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La risposta di Gesù al senso di colpa

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Carlos Padilla - pubblicato il 06/05/22
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Non è una punizione, né recriminare o vergognarsi. Guardate come Gesù ha liberato Pietro dal suo tradimento

Il senso di colpa fa male. Quando mi sento colpevole, mi fa male l'anima. Sento di aver fatto male le cose e non posso fare marcia indietro. Non posso ricominciare. Mi piacerebbe, ma non è possibile.

Provare un senso di colpa per le cose che faccio male è sano. Quello che non è sano è quando faccio il male e non mi importa. Non sento di sbagliare, o semplicemente non mi sento colpevole per il male provocato.

E allora l'anima non mi fa male, e non sento di dover meritare un perdono. Il perdono è solo per i peccatori che si riconoscono colpevoli.

Avere l'anima rigida e indurita non mi permette di vedere errori nel mio cuore. Non mi sento colpevole di nulla. Gli altri sbagliano, io mai.

Ma il peccato pesa

L'altro estremo è sentire di essere colpevole di tutto. E anche se mi confesso, restano peccati nascosti che non riesco a purificare. Sono scrupoli che mi fanno ammalare.

A volte faccio qualcosa di male e vedo che la persona offesa non mi chiede il conto di ciò che ho fatto, non si arrabbia con me, non grida, non mi insulta.

Credo di meritare la sua rabbia, ma non la ricevo. Non menziona l'accaduto. Non fa riferimento al passato.

Ad ogni modo, ricordo tutto ciò che ho fatto, tutto quello che è successo. So che c'è stata negligenza o rabbia da parte mia. O semplicemente codardia e noncuranza.

Il mio peccato pesa. Quando ho un'anima onesta pesa molto.

Volevo fare il bene, ma...

A volte mi sento forte. Credo di poter affrontare da solo le sfide che ho davanti.

All'improvviso, però, tutto si ingarbuglia, e il bene che volevo fare diventa male o omissione.

Non faccio il bene che volevo fare. Smetto di agire. Mi lascio trasportare e non faccio nulla per aiutare, per essere misericordioso.

Il senso di colpa pesa. Il peccato mi lega. Sento il bisogno di confessare le mie colpe, di dire ad alta voce al sacerdote ciò che ho fatto di male. Di ascoltare parole di consolazione, luce.

E soprattutto quelle parole che mi liberano da ogni male, che mi perdonano. Ho bisogno di sentire che qualcuno mi perdona, che Dio mi perdona.

Il caso di Pietro

Forse Pietro aveva bisogno solo di questo. Quella notte, alla luce della luna, ha visto lo sguardo di Gesù mentre lui Lo rinnegava. E ha sentito un perdono immenso e senza parole. È stato il suo ultimo sguardo. Era quello che pensava.

Ora, però, Gesù è di nuovo davanti a lui, già risorto. Pietro non parla, non può dire nulla, non può scusare la sua condotta, non trova parole per sciogliere il nodo che ha in gola.

Se fosse stato più coraggioso, se fosse stato capace di riconoscersi Suo amico, fratello, figlio... Se non Lo avesse rinnegato con le sue parole, con i suoi silenzi, i suoi gesti...

Il senso di colpa non è la cosa più importante

Troppo tardi. Ora era davanti a Lui, accanto al lago. Lo ha portato da parte per parlargli. Gli rinfaccerà la sua codardia? Le sue domande mi commuovono ogni volta che le ascolto:

“«Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene»”.

Gli chiede tre volte la stessa cosa, o qualcosa di simile.

E Pietro ricorderà le tre volte in cui gli hanno chiesto se amava abbastanza Gesù da rischiare la sua vita per Lui:

«Anche tu eri con Gesù il Galileo». «Anche costui era con Gesù Nazareno». «Certo anche tu sei di quelli, perché anche il tuo parlare ti fa riconoscere». 

Pietro aveva rinnegato tre volte. Non era dei Suoi, non aveva la stessa lingua, non era discepolo. Ha rinnegato suo padre, i suoi fratelli, la sua origine. Ha rinnegato tutto.

La chiave è l'amore

E ora Gesù chiede ciò che conta: mi ami?

Non gli rinfaccia nulla di quello che ha negato nel momento di tensione, in quella notte oscura. Non recrimina. Non si vergogna di quel figlio che rinnega il padre.

No, Gesù non fa mai così. Non porta alla luce i miei peccati e non me li getta in faccia per farmi vergognare e umiliarmi.

Vuole solo sapere se lo amo davvero. Vuole aver chiaro se lo amo con tutte le mie forze, con tutto il mio cuore.

Vuole sapere se Pietro continua ad amarlo. E lo interpella tre volte, come tre volte è stato interpellato lui nel cortile della casa di Caifa.

Gesù ha già perdonato. Lo ha perdonato con lo sguardo quella stessa notte. Ma ora vuole sapere se Pietro è disposto a seguire i Suoi passi.

Questa è la domanda che conta.

Il giovedì, alla cena, Pietro voleva seguirlo, ma non era ancora arrivato il suo momento, non era ancora preparato. Poco dopo, Pietro ha verificato la sua debolezza. Non era pronto.

E ora? Cos'è cambiato? È cambiato tutto. Il duro pescatore di Galilea ora si sente fragile.

Non è più forte né arrogante. Non ha più l'energia di quella notte. Ma ha la fragilità della pietra che si è spezzata.

Quella notte in Pietro sono cambiate molte cose. Ha visto che non era forte come pensava di essere. Ha visto che non faceva tutto bene. Il suo peccato pubblico lo ha umiliato.

Tutti hanno saputo dei suoi rinnegamenti, o forse è stato lui stesso a raccontare poi la sua storia di conversione. Ciò che è certo è che oggi, ascoltando le domande, si intristisce.

Gesù sa tutto, sa che Gli vuole bene, ma chiede perché lui risponda. E Pietro risponde. Dice tre volte di sì, che Lo ama. Ha peccato, è caduto, ma Lo ama con tutte le sue forze.

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