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Le Piagnone di Romont: processione tutta rosa (in nero) del Venerdì Santo 

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Anne Bernet - pubblicato il 15/04/22
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Antica di sei secoli, la processione della Settimana Santa di Romont, in Svizzera, è la sola al mondo completamente performata da donne.

Non sappiamo più che cosa sia la croce, non ne misuriamo più lo scandalo e l’orrore. L’avvicinamento di Costantino al cristianesimo, dopo la pubblicazione dell’editto di Milano, nel 313, che metteva fine alle persecuzioni, ha innescato all’epoca, con l’influenza della Chiesa, una vera rivoluzione sociale. 

Questa si è tradotta, fra l’altro, nella soppressione di un certo numero di supplizi particolarmente atroci, che non si accontentavano di uccidere la vittima ma ledevano la dignità umana. Così la crocifissione è uscita dall’arsenale giuridico, per rispetto alla Passione del Salvatore e in memoria dei numerosi cristiani che lo avevano seguito nella medesima morte. 

Dallo scandalo alla venerazione della croce 

Fino all’inizio del iv secolo, tutti sapevano che cosa significasse agonizzare sulla croce, e come si trattasse di un castigo riservato a quanti si sono rivoltati contro l’Impero, dunque infamante. Questa è pure la ragione per la quale ai primi cristiani ripugnava rappresentare il Cristo crocifisso, così che le sole immagini di questo tipo diffuse all’epoca sono caricature blasfeme provenienti dai nemici della Chiesa, ad esempio il graffito ritrovato a Roma nella scuola dei paggi del palazzo imperiale, al Palatino, raffigurante un crocifisso con la testa d’asino (ironia oscena e antisemita al contempo) corredata dalla didascalia “Alexamenos adora il suo dio” – e possiamo immaginare che Alexamenos fosse uno dei giovani schiavi alunni dello stabilimento. 

Allo stesso modo, i primi cristiani non facevano il segno della croce: la pratica si sarebbe diffusa solo dopo il iii secolo, quando i cristiani si sarebbero accorti del potere esorcistico del segno della croce. Si contentavano del più discreto gesto delle tre croci tracciate su fronte, labbra e cuore, come facciamo ancora oggi prima della lettura del Vangelo. 

Paradossalmente, è dunque quando la realtà tragica, cruenta e sordida della crocifissione scompare… che diventa possibile la venerazione della croce. Essa ha il momento culminante nell’“invenzione” (ossia etimologicamente nella scoperta) dello strumento del supplizio di Cristo durante il viaggio dell’imperatrice Elena a Gerusalemme, intorno al 330. Da allora, la Croce, «legno santo che portò la salvezza del mondo» (per dirla con le parole di Venanzio Fortunato), è al cuore delle devozioni cristiane, specialmente durante la Settimana Santa, ma anche durante le due feste del ritrovamento e dell’esaltazione della Santa Croce, a maggio e a settembre. 

Le grandi processioni della Settimana Santa 

Questa devozione conosce un nuovo slancio a partire dall’xi secolo, con le crociate e con la riconquista della Terra Santa, ma è dopo la perdita di San Giovanni d’Acri e degli ultimi territori controllati dai Latini, nel 1291, che il mondo cattolico prese a esaltare non più la croce gloriosa che, portata da san Michele, infuocherà il Cielo nell’ultimo giorno, ma la croce dolorosa, il vero strumento della Passione. 

Ora che era diventato impossibile, o quasi, recarsi a Gerusalemme e lì percorrere la Via Dolorosa, i fedeli venivano incitati a rivivere, il Venerdì Santo e anche ogni venerdì dell’anno, le sofferenze di Cristo per il riscatto delle loro colpe, al fine di associarsi al suo sacrificio. In particolare i Francescani, che già avevano reso popolare il presepe di Natale per aiutare la contemplazione della Natività, sarebbero diventati propagatori della via crucis

Ci sono diverse maniere di farlo: dalla più semplice, che consiste nel seguire le quattordici stazioni (dal giudizio di Pilato alla deposizione nel sepolcro) meditandole una a una, fino alle grandi rappresentazioni medievali dei misteri, che si svolgono sui sagrati di chiese e cattedrali. 

E poi c’è un altro modo, a metà fra la ricostruzione teatrale dell’evento e la sua pia meditazione: le grandi processioni della Settimana Santa, durante le quali le immagini venerate di Cristo, dell’Addolorata, talvolta delle pie donne e di altri personaggi del Vangelo, sono portate attraverso le strade della città, accompagnate da confraternite e penitenti che, a piedi nudi, curvi sotto il peso delle statute e sotto quello delle loro colpe, vengono a espiare i loro peccati personali e quelli della collettività. 

Molte di queste processioni sono celebri, soprattutto quelle spagnole… ma anche quelle corse o di altre regioni di Francia e Italia. Prima del Covid, esse convogliavano folle (spesso più attratte dal folklore religioso che dalla portata spirituale dell’evento). Vietate dal 2020, anche a Siviglia […], probabilmente esse conosceranno una ripresa a partire da quest’anno. 

Una processione singolare 

Tra queste manifestazioni di pietà popolare, quella di Romont (non lontano dalla Fribourg svizzera) si segnala – se non per la magnificenza andalusa – per l’originalità. Antica di sei secoli, è la sola al mondo interamente diretta e performata da donne. La storia è singolare: al tornante fra il xiii e il xiv secolo, quando gli abitanti di Romont (grosso borgo oggetto di feroci rivendicazioni tra la Savoia e l’Impero) stabilirono questa processione nella speranza di ottenere il soccorso celeste che li liberasse dalla guerra, essa somigliava un po’ a tutte le altre. Come dappertutto, i peccatori desiderosi di espiare le loro colpe partecipavano alla processione a piedi nudi, curvi sotto al peso dei simulacri dei santi. Come dappertutto, per discrezione, il loro anonimato e la loro umiltà venivano preservati dall’uso di un cappuccio che permetteva loro di confondersi tra gli altri membri della confraternita. 

A Romont, come altrove, queste cerimonie espiatorie restavano cosa da uomini, benché esistessero pure, in rari luoghi, delle “consorèllite” di penitenti. Romont, appunto, ne possedeva una, e quelle donne vollero mantenere il proprio posto nella storia. Altrove le donne non erano che spettatrici, autorizzate soltanto a seguire la processione pregando e cantando. Le cittadine di Romont non vollero accontentarsi di un ruolo che giudicavano troppo passivo: mentre gli uomini del borgo e del circondario, in spirito di riparazione e di espiazione, si caricavano di gravi croci e s’immedesimavano nel Cristo che sale al Calvario, lungo un percorso difficile e accidentato, ansimando lungo le stradine scoscese della città (e il nome “trascina-croce” rende bene l’idea di quanto dura sia l’esperienza), una dozzina di donne e di ragazze impersonavano le donne di Gerusalemme e le altre sante donne. Vestite di nero in segno di lutto e di penitenza, nascoste sotto spessi veli che impediscono di identificarle, esse precedono il corteo portando solennemente su dei cuscini in velluto rosso gli strumenti della Passione, e accompagnano la processione con un lungo recitativo dagli accenti di lamento, unico commento agli eventi (dunque niente meditazioni da via crucis). Questa tragica deplorazione vale loro il nome di “Pleureuses” [Piagnone, N.d.T.]. 

Un vero colpo di Stato 

Questa processione mista era già così, per circa quattrocento anni, singolare, ma ecco che nel xix secolo un evento sconvolse totalmente lo svolgimento delle cerimonie del Venerdì Santo a Romont: una notte un incendio (flagello dei borghi di montagna dalle case in legno) distrusse il locale in cui erano custodite le croci dei “trascina-croce”. Non c’era il tempo di fabbricarne altre in tempo per la Settimana Santa. Gli uomini non lo sapevano ancora, ma esse non sarebbero state mai più ricostruite, perché le signore ne abbevero approfittato per un vero “colpo di Stato”. 

Quell’anno, invece di annullare le celebrazioni le donne di Romont decisero di perpetuare la processione, a qualunque costo, e percorsero la città da sole, in un silenzio assoluto, precedendo fin dall’uscita dalla chiesa un clero rassegnato a lasciar loro la direzione della cerimonia – che risultò però di un raccoglimento, di una dignità e di una grandezza impeccabili. S’instaurava una nuova tradizione, alla quale non si sarebbe mai più derogato, anche quando intorno al 1970 (nell’atmosfera del post-concilio) alcuni ecclesiastici tentarono di scoraggiare, ridicolizzandole, quelle che chiamavano “superstizioni popolari”. Le Piagnone, imperturbabili, rifiutarono di rinunciare alla loro grave processione, e lasciarono i preti nel loro garrulo risolino. 

Una spoliazione che colpisce e fa riflettere 

Qualche anno più tardi, tuttavia, quei “progressisti” credettero di starsele per togliere di mezzo perché, col “progresso” dei costumi, alcune ragazze o adolescenti (spesso già chierichette), entrate nella “consorernita”, avrebbero visto nell’evento uno spettacolo di folklore e non più religioso, un’occasione per divertirsi o mettersi in mostra. 

Questa deriva avrebbe potuto condurre in un tempo ragionevole all’estinzione delle Piagnone, se la responsabile del gruppo, dotata di forte carattere e capace di imporsi su tutti (a cominciare dal parroco), non avesse agito con fermezza escludendo dal gruppo le giovani scervellate, rimpiazzate una a una da donne mature per le quali ogni momento del rituale, ogni gesto trasmesso dalla tradizione, ogni parola del loro lamento hanno un valore religioso intangibile e sacro. 

Ecco come la processione del Venerdì Santo a Romont, benché attiri curiosi da tutta la Svizzera e dall’estero (anche mediante i media), ha recuperato il suo carattere fervoroso. Certo, a Romont non si trovano i fasti delle Settimane Sante andaluse ma, nella sua grave spoliazione, la lenta marcia delle dodici figure nere recanti gli strumenti del nostro riscatti, accompagnata dalla loro terribile deplorazione, ha di che colpire e far riflettere. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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