«Ah, beata lei!», «Sono proprio un nulla in confronto a lui, che sa così tante cose!» «È la sua prediletta, lei!»… Parole (o pensieri) ricorrenti, quei banali, che manifestano sentimenti di gelosia più o meno pronunciati.
È un sentimento che si immischia in tutte le sfere della vita: famigliare, professionale, amicale, comunitaria… Catherine Aubin, religiosa domenicana a Montréal e autrice del recente libro Mourir d’envie ou vivre d’amour ? [Morire d’invidia o vivere d’amore?, N.d.T.] (Artège), qualifica la gelosia di malattia spirituale e propone numerose piste per passare dalla «schiavitù dell’invidia» alla «gioia e alla libertà della meraviglia». È urgente, a suo avviso, riconoscere i danni causati dalla gelosia (odio di sé, tristezza, desiderio di vendetta…), per chiudere le porte del nostro cuore alla menzogna, ai confronti, all’orgoglio, e aprirne altre – luminose e costruttive – che sono altrettanti antidoti alla gelosia.
1Sapersi unici
Amare sé stessi e sapersi incondizionatamente amati da Dio sono possenti antidoti alla gelosia. Se si accetta l’idea che ogni persona è unica, allora non c’è più posto per la gelosia, non c’è più alcuna ragione di odiare chicchessia. Scrive il filosofo Martin Buber:
Tutto sta nell’accogliere il proprio posto, la propria unicità, e conseguentemente nel discernere la missione e la fecondità proprie. Sottolinea Catherine Aubin:
2Benedire
“Benedire”, dal latino benedicere, significa “dire del bene”. Un altro antidoto all’invidia e alla gelosia non sta nel cambiare il proprio sguardo sugli esseri e sulle cose che ci circondano? Saper riconoscere e posare gli occhi sui doni di Dio? Per questo si tratta di abbandonare lo sguardo invidioso e di acquisire uno sguardo sano, che vede il bene, il migliore, ovvero le potenzialità insite in ogni essere, in ogni cosa, in ogni evento.
In tal senso, Giovanni Climaco invita a glorificare il Creatore, ad esempio, alla vista di una bella donna, invece di concupire il suo corpo o di essere gelosi della sua bellezza.
Dio ha creato tutto nella/per la benedizione. Ognuno è dunque chiamato a benedire quel che si offre a lui, piuttosto che dare per scontate le cose. In questa prospettiva, la quotidianità diventa allora fonte di meraviglia e di gratitudine.
3Meravigliarsi
Anche lo stupore è un buon antidoto alla gelosia. Per Catherine Aubin, lo stupore necessita una decisione, quella di «implicarsi nel bene migliore». Significa approfittare di una situazione che ci sembra ingiusta per concentrarsi su un bene al di là, su qualcosa che ci supera. Ad esempio: invece di essere gelosi di una collega per le sue competenze, decidere di meravigliarsene. Un’esperienza che si rivela fonte di grande libertà.
4Entrare nella gratitudine
L’eterna insoddisfazione conduce rapidamente alla gelosia, alla concupiscenza. Quante volte ci capita di non essere “mai contenti”: di ricevere un dono ma di non essere completamente soddisfatti, perché ne avremmo voluto uno più grande, o diverso, oppure offerto in altre circostanze… «La nostra concupiscenza verte spesso su tutto», constata Catherine Aubin. Volere tutto e subito:
Al contrario, entrare nella gratitudine significa riconoscere i doni di Dio, «la generosità e l’abbondanza offerte nel quotidiano». Un’esperienza che apre alla presenza e all’amore di Dio per le sue creature.
5Aprirsi alla carità
Amare come Dio ama, ecco un modo per allontanare ogni traccia di gelosia.
Infatti l’amore vero, così come l’ha definito san Paolo scrivendo ai Corinzi, «non è geloso» (1Cor 13).
Una carità che si applica anche ai nemici, a quanti ci fanno ombra. Quando la gelosia fa capolino, Catherine Aubin invita a benedire il prossimo riprendendo in ogni occasione questa parola:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]