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Lo scandalo dell’abuso spirituale. Capire, prevenire e curare

Hieronimus Bosch, Il giardino delle delizie (part.)

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Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 17/05/22
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L’abuso spirituale è una volontà di potenza che si spinge a dominare il prossimo per orgoglio e per desiderio di soddisfare il proprio istinto di potere sugli spiriti e sulle anime. Nella Chiesa, spiega il gesuita Jean-François Thomas, l’autorità deve rispettare la frontiera fra foro interno e foro esterno.

Le reiterate accuse, negli ultimi decenni, contro uomini di Chiesa, hanno sconvolto molte anime e scandalizzato parecchi spiriti. Mai la parola “abuso” è stata tanto impiegata, ormai ogni giorno, e ben al di là del quadro religioso. 

Se quanto riguarda l’àmbito sessuale è stato lungamente esposto e commentato, la parte invece indubbiamente più importante del problema resta sommersa, perché riguarda la sfera spirituale – è là è sicuramente più complicato discernere che cosa sia violazione della libertà e della coscienza. Eppure il fenomeno non è nuovo, anzi probabilmente è antico tanto quanto la relazione spirituale fra due persone. 

Malgrado la sua ricca e saggia esperienza, la Chiesa non sfugge a derive che non vengono sempre sufficientemente individuate e corrette. I grandi ordini religiosi non sfuggono neanch’essi a questa perversione, non più delle comunità giovani e meno estese nel numero. Di fatto, a partire dal momento in cui un essere si considera investito di un potere, egli dimentica talvolta di essere chiamato a esercitare una giusta autorità morale al servizio degli altri, e non a perseguire la ricerca del proprio potere individuale. 

Bisogna anche riconoscere che i posti di responsabilità, anche nella Chiesa, attraggono normalmente più gli uomini che ambiscono a una carriera, a un impero (non geografico) che si realizza imponendosi su quanti andrebbero invece serviti nella carità. Padre Henri Huvelin – che fu il mirabile confessore, e poi la guida spirituale di Charles de Foucauld –, uomo intellettualmente brillante e umile nel suo sacerdozio, passato a illustrare e insegnare, forte della sua esperienza, scriveva: 

Ogni persona – uomo o donna – che abbia ricevuto un incarico riferito alla vita interiore, dovrebbe fare proprie queste parole sapienti e realistiche. 

La volontà di potenza 

Gli abusi spirituali possono toccare ogni persona che abbia aperto fiduciosamente la propria coscienza, e che lo abbia fatto in un quadro che si suppone sia quello della discrezione assoluta e del rispetto della coscienza. All’origine della distorsione della relazione si trova quel che gli Antichi chiamavano “hybris”, parola che nella mitologia e nella filosofia ellenica è quanto di più vicino si possa trovare al “peccato” giudaico-cristiano: i Greci onoravano la misura e detestavano la dismisura. La hybris è appunto quell’orgoglio, quell’arroganza che crea comportamenti violenti e abusivi perché lascia libero corso alle passioni e alla sete di potere. L’uomo vuole attribuirsi più di quanto gli spetta secondo il destino fissato dagli dèi, e allora trasgredisce tutte le regole del consesso civile e manipola, schiaccia tutti quanti gli diventano ostacolo. Un gran numero di miti greci sottolinea questa debolezza umana, severamente punita dai numi olimpî. 

Il cristianesimo avrebbe ripreso questa intuizione parlando di concupiscenza. Sant’Agostino, ne La Città di Dio, è indubbiamente colui che più chiaramente ha sviluppato i differenti aspetti di ciò che chiama libido (in un senso differente da quello, più ristretto, che la parola avrebbe rivestito con la psicanalisi). Egli distingue tra 

    L’abuso spirituale rientra in quest’ultimo ordine: la volontà di potenza che spinge a dominare l’altro per orgoglio e per desiderio di soddisfare l’istinto di potere sugli spiriti e sulle anime. Siamo nell’ordine del satanico, perché il Maligno è colui che usa tutti gli stratagemmi per possedere gli esseri e conformarli a sé, spesso sotto false apparenze di benevolenza. Non è un caso che le giustificazioni largamente sviluppate dall’abusatore spirituale sono tutte di ordine teologico: fa così per convincere la preda che non può ribellarsi senza rivoltarsi contro Dio stesso. 

    Chi abusa assume una posa angelica per meglio convincere la propria vittima della sua mediocrità, della sua malvagità e del suo assoluto bisogno dell’aiuto dell’abusatore. Il processo è sempre lo stesso: il parassitaggio. In natura, molti organismi non vivono che grazie alla capacità di occupare uno spazio che non è il loro, e talvolta anche di prendere possesso di altri organismi a loro insaputa, di svilupparsi in essi, di nutrirsene e di causare la loro morte lenta. Chi abusa è come un ragno, che non mangia direttamente l’insetto preso nella propria tela, bensì gli inietta un veleno che dissolve i suoi organi per nutrirsi successivamente di questa sostanza. Così nella ragnatela restano cadaveri che conservano la loro forma esteriore e che all’interno sono vuoti. Alcune vittime di abusi spirituali hanno talvolta impiegato l’immagine del cuculo, uccello intelligente e fascinoso che fa covare le proprie nidiate nel nido di altri uccelli meno smaliziati, che finiscono per tenere l’enorme pulcino di cuculo come se fosse proprio e per trascurare o rigettare il proprio, che magari rimane in fondo al nido. L’abusatore s’installa nella coscienza dell’altro e lo guida al suo posto. 

    Foro interno e foro esterno 

    Quel che è terribile è che chi è diventato maestro nell’arte di questa manipolazione costruisce – se si trova alla testa di una comunità – tutta una rete di sostegno, essenzialmente composta di altri abusatori-nati o di ex-vittime che restano sotto il suo dominio. È di moda parlare di “perverso narcisistico”. Una siffatta definizione non risolve il problema, perché tali individui sanno cooptarsi e riprodursi. 

    Spezzare la catena è cosa quasi impossibile perché, in àmbito religioso, entra in gioco l’ingranaggio perverso dell’obbedienza. Quanti religiosi e religiose, quanti seminaristi e preti sono essi stessi prigionieri tra le mani di “superiori” che si impongono loro mediante la reputazione, il potere, la destrezza! Gli esseri che sono capaci di sfuggire a questa violazione della loro intimità sono rari e se, per caso, riescono a tagliare la corda, restano comunque segnati e feriti a vita. Così l’abuso spirituale si rivela raramente un caso isolato: è frammento di una piramide in cui tutti i manipolatori si reggono come le carte di un castello (di carte). 

    Nella Chiesa una regola intangibile è normalmente quella della distinzione fra foro esterno e foro interno. Il manipolatore trasgredisce questa frontiera, talvolta anche in sede di confessione. Egli sa così accumulare in sé funzioni e responsabilità che dovrebbero restare separate. In ogni tempo, ad esempio, nei seminari è invalsa la pratica che i direttori e i padri spirituali degli alunni non si pronuncino sugli alunni in sede di consiglio e di bilancio, e viceversa che il rettore non sia mai né direttore spirituale né confessore. Ora, in certi istituti religiosi queste sottili e necessarie distinzioni sono andate in pezzi, da una parte esponendo i subalterni, dall’altra lasciando mano libera agli abusatori. 

    Quando un “superiore” confonde potere e autorità, se ne deve trarre un segnale d’allarme, e il subalterno deve garantirsi distanze di tutela il prima possibile. L’abusatore spirituale non si considererà mai in difetto, perché è sicuro del fatto suo e certissimo che la sua vittima, nello stato di minorità in cui versa, resterà passiva. Ecco perché alcuni di questi abusi sfociano poi in abusi fisici o sessuali – questi ultimi sono sempre preparati dalla presa spirituale. 

    L’obbedienza va sempre rischiarata 

    Presentarsi come colui che rimpiazza Dio, che parla a suo Nome, è il segno che la relazione spirituale non è sana. I contemporanei di Nostro Signore lo riconoscevano come colui che parla con autorità, a differenza degli scribi (Mt 7,29), semplicemente perché Egli rispettava la vita interiore di ognuno, chiaramente dando i necessarî consigli, ma senza costringere, neanche il giovane ricco che pure desiderava seguirLo (Mc 10,17-31). 

    Quando una guida spirituale desidera far piegare la volontà di un altro secondo i proprî criterî, bisogna individuare e denunciare l’abuso. Quest’ultimo è talvolta difficile da definire, ma uno dei sintomi è una sensazione di malessere in colui che subisce, oppure al contrario una dipendenza simile a quelle che si sviluppano per prodotti tossici. La disintossicazione è quindi ardua, e va incontro a numerosi fallimenti. Il direttore/superiore deve dar prova di molta prudenza e di umiltà, quando si serve dell’argomento di autorità, altrimenti resta grande il rischio di strumentalizzazione, ed è sempre possibile che esso ricada poi in abusi. Assoggettare una persona a colpi di citazioni bibliche, di testi della Chiesa e della Tradizione, mescolarvi poi elementi di psicologia, shakerare il tutto per farne un cocktail è lo scopo che si prefissano quanti sono posseduti dalla hybris

    Non si pretende di risolvere il problema con queste poche parole, perché esso è monumentale e non si limita ad alcune derive settarie. Deo gratias se con esse si sarà riusciti ad aiutare qualche anima ad aprire gli occhi sulla loro situazione di schiavitù o a prendere coscienza della perversità di questa o quella relazione di schiavitù. 

    Siccome tutto questo è complesso, sarà indubbiamente necessario spingersi oltre nella comprensione del fenomeno per meglio eliminarlo. Certo, la vera libertà è uno stato di obbedienza: alla ragione contro la carne, alla forma contro la materia, alla permanenza contro l’effimero, alle consuetudini contro i nostri capricci eccetera… ma l’obbedienza va sempre rischiarata, altrimenti essa è solo un’altra leva in mano ai falsificatori. 

    Lasciamo l’ultima parola a un uomo che in seno alla Chiesa e alla Compagnia di Gesù è stato oggetto di abusi considerevoli – Leonardo Castellani, un gesuita del secolo scorso che, col suo solito gaio e cordiale umore constatava saggiamente: 

    Non bisogna mai avvicinarsi ai funghi velenosi: se ne resta intossicati. 

    [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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