Per i sudditi di Elisabetta II, fin dal principio del suo regno, nel 1952, il messaggio di Natale della regina è un evento particolarmente solenne ed atteso. Alla maniera dei cattolici, che seguono la trasmissione della benedizione Urbi et orbi del Papa, milioni di britannici non si perderebbero mai questo momento televisivo per ascoltare con emozione la loro regina (nonché capo ecclesiastico anglicano).
Da principio diffusa via radio, poi divenuta televisiva a partire dal 1957, questa è l’unica cerimonia in cui la Regina si rivolge alla nazione senza consultare il governo. I soli che hanno sempre gettato un occhio sul testo che la regina preparava erano il suo segretario privato, il consulente teologico della famiglia reale e, naturalmente, il marito (il principe Filippo, morto il 9 aprile 2021). Perché questa eccezione? Probabilmente perché le sue riflessioni sull’importanza della fede cristiana nella sua vita hanno una dimensione personale evidente.
Con la sua ascesa al trono, la regina è diventata anche la governatrice suprema della Chiesa d’Inghilterra. Come tutti i sovrani britannici, Elisabetta II è stata incoronata e consacrata dall’arcivescovo di Canterbury durante una cerimonia le cui origini affondano nella consacrazione dei re di Francia. È dunque a questo titolo che ella è detta «Regina per grazia di Dio e difensore della fede» (Dei gratia Regina fidei defensor).
Numerose celebrazioni religiose puntellano allora la sua vita pubblica, come «governatrice suprema della Chiesa d’Inghilterra». È però il messaggio annuale di Natale che svela chiaramente il suo rapporto con Dio, la sua fede personale. Un legame visibile già prima dell’incoronazione:
Tale era la richiesta di preghiera formulata dalla regina Elisabetta II durante il suo primo messaggio di Natale, nel 1952, sei mesi prima dell’incoronazione, che sarebbe avvenuta il 2 giugno 1953 all’abbazia londinese di Westminster.
La fede: “ancora” della sua vita
I suoi discorsi di Natale rivelano anno dopo anno una certa evoluzione nel suo modo di evocare la sua personale fede e i valori cristiani, quali il perdono, la riconciliazione, l’amore o il senso del servizio. È stato nel corso degli ultimi 22 anni di regno che i messaggi hanno assunto un tono differente, quasi intimo. La regina parla allora volentieri della fede come dell’«ancora della propria vita». A partire dal 2000, infatti, Elisabetta II ha deciso di consacrare il messaggio di Natale al racconto della vita e dell’insegnamento di Cristo. Colui che le offre il quadro in cui lei «cerca di condurre la propria vita»:
Il suo discorso, talvolta apertamente cristiano, avrebbe assunto nel 2014 un tono ancora più personale:
Due anni più tardi, la regina avrebbe spiegato in forma di testimonianza come ella trova in Cristo «la luce che guida la sua vita»:
Infine nel 2020, alla vigilia di Natale, dal castello di Windsor nel quale si era isolata in quarantena con il principe Filippo in ragione della pandemia da Covid-19, assicurò i sudditi delle sue preghiere dopo aver evocato la parabola del Buon Samaritano:
Il credo personale
Secondo alcuni osservatori reali, è chiaramente in occasione del 2.000mo anniversario della nascita di Cristo, e a partire da lì, che la Regina ha deciso di parlare più apertamente della propria fede. Altri vi scorgono la mano di George Carey, che all’epoca era arcivescovo di Canterbury. Per Ian Bradley, professore di Storia all’università di Saint Andrews e autore di God save the Queen. The Spiritual Heart of the Monarchy, si tratta piuttosto dell’influenza indiretta del principe Philip:
Quel che colpisce è questo dettaglio, che fa la differenza: nel suo primo messaggio Elisabetta II ha richiesto preghiere per sé. In quello che ha rilasciato alla vigilia del proprio giubileo di platino, assicura i sudditi delle proprie preghiere per loro. Segno che la saggezza, il senso del servizio e la ricerca di Dio di Elisabetta II non hanno cessato di crescere e di unificarsi, contribuendo a farne una delle sovrane più raggianti e più amate, ben al di là del Regno Unito.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]