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La fede nemica della civiltà? No e questo libro lo prova

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Emiliano Fumaneri - pubblicato il 26/05/22
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In un saggio poderoso il sociologo Giuliano Guzzo elenca in maniera brillante, uno per uno, gli innumerevoli benefici della fede per la società. Mostrando che il cristianesimo segue davvero la logica dell’Incarnazione: la carità e le virtù di lassù sopraelevano le virtù naturali e umane.

Ce l’avevano quasi fatta a convincerci. A convincerci che il cristianesimo fosse una fede per alienati impegnati a cibarsi nel segreto delle loro delizie interiori. A farci credere che il cristianesimo – il cattolicesimo in particolare – fosse il rifugio di tutti quelli che odiano la vita. In altre parole, a istillarci la convinzione che il cristiano è antisociale per essenza

Dove i cristiani hanno lasciato il segno – è l’insinuazione odiosa dei «maestri del sospetto» – gli uomini hanno segnato il passo. La Chiesa ha negato la libertà, combattuto la scienza, prosperato sulla miseria e l’ignoranza dei popoli, causato guerre sanguinose. E la fede, se non è narcosi, è contagio: appesta le civiltà, contamina la società. 

Insomma, non c’è scampo. La fede nuoce gravemente alla salute. Peggio che un pacchetto di sigarette. Non c’è da augurarsi che scompaia. Un destino ben meritato. E d’altro canto inesorabile. A spiegarcelo, coi crismi della Scienza, è la teoria della secolarizzazione. La religione, ci dicono «color che sanno», è in ritirata da secoli. Più andiamo avanti, più sentiamo che a salvarci sono la scienza, la tecnica, il progresso, la medicina. Non certo le fantasie religiose. Motivo in più per dar loro un caloroso addio. È stato bello. Anzi no. Ad ogni modo d’ora in avanti facciamo da soli, grazie.

La fede nemica della civiltà? No, grazie a Dio

Quale sorpresa a scoprire che, Deo gratias, non è così! Proprio così si intitola l’ultima fatica di Giuliano Guzzo: Grazie a Dio. Come la fede promuove la civiltà, il progresso, la pace, la famiglia e la salute (Lindau, 2022). 

Sociologo e giornalista, Giuliano Guzzo è nato nel 1984 in provincia di Vicenza. Caporedattore del mensile «Il Timone», scrive anche per «La Verità» e «Notizie Pro Vita & Famiglia». Tra i suoi libri La famiglia è una sola (2014), Cavalieri e principesse (2017), Propagande (2019).

Il sottotitolo di Grazie a Dio già anticipa il tema – e le conclusioni – del libro. Ovvero il salutare apporto della fede cristiana alla civiltà umana. Un tempo si sarebbe parlato di «promozione umana». Ma più delle etichette conta la sostanza del libro. E ce n’è parecchia: grazie a una mole impressionante di dati e a una bibliografia sterminata – un tratto tipico dell’autore – Guzzo ha facile gioco a dimostrare che praticamente tutti i cosiddetti «valori occidentali» sono un frutto dell’albero cristiano: la democrazia, la scienza, la tecnica, la medicina ecc. 

Il sociologo vicentino, documentazione alla mano, dimostra anche che la teoria della secolarizzazione è poco più che un mito intellettuale. Elaborato a tavolino da sapienti «secondo il mondo»: accademici, universitari, cervelloni d’ogni risma, ecc. Per lo più influenzati da un pregiudizio antireligioso che non corrisponde al sentire profondo delle società. Nel profondo gli occidentali hanno conservato se non un’anima cristiana, almeno un animo religioso. Ma vale per ogni società: anche la più secolare conserva pur sempre un sottofondo religioso. Una specie di basso costante che continua a cadenzare le esistenze personali. Con buona pace di Max Weber – uno dei padri nobili della teoria della secolarizzazione – l’uomo è religiös musikalisch. Presto o tardi il senso religioso, per dirla con don Giussani, riaffiora in superficie. Come un fiume carsico che, in definitiva, non ha mai smesso di fluire nelle profondità della terra.

Una miniera di dati e informazioni

Nelle oltre cinquecento pagine del libro il lettore avrà dunque a disposizione una miniera di informazioni. E farà scoperte inattese. Ad esempio apprenderà, con sorpresa, di una religiosità sommersa che anche in Europa – piattaforma prediletta del processo di laicizzazione – non sembra voler arretrare. Una miriade di indicatori statistici sta lì ad indicare, al contrario, che la pratica religiosa è tutt’altro che archiviata. 

Pensiamo solo al numero dei pellegrinaggi. Nel Vecchio Continente sono più di 5.000 le mete di pellegrinaggio. Visitate ogni anno da un numero di persone che oscilla tra i 70 e i 100 milioni. O ancora: pensate che il cristianesimo sia in via d’estinzione o, nella migliore delle ipotesi, destinato a essere sorpassato, se non surclassato, dall’islam? Non è così: nel 2019 i cristiani erano il 33% della popolazione mondiale (contro il 24% dei musulmani). E per il 2050 le stime prevedono che i cristiani arrivino al 35%. 

E che dire del legame tra religione e guerre? Tutti sanno quanta acqua abbia portato il fanatismo religioso al mulino infernale delle guerre, no? Guzzo ci sorprende ancora. Cita uno studio che ha preso in esame 1.763 guerre che hanno funestato la storia dell’umanità dal 3.500 a.C. ai giorni nostri. Bene, meno del 7% di esse può essere classificabile come «guerra di religione». Percentuale che scende al 3% escludendo i conflitti iniziati dal mondo islamico. 

Stesso discorso per la pretesa incompatibilità tra scienza e fede o la vecchia tesi secondo cui la fede religiosa farebbe le sue fortune sulla miseria delle masse. Tutte leggende ampiamente smentite dai fatti e i dati pazientemente messi in fila da Guzzo.

Uno dei capitoli più interessanti è quello sulla forza della preghiera. Dove si scopre, tra le altre cose, il legame tra fede, longevità e salute mentale. C’è anche chi ha quantificato l’effetto della regolare frequentazione dei luoghi di culto: sette anni di aspettativa di vita in più. Insomma, per tornare all’esempio iniziale, è come se smettessimo di fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Decisamente, aver fede non nuoce alla salute. 

Ma questa è solo una minima parte del benefico influsso della fede cristiana sulla società. Mille altri fatti sono elencati nel libro, al quale ovviamente rimandiamo. 

Il paradosso cristiano

Viene da chiedersi come può una fede che si gioca in interiore homine ripercuotersi anche in exteriore homine. È il paradosso cristiano. Senza ombra di dubbio, il Vangelo ci esorta a cercare prima di tutto il regno di Dio. Ma ci dice anche che tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù. Ecco, la sociologia si occupa esattamente di questo sovrappiù. È questo il suo campo: quello delle conquiste esteriori. Può occuparsi del cristianesimo secondario: il cristianesimo come artefice di progresso materiale, come costruttore di civiltà. È vero: la fede cristiana, in primo luogo, è un incontro spirituale, interiore, personale. Che ha però ricadute esteriori, destinate a riverberarsi su tutta l’esistenza umana. È la logica dell’Incarnazione.

Per questo sarebbe fuorviante volere i frutti senza andare alla loro radice o alla linfa che li ha nutriti, volere i «valori cristiani» senza il «fatto cristiano». A irrorare il temporale è l’eterno, senza il quale quei valori rischiano di falsarsi come in uno specchio deformante. Così oggi non c’è nessuno che non si riempia la bocca della parola «carità». Invocata, tuttavia, anche per sterminare esistenze giudicate poco performanti, come quella dei malati gravi, degli anziani, dei bimbi nel grembo materno. Tipico caso di «valori» senza il «fatto cristiano».

Perciò, come ha scritto Rémi Brague, «il cristianesimo non può produrre i suoi effetti benefici sulle società cosicché, al loro interno, vi sono abbastanza persone che credono a Cristo, e che non si curano per nulla della “civiltà cristiana”». La civiltà cristiana semmai è un effetto derivato della carità cristiana. E anche in quel caso è un mezzo, non un fine.  

«Ognuno diventa l’immagine del Dio che adora» ha detto Thomas Merton. E chi meglio del santo, che diventa immagine di Cristo, incarna al meglio questa prospettiva? Quella cioè di guardare al cielo per curare le ferite della terra. Basti pensare ai «santi sociali», i più fedeli emuli del programma di don Bosco: «Pane e Paradiso».

Semi da piantare, non progetti da pianificare

In sintesi: non si prega per stare bene, ma si sta bene perché si prega. Allo stesso modo, il cristiano è chiamato ad agire in modo giusto, non a rendere giusta la terra. Ma a nessuno sfugge che fare la cosa giusta spesso genera anche – potremmo dire per un effetto di rimbalzo – un mondo migliore. Anche questa però non è una regola infallibile. Perché, ahinoi!, su questa terra il grano buono e la zizzania saranno inestricabilmente mescolati fino alla fine dei tempi. 

Meglio di tutti dovrebbero saperlo proprio i sociologi, che ben conoscono l’onnipresenza di quelli che Raymond Boudon chiamava gli effetti perversi dell’azione sociale. O meglio, gli effetti indesiderati di azioni non necessariamente efferate, anzi. Andate in pasticceria dopo la messa per comprare qualche dolcetto ai pargoli? Bene, anzi benissimo. Ma se putacaso altri (dieci, cento, mille) parrocchiani avessero avuto la vostra stessa idea, ecco formarsi l’odiatissima fila. Volevate fare la felicità di vostro figlio, ed eccovi lì a sbuffare e a compulsare nervosamente il cellulare sperando che chi vi precede si sbrighi il prima possibile.

Un banale esempio, moltiplicabile all’infinito, per dire che anche la migliore delle intenzioni non basta. Nessuna società può essere costruita a tavolino. L’imponderabile è sempre in agguato. Più che pianificare ci sono da piantare i semi che una provvidenza imprevedibile e benevolente coltiverà e farà germogliare nei tempi e i modi solo a lei noti. Coi frutti che il libro di Giuliano Guzzo ha raccolto con pazienza ammirevole. E di questo dobbiamo essergli grati.

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