Come molti, soffrivo di insonnie dovute probabilmente allo stress e alle angosce del quotidiano. Contavo le pecore con gli occhi spalancati, oppure le fessure sul muro, incapace di trovare il sonno mentre il resto della famiglia dormiva dolcemente… E un giorno mi è venuta un’idea: piuttosto che tentare invano di provocare il sonno, tanto vale trasformare l’insonnia in veglia.
È così che Julie ha confidato ad Aleteia il punto in cui la sua vita è cambiata. Professoressa di lingua e letteratura a Nantes e madre di un ometto di tre anni, lo conferma – ora, quando si trova sveglia nel cuore della notte, si rivolge a Dio: «Signore, sono qui, mi metto in ascolto di Te».
Da allora i momenti di veglia, anche se non sono volontarî, restano per lei molto preziosi:
Superare la propria propensione all’assopimento per restare con Dio
Questa è l’opinione di Xavier Accart nel prezioso opuscolo L’art de la prière. È in tal senso che la preghiera notturna può essere più efficace: essa permette di raggiungere il silenzio e la calma interiori, indispensabili per vivere l’esperienza della presenza di Dio, ma difficili, talvolta impossibili da trovare nella vita quotidiana e diurna.
Questa affermazione risponde ai ripetuti appelli di Gesù a vegliare. Egli stesso passava le notti in preghiera. Per lui, la lode come l’intercessione non si arresta(va)no mai. Mentre il mondo si riposa e il silenzio regna, Gesù prega perché il mondo riposi fra le mani di Dio. Come lui, i monaci si levano di notte per offrire a Dio i loro momenti di veglia. È appunto quanto i salmi cantano:
Pratica comune dei primi cristiani
Uscire un momento dal sonno per pregare sembra essere stata pratica comune fra i primi cristiani.
Guidato dalla parola di Dio, san Paolo esortava anch’egli i cristiani a pregare incessantemente. San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, riprende da parte sua questa dottrina invitando i monaci ad alzarsi di notte per vegliare e pregare Dio. Mediante tale preghiera notturna, essi vivevano così in maniera simbolica il passaggio dalla morte e dalle tenebre alla luminosa Risurrezione di Cristo.
Altri grandi santi sono noti per le loro veglie notturne. Charles de Foucault, segnato dall’esempio di Cristo, amava particolarmente l’adorazione notturna.
L’unione a Dio che si opera in pienezza
Quanto a san Giovanni della Croce, nei suoi scritti la parola “notte” non è mai lontana da “purificazione”. Egli vi insiste ripentendo che la notte purifica. Quando uno dice “Dio mi ha abbandonato”, il santo carmelitano rettifica e dice piuttosto “Dio mi purifica”. Le risonanze liturgiche della notte di Natale e le notti della Settimana santa, specialmente quella del Giovedì e del Venerdì santo, hanno fortemente influenzato il carmelitano spagnolo: la notte diventa allora per lui il simbolo della spoliazione totale, ma anche quello della riparazione e della speranza.
Per san Giovanni della Croce, l’anima ha radicalmente la propria vita in Dio. Solo che, se Dio è sempre presente nell’anima, Egli non è sempre presente all’anima… Nel suo senso più profondo, la preghiera notturna può permettere allora che l’unione con Dio si operi pienamente.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]