di María Belén Andrada
La parabola del figliol prodigo è a mio avviso una delle più toccanti. Ha tanti aspetti che possono aiutarci nella meditazione e nelle nostre conversazioni con Dio che sembrano non esaurire mai la loro ricchezza.
Spesso ho dovuto contemplarmi nel ruolo del figliol prodigo - forse è successo anche a voi -, altre volte nell'amore infinito del Padre che aspetta con pazienza e delicatezza il figlio perduto, e quando lo vede gli salta al collo e lo mangia di baci.
Forse, riconoscendo le nostre mancanze, è “più facile” riconoscerci nel figlio minore, dissipatore, che un giorno dimentica suo Padre, perché anche noi abbiamo sperimentato come Egli poi ci aspetti, ci cerchi, ci aiuti a ricominciare.
Anche il fratello maggiore, che appare molto brevemente e dice solo una riga al Padre, ci permette di riconoscere un mancanza non minore di quella del figliol prodigo.
Possiamo riconoscerci come il fratello maggiore?
“Un uomo aveva due figli. Io mi chiederei a quale dei due vorremmo assomigliare. Uno non aveva saputo custodire la sua anima, l'altro non aveva saputo donare il suo cuore. Entrambi hanno rattristato il padre; entrambi si sono mostrati duri con lui, entrambi hanno ignorato la sua bontà. Uno per la sua disobbedienza, l'altro nonostante la sua disobbedienza”, scrive Georges Chevrot ne Il figliol prodigo.
Forse ci costa riconoscerci come il figlio maggiore perché troviamo difficile riconoscere che anche lui ha agito male. Potremmo, forse incoscientemente, volerlo giustificare: “È vero, il figlio minore non merita tanto. Il Padre non è giusto”.
Dimentichiamo altre parole del Vangelo: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?” (Mt 19, 30-20, 16).
O magari non ci riconosciamo come il fratello maggiore perché vediamo che ha sbagliato a mettere in discussione l'Amore, a chiedere conto alla Sapienza. E invece ci vediamo “perfetti”, anche se poi pronunciamo le sue stesse parole: “Io ho sempre servito, sono sempre stato obbediente”.
Noi stessi “pensiamo con naturalezza che quando si parla di peccatori si tratti degli altri. Ed ecco che ci si presenta l'occasione, inaspettata, sorprendente, che ci convince del fatto che anche noi apparteniamo alla famiglia dei peccatori” (Georges Chevrot, Il figliol prodigo).
Anche il fratello maggiore era lontano da casa
“Per tutta la vita sono stato responsabile, tradizionale e 'casalingo'... E nonostante questo era perduto come il figlio minore”, scrive Henri Nouwen ne L'abbraccio benedicente. L'autore di questo testo meraviglioso racconta che un giorno, all'improvviso, si è visto in un modo del tutto nuovo.
“Ho visto le mie gelosie, la mia collera, la mia suscettibilità, il mio risentimento, e soprattutto il mio sottile essere farisaico. Ho visto quanto mi lamentavo, e ho verificato che gran parte dei miei pensieri e dei miei sentimenti era dettata dal risentimento”.
“Per un momento mi è sembrato impossibile aver mai potuto pensare a me come al figlio minore. Ero sicuramente il figlio maggiore, ma ero perduto come suo fratello, pur essendo stato 'a casa' per tutta la vita”. Può accadere anche a noi, fino al giorno in cui ci svegliamo. Apriamo gli occhi. Ci guardiamo, e quello che vediamo non ci piace.
E allora ci chiediamo: “In quale momento mi sono trasformato nel fratello maggiore?”
Se non siete ancora sicuri che sia il vostro caso, vorrei condividere alcuni “sintomi” che potrebbero aiutarvi a compiere questo esame. E se scoprite che assomigliate un po' al fratello maggiore, ricorrete al Padre, che vi aspetta con le braccia aperte e baci nuovi, come ha accolto il minore.
1. Risentimento… mattina, pomeriggio e sera
Citerò nuovamente Nouwen, nel momento in cui si scopre come il figlio maggiore. “Anziché essere grato per tutti i privilegi che avevo ricevuto, mi ero trasformato in una persona risentita: gelosa dei miei fratelli e delle mie sorelle minori che avevano corso tanti rischi e che nonostante tutto erano accolti con calore”.
Perché alcuni hanno questo e quello e io no? Perché Dio guida altre persone (buone) su una via più piacevole? Perché mi tocca questa croce così pesante e non quell'altra, che mi piacerebbe?
Perché, pur essendo una persona così buona, obbedendo a tutto... non ho quello che vedo che hanno i miei fratelli? Fratelli che, come penso, non lo valorizzano come farei io. Alcuni addirittura “non lo meritano”.
Farsi coinvolgere da queste domande o idee vi sta probabilmente portando sulla via del risentimento.
Antidoto: Potete chiedere a Dio “Dammi, Signore, un cuore nuovo”. Egli vuole rinnovarvi, vuole che il vostro cuore si doni completamente. Non ve lo negherà, se glielo chiedete con pazienza e affetto.
2. In fondo, vi rallegrate quando vedete gli altri sbagliare
Perché? A volte ci si può sentire soddisfatti vedendo che l'altro è caduto. Può accadere per un senso di autosufficienza (“Sono migliore”) o per una mancanza di carità (“Se lo meritava”).
Questo è un po' quello che è accaduto al fratello maggiore: “Mio fratello minore merita di morire di fame e vestirsi di stracci, ha deciso di vivere una vita dissoluta. Io merito la festa e il vitello perché sono sempre stato obbediente”.
Per fortuna, il Padre ha un criterio molto migliore del nostro al momento di ripartire la Sua misericordia. Di condividerla con noi, che abbiamo bisogno della Sua pazienza per correggere questo atteggiamento di superiorità.
Antidoto: Ricordate quello che ha detto San Giovanni, che non si può amare il Padre senza amare il fratello. Pregate per chi sbaglia, offrite qualche piccola mortificazione. Se pregate per queste persone, vi entreranno nel cuore.
3. Cercate riconoscenza o complimenti
Può accadere che dopo aver fatto qualche buona azione ci guardiamo alle spalle per vedere se qualcuno ci ha notati. E se nessuno ci fa i complimenti, almeno speriamo che Dio ne tenga conto e ci dia qualcosa – una grazia speciale, un favore... - in cambio.
Al contrario, se agiamo in modo silenzioso, discreto, ma nessuno dice niente al riguardo, possiamo sentire montare il disagio in noi.
Come il figlio maggiore, che si aspettava una festa e un capretto per festeggiare con i suoi amici in cambio delle sue buone azioni.
Conviene tuttavia ricordare che il guadagno più grande a cui possiamo aspirare non si trova in questa vita. Possiamo anche confidare nelle Parole del Padre, che vede nel segreto e in segreto ricompensa.
Antidoto: L'umiltà, su cui si basano tutte le virtù. Conoscete le litanie dell'umiltà? Vi invito a recitarle. Aiutano, soprattutto dopo ogni Comunione. O potete meditarle nella preghiera.
4. I miglioramenti dell'altro non sono mai sufficienti
Quando accompagnate spiritualmente qualcuno – ad esempio come catechisti –, osservate che la persona che aiutate non progredisce rapidamente come vorreste. O inizia a pregare, ma non va a Messa, o recita il Rosario, ma non sempre. E qualcosa dentro di voi si esaspera.
Credo che ci siano due motivi di fondo. Da un lato, paragonate l'altro a voi stessi, e se cercate di crescere nelle virtù o nella vita di preghiera e vi sforzate al riguardo, volete vedere negli altri lo stesso sforzo. Può anche essere perché nei vostri sforzi si è perso di vista il fatto che non sono lotte vuote o personali, ma un cammino per amare sempre di più.
Al fratello maggiore è successo questo: è diventato geloso vedendo che tornava alla casa del Padre ma con uno sforzo inferiore al suo. Lo sforzo del figliol prodigo per tornare alla casa paterna era basato sulla fiducia nella misericordia paterna e sul lasciarsi amare.
Il fratello maggiore, invece, basava i suoi meriti sui sacrifici, sul volontarismo, mentre lavorare nella casa del Padre gli costava.
Dall'altro lato, può esserci un po' di superbia nascosta. Forse vi sentireste meglio se l'altro “progredisse” più rapidamente, perché lo avete aiutato?
Antidoto: Portare le lotte e le necessità degli altri nella preghiera. Riscoprire che è il Padre che dona la Sua grazia e aiuta i Suoi figli, li aspetta e rispetta i tempi di ciascuno.
5. Fate, fate... ma è puro volontarismo
Il fratello maggiore dice al Padre che lo ha sempre servito. Ha abbassato la sua condizione di figlio amato per vedersi come un servo obbediente. Un impiegato di casa sua, e uno molto bravo, che non sbaglia. Ma che ha dimenticato di amare.
Al fratello maggiore importa più avere una carta di servizio immacolata, ma non si è occupato di ripulire il suo cuore. Perché questo ora è posto nelle cose che fa, e non nella persona per cui le fa.
Fare quello che vediamo che conviene fare non è sbagliato, ma dobbiamo educare la nostra libertà per sceglierle anche con il cuore. Perché chi “fa, fa, fa...” si stanca, ma chi “ama, ama, ama...” ama sempre più.
Antidoto: Meditate sulla libertà che Dio ci dà per scegliere quello che Egli ci propone, per amore di Chi propone e non per sfoggiare una lista di successi.
6. Vi irritate se i vostri compagni non fanno le cose “a modo vostro”
A modo vostro? Ma se cerchiamo di fare le cose alla maniera di Dio! E ciascuno ha una strada. Bisogna imparare ad essere meno intransigenti di fronte a ciò che non è peccato. Quella persona prega mentre cammina? Quell'altra ascolta un audio del Rosario? Quell'altra ancora ha i capelli viola?
Antidoto: Ricordate che nella Chiesa ci sono molti carismi. Meditate su quello che ci ha insegnato San Paolo: “Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ci sono dunque molte membra, ma c'è un unico corpo”.
7. Vi infastidisce il fatto che altri vivano la vita che avete scelto di non vivere
Mi chiedo se il fratello maggiore non abbia mai pensato di andarsene di casa. Forse è rimasto ma non perché desiderasse condividere la vita con il Padre. Forse sapeva che il fratello minore aveva fatto male, ma una parte di lui invidiava la sua apparente libertà, i suoi divertimenti.
Forse sapeva che il fratello minore non stava agendo nel modo corretto, ma non sapeva nemmeno perché era giusto rimanere.
Questo sintomo accompagna il punto 5: fare le cose per volontarismo, non per amore. Non con libertà. E allo stesso tempo risentirsi e arrabbiarsi vedendo gli altri fare qualcosa di diverso da ciò che si è scelto.
Forse non facciamo qualcosa perché diciamo che “è peccato”, e basiamo la nostra condotta su una lista di negazioni anziché di affermazioni. L'affermazione di ciò che è bene.
Antidoto: Ricordate che non dite “No” a qualcosa di negativo... state dicendo “Sì” a qualcosa di positivo. A volte direte anche “No” a qualcosa che non è negativo per dire un “Sì” forte e chiaro a qualcosa che è molto meglio.
8. Avete dimenticato la vostra storia d'amore con Dio
San Josemaría Escrivá ha scritto: “Qual è il segreto della perseveranza? L'Amore. Innamoratevi, e non 'lo' lascerete”. Ne ho già parlato in precedenza, ma permettetemi di insistere ancora una volta sull'importanza di lavorare sull'amore.
Le relazioni durano quando ci si lavora. L'amore cresce quando gli si dedica del tempo. E Dio è una Persona. Vuole ascoltarvi, vuole aiutarvi, e vuole anche che voi Lo ascoltiate. Che Gli dedichiate del tempo.
Se tenete il cuore “acceso”, vi aspetta un cammino fantastico. Sarà stancante, e non mancheranno gli sforzi, ma avrà un senso nuovo. Tutta la vostra vita avrà un rilievo divino, emozionante.
Antidoto: Curate in modo particolare i momenti di preghiera. Sedetevi davanti al Santissimo, se potete, e parlate con Lui. Raccontategli come Lo avete conosciuto, ricordate i vostri primi passi nella fede, chiedetegli come potete ravvivare la fiamma dell'amore.
9. Il sintomo finale (e conclusivo)
Se leggendo uno dei sintomi – o tutti – vi siete detti “Sono un disastro! Sono come il figlio maggiore!”, non scoraggiatevi! Forse non lo siete.
Sentire non significa acconsentire. Percepire nel corpo la sensazione di fastidio o ira è naturale, ma rifiutarla e cercare di rispondere partendo dall'amore è più che naturale, è soprannaturale.
Se lottate in questo modo, non siete il fratello maggiore. Siete solo un fratello, che cerca di amare i suoi fratelli, anche se sbaglia, anche se ha delle debolezze. Questo è il cammino della santità. Andate meglio di quanto crediate.