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«Dalla terapia alla terra pia», il disagio mentale si cura in cammino

CAMMINO, TERAPIA,GIOVANI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 03/06/22
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Un'esperienza di cammino in compagnia che si ripete da anni e coinvolge persone con disagio psichico, familiari e volontari, ma anche chi vuole semplicemente riscoprirsi pellegrino.

Il cammino come terapia

E quanto tempo, invece, trascorriamo da fermi e seduti? - mi sono chiesta di fronte a questa frase sentita in un video che documenta un'esperienza sociale dal nome che è (appunto) tutto un programma: Dalla terapia alla terra pia.

Da anni l'associazione Pangea di Prato, che opera nel sociale a fianco di chi vive un'esperienza di disagio mentale, propone il cammino come forma terapeutica di gruppo. Ho incrociato la notizia che riguarda quest'iniziativa perché in questi giorni sono di nuovo in cammino: volontari e ragazzi che vivono diverse forme di disagio legate alla salute mentale stanno percorrendo la Magna via Francigena da Palermo ad Agrigento. Il gruppo, piuttosto folto da quello che si vede in foto, è partito lo scorso 27 maggio.

Negli anni passati hanno percorso altri cammini. Nel 2016, in occasione del giubileo degli ammalati e delle persone disabili, il viaggio a piedi è partito da Monteriggioni fino al Vaticano (250 km). Nel 2020 il percorso è stato sulle orme di San Francesco, da La Verna ad Assisi.

Si cammina, condividendo la fatica della strada e la gioia delle soste. Si parla, si mangia e si dorme, portando insieme i pesi dell'anima.

Piccoli hobbit in viaggio

Il video che racconta il cammino sulla via Francigena fatto nel 2017 da questi volontari e ragazzi ha per sottofondo il tema musicale degli hobbit nel film Il signore degli anelli.

Essere viandanti, vivere avventure ... non è nello stile hobbit. Frodo e Bilbo stavano molto bene nella loro contea. Mettersi in cammino, per un viaggio lunghissimo e pericoloso, è una sfida che non accolgono di buon grado. Li capiamo, adesso, meglio che mai. Siamo stati reclusi in casa a causa della pandemia. Non tanto protetti quanto rinchiusi nella comfort zone di casa.

E che proprio questi anni di isolamento e stasi abbiano comportato la crescita del disagio mentale tra i giovani non stupisce, anche se addolora molto. E non vale forse per ciascuno di noi? Chi non avverte un'oppressione dello spirito, una fiacca piena di delusione, una titubanza o sfiducia a rilanciarsi nel reale?

Ho approfondito la storia di questa realtà sociale nata a Prato perché intravedo un'occasione di "salute" per tutti, non solo per quelli che sommariamente definiamo casi patologici. Tutti abbiamo bisogno di rimetterci in cammino, in senso proprio letterale. Fuori dalla contea gli hobbit come Frodo e Sam hanno fatto fatica e hanno avuto paura, hanno anche rischiato di morire. Ne è valsa la pena per tutta la Terra di mezzo. La loro camminata fino a Mordor è stato un percorso nascosto, tale doveva essere, come invisibile ai grandi riflettori sono questi viaggi in piccole comunità sui sentieri storici dell'Italia. Ne vale la pena per tutto il nostro paese, anche per chi ignora questa presenza di camminatori.

Unire corpo, anima e spirito

Nelle favole si ripete spesso la formula "cammina, cammina" e sembra solo un momento di passaggio in attesa dei momenti cruciali della storia. Quando l'eroe cammina, cammina in realtà non si sta solo spostando verso ciò che sarà il centro di un'avventura, è già nel bel mezzo dell'avventura. Perché la fatica dei passi è un grande sforzo, un allenamento del corpo insieme all'anima. E il grande guadagno che hanno tutte le esperienze che ci immergono nella realtà è proprio quello di tenere uniti la carne e lo spirito, e di farlo in modo tutt'altro che posticcio, artificiale.

Camminando, a maggior ragione se in compagnia, si prende coscienza della propria capacità fisica, limitata e che pure può scovare risorse, e questo esserci ha bisogno di tutte le energie che l'anima mette a disposizione (darsi delle motivazioni, chiedere aiuto, sostenere i compagni, ringraziare del bello incontrato).

Ho citato gli hobbit, ma il pensiero va spontaneamente anche a Dante. Chi più di lui potrebbe testimoniare che il cammino è una vera cura per il disagio mentale? La grande scarpinata dalla selva al Paradiso è la storia di un uomo che per uscire dalla gabbia del suo male oscuro si è messo in cammino insieme ad altri. Dalla terapia alla terra pia, in fondo sarebbe il sottotitolo perfetto per la Divina Commedia. Siamo in cammino, davvero, verso una terra pia, dove le nostre ferite saranno curate per sempre.

Grandi sfide per cuori atrofizzati

Appena saputo di questa iniziativa di cammino come cura, mi è venuta una gran voglia di unirmi a questo gruppo di "matti" (parola che, sono certa, loro per primi usano con accezione ironicamente positiva). Poi ho cominciato a pensare cosa dovrei fare per mettermi davvero in cammino con questo gruppo di viandanti.

Innanzi tutto prepare lo zaino. E c'è da tenere conto che non dormo bene fuori casa. Sarà possibile avere quei due o tre caffé senza cui non mi reggo in piedi? E poi molto altro.

Non appena ho considerato l'ipotesi reale di mettermi in viaggio a piedi con uno zaino in spalle sono saltate fuori un mucchio di obiezioni. E forse è proprio questo il primo grande punto di benessere da conquistare. Il filosofo americano H.D. Thoreau lo espresse bene:

Lasciare è un verbo da conquistare con fatica. L'allenamento mentale e fisico molto urgente per tutti noi è l'impresa di mollare ciò che teniamo a denti stretti tra le mascelle,. L'isolamento protratto ha davvero atrofizzato la nostra libertà di metterci in gioco su un campo più grande delle nostre pianificazioni.

Abbiamo paura di perdere il controllo e lasciare andare, metterci su un sentiero dove i piani vanno assestati e cambiati in base alle circostanze. E' la stessa sfida che Gesù chiedeva a chi voleva seguirlo. Ed era una strada di vera sanità mentale anche se chiedeva il sacrificio di lasciare madre, figli, marito.

Non è andare allo sbando, liberarsi delle zavorre e via. Il vero cammino ci spoglia delle cose e delle presenze che usiamo per stare protetti, e ci espone a tutti nostri i limiti. Forse ci apre al grande salto, quello che dalla domanda generica "dove sto andando?" osa passare all'ipotesi "da Chi sto andando?".

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