Gesù ha conosciuto l’angoscia e la paura. Il Vangelo di san Marco lo descrive, nel Getsemani:
La paura e l’a tristezza sono due sentimenti distinti che possono mescolarsi, ma che è importante identificare e distinguere per rispondervi in modo adeguato. Gesù ha conosciuto l’angoscia e sa di che cosa parla quando dice ai suoi discepoli, come abbiamo appena sentito: «Il vostro cuore non sia sconvolto né spaventato» (Gv 14,27). Di fatto egli lo ripete perché aveva già detto: «Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e anche in me» (Gv 14,1).
Questo primo “turbato” non diceva molto il tipo dell’emozione, la sua coloritura. Ma Gesù proponeva la fede, la fiducia in Dio per superare questo stato emozionale. Ed ecco che ora dice qual è la forza che dona la fede: lo Spirito Santo.
Tre “turbamenti” di Gesù
Il Vangelo secondo Giovanni contiene tre sequenze successive, una sorta di trittico la cui parte centrale si situa nel capitolo 12: Gesù annuncia che
Questa sequenza è preceduta da un primo turbamento, nel quadro della morte di Lazzaro. Quando Gesù vide piangere Maria, la sorella di Lazzaro,
Che tristezza. E vi fa seguito un terzo turbamento, dopo la lavanda dei piedi, quando Gesù annuncia il tradimento di Gesù:
Ecco questo trittico, con al centro l’angoscia del confronto con la nostra condizione mortale. A sinistra, se posso dire “nel primo pannello”, la tristezza per la morte di un amico, Lazzaro; e a destra, “nel terzo pannello”, il miscuglio di tristezza e angoscia davanti al tradimento di un amico, «quello che mangiava il mio pane» (Sal 40,10). Giuda si perde da sé stesso: tradisce e si condanna.
Le crisi d’angoscia
Il giusto riconoscimento delle nostre emozioni è la base della conoscenza di sé, necessaria alla conversione e al dominio di sé. Senza contare, ove se ne dia il caso, un adeguato trattamento medico e/o psicologico, quando le nostre emozioni sono troppo pesanti da portare. «I vincoli della morte mi stringevano», dice un salmo (Sal 17,6). L’espressione esatta indica una “angoscia mortale” (come in Est 4,17). È un aspetto della crisi d’angoscia, la sensazione di morte imminente, che può andare fino al panico, senza che la ragione riesca a prendere il controllo della situazione.
I piloti e il personale di cabina negli aerei sono abituati a fronteggiare crisi di panico, simili al senso di claustrofobia, di reclusione, che possono sopraggiungere “a terra” nella vita normale di chi si trova strozzato dai debiti, da questioni finanziarie, e che non vede come uscirne. Mi ricordo uno dei miei amici, un direttore amministrativo e finanziario estremamente brillante nel parlato. Non aveva questa facilità nello scritto, dove si trovava più a suo agio fra le cifre e mi chiedeva talvolta di correggergli i testi, ma nell’orale aveva un talento sbalorditivo. Avevo molta ammirazione per lui. Padre di cinque figli, cattolico ben solido, aveva chiesto al nostro patron di essere il padrino dell’ultimo nato. L’ho ritrovato dopo la prima guerra del Golfo che era diventato pazzo: aveva perso i capelli, passava le notti davanti al televisore. Poi perse il lavoro, e non osò dirlo alla famiglia. È morto per un attacco cardiaco, a cinquant’anni, in un ufficio vuoto, spoglio. Che tristezza.
«Chi verrà in mio aiuto?»
Anni più tardi, da prete, ho scoperto nella storia della Chiesa e incontrato più di un caso di preti, religiosi, in preda a tali attacchi e sopraffatti da essi, da poderose crisi di angoscia, come se la fede fosse impotente, superata. A che serve avere la fede, se è per avere tanta paura? “Vi manderò un avvocato”, dice Gesù:
Ci insegnerà come resistere all’angoscia e a questi attacchi? […] Chiunque abbia responsabilità di persone, un padre o una madre di famiglia, con dei bambini da nutrire, tasse da pagare, dipendenti da liquidare… sa che cosa sia l’angoscia più materiale. E quando sopraggiunge una rottura, una separazione, un abbandono, un tradimento, come resistere al panico? Chi verrà in mio aiuto?
Abbiamo l’allenamento quotidiano della preghiera, la fiducia in Dio solo che non ci abbandonerà mai. «Se qualcuno mi ama – dice Gesù – custodirà la mia parola», manterrà la fiducia. «Il mio Padre lo amerà, noi verremo a lui e prenderemo dimora presso lui» (Gv 14,23).
Ogni sera, con l’umiltà della fragilità e con la forza della fedeltà, possiamo riprendere la preghiera della sera di Pasqua: «Resta con noi, Signore, perché la sera scende e il giorno volge già al termine» (Lc 24,29). Resta con noi, Signore Gesù: o piuttosto, dacci la forza di restare con te, la forza della fedeltà e l’umiltà della fragilità. Siamo degli esseri fragili, senza di te, Signore, non possiamo vivere – non possiamo vivere veramente, in accordo con noi stessi.
Io ti amo, Signore: non posso e non voglio vivere senza di te. La Messa rinnovi le nostre forze e la nostra fede.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]