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L’OMS spinge per l’aborto senza limiti di tempo 

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Blanche Streb - pubblicato il 10/05/22
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Le cifre rilasciate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sul numero di aborti praticati nel mondo (73 milioni l’anno) sono accompagnati da una critica sulle misure legali di restrizioni sull’aborto, poste in numerosi Paesi. Per Blanche Streb, direttrice della ricerca di Alliance Vita, le raccomandazioni dell’OMS ignorano nel modo più totale le cause e le conseguenze mediche, psicologiche e sociali dell’aborto.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato, in occasione della giornata internazionale delle donne, nuove raccomandazioni sull’aborto. Una di queste – già presente nel rapporto del 2012 – non può lasciare impassibili: vi si propone infatti che ogni tipo di aborto venga reso praticabile, senza restrizioni né limiti di tempo per tutti e nove i mesi della gravidanza. 

In Francia, abortire è possibile fino al nono mese 

Si tratta allora di quel che si chiama “interruzione medica di gravidanza” (IMG). Durante l’estate 2020, un pugno di deputati [francesi] aveva tentato – mediante un emendamento-imboscata durante l’esame della Legge Bioetica – di allargare l’accesso all’aborto fino al termine della gravidanza per «ragioni psicosociali».

Concetto ben difficile da misurare, dal momento che si fonda su un sentimento, e soprattutto che tale sentimento può essere inteso come una richiesta d’aiuto consistente in ascolto, attenzione e soccorso in una situazione che può apparire disperata. Questa disposizione, successivamente respinta, aveva giustamente provocato un’ondata di choc nell’opinione pubblica: numerose personalità che pure si professavano favorevoli all’aborto si erano erte contro questo “infanticidio legale”. Una tribuna di avvocati e giuristi affermava che così «il nascituro non avrebbe beneficiato più di alcuna protezione nel nostro Paese». 

Cifre contestabili 

A quali ragioni si appella l’OMS? Con l’espressione “aborti sicuri”, l’organizzazione afferma che le restrizioni sul termine «non sono giustificate dal punto di vista medico», e adducono a comprova un certo numero di cifre. Tali cifre, però, pongono questione, e l’OMS mina la propria credibilità pubblicando raccomandazioni tanto radicali fondate su dati che risultano malfermi. 

Ad esempio, essa afferma che ogni anno si dovrebbero annoverare 39mila decessi di donne consecutivi ad aborti “non sicuri”. È in realtà estremamente complesso contabilizzare la mortalità materna legata agli aborti. Per ovviare allora a questa difficoltà, l’OMS si basa su una stima di un modello statistico della quale essa non ritiene che la cifra più alta all’interno di una forchetta (da 14mila a 39mila decessi l’anno) tratta da una pubblicazione di The Lancet comparsa nel 2014. 

Scavando dietro a questa cifra stimata, si trova poi un ulteriore biais: essa non include solo i decessi legati agli aborti procurati, ma anche quelli collegati agli aborti spontanei e alle gravidanze extrauterine. E chiaramente così è stata oltremodo gonfiata. Altre cifre discutibili sono state millantate alla carlona dall’OMS. 

Basandosi su un altro studio pubblicato su The Lancet nel 2017, l’Organizzazione afferma che ci sono 73 milioni di aborto ogni anno, nel mondo. Anche qui, non si tratta di cifre ufficiali ma di semplici stime, con un margine d’incertezza dell’80% – un’enormità. Eppure gli autori della pubblicazione l’avevano riconosciuto essi stessi: 

I dati sull’aborto sono relativamente deboli e sono particolarmente incerti nei Paesi con politiche restrittive. La disponibilità crescente di IGV farmacologica, poi, rende difficile il calcolo del numero di aborti all’interno e all’esterno dei Sistemi Sanitari Nazionali. I dati sulle nascite non desiderate sono relativamente deboli, nei paesi in cui l’aborto è legale. 

Soluzioni estreme 

Che credito si può dunque dare alle raccomandazioni di un’organizzazione che si fonda su dati così poco affidabili, e che in tanto incerto quadro propone di sopprimere l’intervallo di riflessione o l’autorizzazione di un terzo o di un genitore (per le minori)? Non è decisamente disdicevole che un’agenzia specializzata dell’Organizzazione delle Nazioni Unite non sappia che proporre soluzioni estreme, saltando a piè pari ogni politica o misura di prevenzione? 

La salute delle donne è una priorità, evidentemente, soprattutto quando in gioco si trovano le loro vite. Eppure nessun dato è fornito sulle cause e sulle conseguenze mediche, psicologiche e sociali dell’aborto – elementi cruciali di comprensione, che potrebbero obiettivamente aiutare ad evitarlo. 

Promuovere l’aborto senza limiti di tempo è un messaggio mostruoso mandato a tutta la comunità internazionale. Si tratta di una procedura pesante, che mette in gioco delle vite (poiché implica l’uccisione in utero del feto, propedeutica all’induzione del parto di un nascituro morto). Una soluzione necessariamente traumatizzante per le madri come per il personale medico e paramedico. 

L’umanità del nascituro 

L’impatto doloroso di un tale messaggio, per ogni persona che aspetta o che cerca un bambino, per quanti si prendono cura del neonato prematuro o per quanti attraversano il lutto perinatale, è difficile da valutare. Certo è difficile che la cosa non li scalfisca. L’intera umanità del nascituro, anche di quello capace di vita e in buona salute, si trova totalmente negata. E con essa l’umanità tout court, la nostra umanità. 

Per prendere coscienza della realtà della vita umana dei neonati venuti alla luce nell’età gestazionale toccata dalla prospettiva di una IMG fino al nono mese, il professor Emmanuel Sapin, capo del reparto di chirurgia pediatrica e neonatale al Centro ospedaliero di Digione e specialista in chirurgia fetale, invitava i deputati autori dell’emendamento ad andare in visita in un reparto di rianimazione neonata: 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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