Essere credenti ci rende vulnerabili sopratutto agli occhi di chi non è credente, o ha un atteggiamento di rabbia e denigrazione verso Dio. Quando ci attaccano sulla fede e noi ci troviamo la per la spiazzati, possono sorgere dubbi, incertezze. Si può mettere finanche in discussione la solidità della fede stessa. Allora dobbiamo farci trovare pronti ed essere bravi a “respingere” tali attacchi, senza che inficiano il nostro essere credenti.
Scoperte scientifiche e dolori innocenti
L’autorevole rivista gesuita La Civiltà Cattolica ne parla in un articolo di Josef Lobo, che spiega: «Può accadere che alcune dimensioni della fede di un credente siano messe in discussione da fattori quali prospettive e scoperte scientifiche, il dolore innocente, l’enormità del male nel mondo, le preghiere dei sofferenti che non hanno risposta ecc. In circostanze simili, il credente può rivelarsi esposto all’assalto di seri dubbi, e allora la fede con cui si rivolge a Dio (fides qua) potrebbe indebolirsi».
La lezione della donna incolta
La rivista dei gesuiti ci segnala alcuni esempi pratici per non farsi prendere dal “panico di fede”. «Dopo il martirio di sei gesuiti, della loro cuoca e della figlia quindicenne di quest’ultima, avvenuto a El Salvador nel 1980, una donna semplice e incolta, che aveva capito il significato di quell’evento, esclamò durante una funzione commemorativa: “Non piangete la loro morte..., imitate la loro vita”. Proprio perché la vulnerabilità è connessa alla fede, una vita sinceramente fondata sulla fede diventa testimonianza viva del Vangelo.
L’arcivescovo e i nazisti
E ancora: «Il cardinale Emmanuel Suhard, arcivescovo di Parigi durante l’occupazione nazista, aveva descritto l’esperienza di fede come un «vivere in modo tale che tutta la propria vita sarebbe inspiegabile se Dio non esistesse». In effetti, una fede che eviti qualsiasi rischio e vulnerabilità non può testimoniare il Vangelo».
Le “crepe” di San Paolo
“Creoe” nella propria fede, le hanno avute anche importanti santi. «San Paolo confessava ai Corinzi di soffrire a causa della spina che era stata messa nella sua carne dall’inviato di Satana (cfr 2 Cor 12,7). Trovava inoltre la propria forza nella debolezza che gli arrecavano oltraggi, difficoltà, persecuzioni e angosce, e forse anche nelle proprie debolezze spirituali».
La “semplicità” del non credente
D’altro canto, scrive La Civiltà Cattolica, solo «chi non professa una fede o valori morali può concedersi il lusso di ritenersi “libero” da qualsiasi costrizione, compresa ogni potenziale critica al divario tra professare la fede e praticarla nella propria vita. Non è così per chi esercita la fede e la moralità che ne deriva. Proprio per questo egli diventa vulnerabile alle critiche quando, nella vita pratica, manifesta un’evidente carenza nei valori e nelle credenze che afferma».
Le ammissioni di Papa Francesco
Il rimedio tuttavia, osserva la rivista dei gesuiti, «non è rinunciare a proclamarli, ma scorgere in quella situazione un richiamo all’umiltà e a una maggiore fiducia in Dio. Quella vulnerabilità, se viene accolta, in determinate circostanze può avere un grande valore di testimonianza. Per esempio, l’umile ammissione, fatta da papa Francesco, delle proprie imperfezioni e degli errori commessi dalla Chiesa cattolica in quanto istituzione ha accresciuto notevolmente il suo carisma personale».
I “benefici” della spinta verso Dio
È proprio l’impegno di fede verso un Dio pieno di amore, di compassione e di misericordia, un Dio di giustizia, «che fa nascere un’irresistibile spinta interiore ad alzare la voce per protestare contro l’evidente sfruttamento dei deboli da parte dei forti, e a schierarsi con decisione dalla parte delle vittime dell’oppressione sistematica, anche a costo di terribili privazioni, di grandi sacrifici, di persecuzioni implacabili, e persino di una morte immeritata». E’ questo che rende la vita piena e la fede sempre più solida anche nelle circostanze più difficili.