoledì scorso, il 1 giugno, e abbiamo recitato il rosario tutti in ginocchio. Si è spostata e si sposterà in altre parrocchie, c'è già stata anche una processione. Per dare un segno di quello provano le persone, posso citare una mamma che mi ha detto di essere tornata più volte a pregare davanti a questa Madonna, sentendola come un'immagine che le parlava al cuore e ne ha sentito un senso di forte protezione per tutti i problemi che sta attraversando la sua famiglia.
I fedeli si sono mostrati anche molti generosi nel fare offerte che vogliamo devolvere per ricostruire l'asilo di Batnaya. Quando la Madonna tornerà nella sua terra potrà portare il necessario perché questo asilo sia finito e ricominci ad accogliere i bambini.
Commuove che la cifra della presenza di Maria sia sempre quella della visitazione. E' lei che si muove, viene da noi. Lei ferita, viene a casa nostra.
Infatti il vescovo, ripetutamente, ha sottolineato: la Vergine ferita viene per consolare e guarire le nostre ferite. Poi ha anche aggiunto che i persecutori che l'hanno profanata, pur dichiarandosi musulmani, evidentemente ignoravano il fatto che Maria è citata molte più volte nel Corano che nel Vangelo.
Un'ultima domanda. Lei ha visto coi suoi occhi la terra devastata attorno a Mosul, può confermare quella grande provocazione del Vangelo sul seme che morendo dà frutto? Cosa sta fiorendo in mezzo alla distruzione?
Il seme che dà frutto è innanzitutto questo: vedere gremite proprio quelle chiese che sono state distrutte, non solo nei giorni festivi ma anche in quelli feriali. Poi, da poco, ho sentito al telefono un sacerdote che vive là e mi ha detto: "Se tu venissi oggi a Qaraqosh, non la riconosceresti. E' diventata un giardino". La gente, senza nessun aiuto da parte dello stato, ma solo con la buona volontà - e gli aiuti di associazioni come ACS - sta ricostruendo in modo stupendo la città, e in particolare le chiese.
Hanno costruito in molte parti della città dei giardinetti, adornandoli con immagini della Madonna, e si vede sempre tanta gente che prega in questi punti pubblici, soprattutto la sera quando il caldo dà un po' di tregua. Un segno grande è anche la capacità di sopportazione di questo popolo, e di più: anche di perdono. Tante volte li ho sentiti dire: "Abbiamo perso tutto, ma non la fede". E la loro preghiera, oggi come ieri, è quella di ripetere: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Da questa tragedia sono stati aiutati a vivere il Vangelo in maniera molto concreta.