Tra due giorni sarà il compleanno di mio figlio Davide, il primo compleanno del mio terzogenito: ne ho già visti due, di “primi compleanni”, e per qualche aspetto c'è della routine… La festa, gli inviti, i regali… Quello a cui è però impossibile abituarsi è il ricordo della nascita, che torna sí a tutti i compleanni dei figli, ma difficilmente nitido come al primo.
Un anno fa nasceva Davide Giuseppe Maria
Nel caso di Davide, poi, diverse cose – molte delle quali è giusto e bello tacere qui – ci hanno tenuti con il fiato sospeso: basti ricordare che si era ancora in piena pandemia, e che per questo motivo neanche avevo potuto assistere alle ecografie di monitoraggio; in un certo senso, credevo a quella gravidanza per il pancione di mia moglie e per i calcetti del nascituro, ma soffrivo abbastanza l'impossibilità di avere riscontri esterni, cose che facessero parte del “mondo” in senso piú lato rispetto a casa mia.
Eppure era stata una gravidanza perfettamente fisiologica, a parte qualche attenzione specifica da avere (ma quale gravidanza non ne ha?): c'era sí quella pancia che non scendeva e delle ragioni per cui bisognava assolutamente sperare che il piccolo trovasse da sé la via d'uscita dal grembo… Si era poi alla vigilia del 13 maggio, e qui a Nettuno erano in corso le feste mariane, per cui mia moglie e io siamo andati a chiedere questa “piccola”-grande grazia all'intercessione della Madonna. Poi la sera stessa sono arrivate le contrazioni, e con un tempismo che neanche sul set di un grande film; quindi il viaggio verso l'ospedale, spedito e tranquillo (quei vantaggi marginali della pandemia), il travaglio dei corpi e quello delle anime, e le luci di Davide((Il cui nome completo è, non a caso, “Davide Giuseppe Maria”.)) che si schiudevano su quelle (le prime) della festa di Nostra Signora di Fatima (nonché giovedí dell'Ascensione del Signore!). Quindi la gratitudine, una ricca colazione per mia moglie, gli esami di controllo per Davide, la gioia di nonni, zii e parenti, i messaggi degli amici…
Un salmo di lode su una litania di guaj
Ricordi tutti che si compongono in un'armonia sulla quale intonare un salmo di lode e/o di ringraziamento è la cosa piú naturale al mondo. Questa notte ho invece finito di leggere Éclats de vie, che l'autrice Blanche Streb ha avuto mesi fa la bontà di farmi recapitare((Colgo l'occasione per chiedere scusa coram populo per il ritardo: se c'era però un modo di dare senso al ritardo, probabilmente lo si è colto leggendo il libro in concomitanza di questa vigilia.)): in 280 pagine l'autrice raccoglie i ricordi delle sue gravidanze, funestate da banali ma gravi (nonché reiterati) errori medici.
Lí le ecografie venivano fatte per controllare la vitalità dei feti, anzi in qualche caso le si evitava per non innescare parti prematuri (e si scopre quanto è sfumato – eppure decisivo – il confine tra parto prematuro e aborto tardivo…); i parenti e gli amici venivano massicciamente coinvolti per chiedere preghiere, e il tempo che passava era raggranellato in ore, minuti e secondi guadagnati alla vita e sottratti alla morte (…o no), talvolta a prezzo di trattamenti sanitarî estremi (sapete cos'è il Trendelenburg? E il Tractocyl?). Eppure gli Éclats de vie di Blanche Streb sono una vera confessione, di stampo agostiniano, nel senso che alterna il piú nudo diario dell'anima con l'appassionato dialogo mistico: è scritto come testimonianza per gli uomini, ma parlando a Dio, e viceversa come testimonianza a Dio, ma parlando agli uomini.
Una fede inevitabile e che interroga
A margine di un funerale di una delle “sue” creature – evento descritto come totalmente innaturale, come cosa per cui neppure esiste un nome –, Blanche Streb scrive della fede, ma non come di cosa messa a repentaglio o in discussione, bensí come di fatto trasmesso mediante la condivisione comunitaria. Perfino oltre i confini ecclesiali.
“Eppure non me la passo meglio di altri”… Questa è una di quelle frasi che in questa pagina piú mi hanno rimandato al mio Agostino, specialmente a quel sermone in cui dice, fra l'altro:
Per Blanche, come per Agostino, non si crede perché “conviene” – né secondo l'utilitarismo pagano né secondo quello, piú raffinato, della “scommessa” pascaliana –: si crede perché ci è necessario e naturale, come respirare, e viceversa ci è impossibile e innaturale non farlo. Anche se poi “non ce la passiamo meglio di altri”: Blanche è quella che va dalla psicanalista e già si sente male a vederla tutta in tiro mentre lei neanche si è truccata, poi scoppia a piangere dicendo che non vuole andare in depressione, poi qua e là accenna alle “sigarette fumate di nascosto sul tetto” e a due bicchierini di liquore bevuti, sotto lo sguardo perplesso di sua madre, prima di mettersi a scrivere.
Che cos'è dunque questa fede, che pure colpisce e interpella il mondo circostante? Senza dubbio e principalmente è un radicale legame con la persona di Gesú (l'ultima cosa che Blanche vede/pensa prima di addormentarsi in un'anestesia è il volto di Cristo):
La “follia” di chiedere miracoli…
Ma come si fa ad essere ragionevolmente persuasi che la fede, insomma, non sia (solo) una romantica fascinazione per un personaggio storico della cui compresenza e contemporaneità si è piú o meno convinti? Dal punto di vista meramente formale, ciò potrebbe configurare anche un quadro psichiatrico patologico. La fede vive dunque solo nel cuore e nella mente dei cristiani? Blanche se lo chiede, e lo chiede anche al suo Dio, con i fatti.
«O mamma, questa è una esaltata» – può pensare il piccolo pagano, attorno a noi e/o in noi stessi, salvo che in quest'ultimo caso riformuliamo in un piú prudente (ma non meno miscredente) “Questa è una che tenta il Signore!”. E forse in qualche istante di tentennamento, dopo l'“iniezione di fede”, l'ha pensato anche Blanche:
Si potrà pensare quel che si vuole, come è giusto che sia – la “grammatica dell'assenso”, direbbe Newman, funziona col “senso illativo”, non per via di induzioni o di deduzioni –, ma questi sono fatti. Davanti ai quali la lettura di Blanche non è (piú) il wishful thinking di “una a cui piace tanto Gesú”. Essa diventa invece un'ipotesi, ragionevole perfino, che costituisce una delle principali ragioni della scrittura di questo libro.
…la “stoltezza” di accettare che non avvengano (sempre)
Ma scusate: questo meraviglioso Gesú che ama tanto Blanche da darle figli on demand non faceva prima a sanare a monte gli effetti degli errori medici da lei subiti? E se lui ascolta tanto le preghiere di lei, perché poi le si richiedono sacrificî immani (e non sempre sufficienti) per condurre in porto le gestazioni? Se hanno torto quanti lo tacciano di impotenza o di indifferenza, avranno ragione quanti lo accusano di sadismo?
Non è questo il Dio di cui parla Blanche, quello che lei conosce e che rende la sua vita – tribolata eppure incrollabile nella fede, nella speranza e nella carità – una mistica liturgia:
E anche qui, che significa in concreto questa parafrasi epicheggiante di formule eucologiche ben scelte? Blanche ha sentito fin nelle viscere, letteralmente, la differenza tra i suoi figli e quelli degli altri, e ha visto quanto sia difficile gioire per le gioie altrui se non se ne hanno di proprie:
Io ricordo i giorni della nascita di Davide, fra trepidazioni e dolcezze, e mi prende in pieno volto il racconto di una mamma (poteva esserci un'altra Blanche) che forse in quegli stessi giorni, in quello stesso ospedale, si rallegrava di potersene tornare nel reparto di Gravidanze patologiche:
Non è l'orgoglio, che parla, ma il dolore, un dolore che chiede ancora e sempre di essere curato e salvato. Anche in chi crede, perché credere è questo: implorare pietà, misericordia, guarigione, salvezza. E tornare sempre a implorare, per tutti i giorni della nostra vita. «Cotidie petitores – diceva sempre il nostro Agostino –, cotidie debitores». Per uscire dall'isolamento mortale in cui il dolore tende a ricacciare il cuore umano, Blanche (come Agostino e come tutti) ha bisogno di Gesú, il quale passa anzitutto tramite la Comunità e i suoi Sacramenti. Tra questi spiccano l'Eucaristia (c'è una bella adorazione notturna che Blanche racconta) e il Battesimo (d'acqua o di desiderio – ci sono entrambi), ma ha un ruolo nient'affatto marginale anche il Matrimonio:
E benché Arnaud venga descritto come un uomo meraviglioso, giusto, forte, responsabile, protettivo, marito e padre esemplare… Blanche non nasconde che la loro vita coniugale non è un banale idillio a senso unico, e questo fin dal viaggio di nozze in Martinique, col catamarano!
Eppure:
Ci si perde e ci si ritrova insieme, perché solo insieme ci si può salvare – nella Chiesa come nel matrimonio… come nella società.
Forse è questo il senso piú provocatorio del libro di Blanche Streb, ciò che non permette di relegarlo nella mera diaristica: Blanche è tutta abitata dal suo Redentore, che le ha fatto dono della propria Vita e l'ha condotta a fare altrettanto per i figli proprî… e quelli altrui. Se l'attivismo prolife, in Francia e in Europa (ma anche in tutto il mondo), ha un futuro – e certamente deve averne (almeno uno) –, esso non può costruirsi all'ombra di opache affiliazioni politiche, né può per contro limitarsi a mero “conferenzificio”. Una Via c'è, per “amare e servire” la vita: contemplarla nella carne e nel sangue.