E' fuggito da Mosca quasi tre mesi fa ormai, appena due settimane dopo lo scoppio della guerra, il rabbino Pinchas Goldschmid aveva capito che il governo di Putin avrebbe preteso un atto di sottomissione da parte di tutte le componenti della società russa. Ha così deciso di prendere l'auto e dirigersi prima in Ungheria e poi da lì a Gerusalemme. La notizia (e la sua posizione) sono rimaste nascoste fino ad ora, quando la nuora Avital Chizhik-Goldschmidt, giornalista di New York, ha rivelato la storia: «sono in esilio dalla comunità che hanno amato e in cui hanno cresciuto i loro figli per oltre 33 anni. Il dolore e la paura della nostra famiglia, negli ultimi mesi, è al di là delle parole» spiega Avital in un tweet.
E proprio mentre è in esilio Goldschmid è stato rieletto rabbino capo di Mosca per altri sette anni, anche grazie all'intervento dei rabbini israeliani, in quello che viene definito "Un colpo di stato fallito" all'interno della comunità ebraica di Mosca da parte di alcuni notabili e rabbini locali sotto impulso del governo russo (Jerusalem Post).
Le religioni sotto la minaccia di Putin
Il Corriere della Sera fa notare che nel silenzioso e terrorizzato deserto di molte altre comunità religiose in Russia – e peggio ancora nel totale sostegno della Chiesa ortodossa del Patriarca Kirill –, attraverso il rabbino la voce degli ebrei moscoviti s’era alzata a sorpresa, proprio di recente.
E proprio seguendo questo ragionamento che si può comprendere ancora meglio l'altra notizia, arrivata quasi nello stesso momento, cioè dell'allontanamento del Metropolita Hilarion di Volokolamsk, che dal 2009 era presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca (praticamente il numero due della Chiesa ortodossa russa), è stato esonerato dal Sinodo russo ed è divenuto il metropolita di Budapest e dell’Ungheria. Uno spostamento che sa di rimozione proprio perché Hilarion non si era uniformato alla posizione di Kirill di appoggio incondizionato alla guerra.
Come riportato da I.Media (e tradotto in esclusiva su Aleteia):
Una situazione che trova il suo contrappunto - per così dire - nella situazione inversa: le diocesi della Crimea (da tempo sotto il controllo russo) che in questi giorni si sono "decise" ad adeguarsi al loro status di parte della giurisdizione del Patriarcato di Mosca e non più della Chiesa autocefala Ucraina, decisione che comporta di sospendere la menzione del metropolita Onuphrius come capo dell'UOC (la Chiesa Ortodossa Ucraina, Ndr) durante i servizi liturgici. Per la politica russa questa situazione è l'effetto stesso della creazione dell'Ucraina a cui la guerra - secondo loro - pone rimedio: ripristinare l'unità territoriale russa è funzionale a ristabilire l'ortodossia in quel territorio, superando l'autocefalia, cioè l'indipendenza ecclesiastica (European Times).
Il caso dei Testimoni di Geova
Era il 2017 quando il Ministero di Giustizia russo aveva messo i Testimoni di Geova nel novero delle organizzazioni estremiste e ne aveva via via arrestato membri e sequestrato proprietà. Oggi quella persecuzione assume un significato diverso alla luce sia della decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) - che li ha "assolti" e ha condannato la Russia a rilasciare i prigionieri e a restituire quanto sequestrato - sia di quanto abbiamo detto precedentemente. Tutti coloro che non si uniformano agli standard dettati dal governo russo vengono colpiti, dai dissidenti politici alle formazioni religiose che non si adattano ai desiderata del regime.