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Tornielli: i media del Vaticano difendono lo “schema di pace” del Papa 

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i.Media per Aleteia - pubblicato il 13/04/22
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Intervista al direttore editoriale dei Media del Vaticano, Andrea Tornielli: i presunti silenzi del Papa, la strategia di pace della Chiesa.

Fin dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina, il 24 febbraio 2022, gli organi di comunicazione della Santa Sede si sono fortemente mobilitati per documentare la prostrazione in cui versa il popolo ucraino. Il Papa e la Segreteria di Stato sembrano, da parte loro, posizionarsi su principî più generali al fine di meglio preservare i contatti con Mosca per poter assicurare un’eventuale mediazione. Il direttore editoriale dei media del Vaticano, Andrea Tornielli, torna con i.Media sulla posta in gioco di questa guerra sul piano della comunicazione. 

i.Media: Da più di un mese Vatican News e L’Osservatore Romano hanno pubblicato numerosi articoli sulla guerra in Ucraina, denunciando chiaramente la responsabilità della Russia, mentre il Papa si esprime in modo meno frontale. Come si stabiliscono le direttrici sulla copertura di questa guerra, al livello del Dicastero per le Comunicazioni? 

Andrea Tornielli: I media del Vaticano cercano di assicurare una comunicazione basata sui fatti, e di sostenere gli appelli del Papa. Fin dal principio, l’aggressore e l’aggredito non sono mai stati messi sullo stesso piano. È chiaro che c’è un paese aggressore e un paese che è stato aggredito. E dunque il fatto che Vatican News e L’Osservatore Romano abbiano fatto titoli su quel che è accaduto nella guerra non è assolutamente strano. 

Altro discorso riguarda le critiche fatte al Papa per non aver mai menzionato il nome di Vladimir Putin. Vorrei però ricordare che nella storia degli ultimi decennî, nelle loro allocuzioni, i Papi hanno sempre evitato di fare nomi. Possiamo ricordarci che, durante i fatti del Kosovo, nel 1999, Giovanni Paolo II non ha mai nominato Milošević nei suoi appelli pubblici. E dopo l’inizio dei bombardamenti della NATO, nella Pasqua del 1999, il Papa ha chiesto l’apertura di corridoi umanitari. 

Dunque è in continuità con i suoi predecessori che papa Francesco parla su un piano pastorale. Egli è vicino alla sofferenza delle vittime, e direi che le sue parole e i suoi appelli cercano di far prevalere quel che egli ha definito, sul volo di ritorno da Malta, come uno “schema di pace” e non uno “schema di guerra”. Egli cerca altresì di mantenere uno spiraglio aperto per tenere una possibilità di mediazione con tutti. Dunque non c’è nulla di sorprendente. Nessuno può dire che il Papa non abbia denunciato chiaramente quel che sta accadendo. Se si leggono bene i discorsi, si vede che lo ha fatto chiaramente. 

i.M: Si può dire che il fatto di “sporcarsi le mani”, di affrontare le critiche mantenendo sempre i contatti anche con “i cattivi”, fa parte della missione di un Papa, anche a costo di vivere una forma di “martirio mediatico”? 

A. T.: Io non direi che questo sia uno “sporcarsi le mani”. Mantenere la porta aperta è anzitutto una questione di realismo, un’attitudine evangelica. Il realismo politico è sapere come uscire da questa situazione, e definire quale futuro di pace possiamo costruire. 

Non si tratta soltanto di un conflitto locale o regionale tra la Russia e l’Ucraina, ma di un conflitto la cui escalation potrebbe condurre alla terza guerra mondiale. Dunque quella del dialogo resta la posizione più realista, non soltanto su un piano profetico ma anche in una visione politica a lungo termine, quale è sempre quella in cui si iscrive l’azione del Papa. 

Il Papa non ha paura di dire le cose come stanno. Ha detto che la guerra è un “sacrilegio”, ha utilizzato parole fortissime. Ha però anche coscienza che ci sono due soluzioni possibili: o si arriva a una tregua e a una forma di negoziato, oppure l’escalation ci porta a qualcosa di ancora più spaventoso. 

i.M: Il patriarca di Mosca, che resta un interlocutore di papa Francesco, ha pronunciato omelie molto aggressive nei riguardi dell’Occidente. Come vengono trattati, i suoi interventi, sui media vaticani? 

A. T.: Chiaramente sono omelie che mostrano un totale allineamento, un’identificazione con le politiche del Cremlino. Non ci sono altri modi per definirle… Sappiamo però che è in corso un lavoro in sento alla Chiesa ortodossa russa in Ucraina. C’è ad esempio una petizione firmata da centinaia di preti e anche da alcuni vescovi, critici in rapporto alle posizioni del patriarca di Mosca. Dunque è un momento molto difficile in seno alla Chiesa ortodossa. I media del Vaticano hanno pubblicato articoli su questa petizione chiedendo al patriarca di mutare posizione. 

i.M: I viaggi del Papa in Iraq e in Centrafica hanno mostrato che Francesco non ha paura dei cosiddetti “viaggi impossibili”. Adesso ci sono enormi attese quanto a un viaggio di papa Francesco a Kiev. Qual è la posizione dei media del Vaticano su questo progetto? Il semplice fatto che questo sogno venga formulato è un’informazione in sé, oppure la scelta è invece di aspettare a parlarne, per ragioni di prudenza diplomatica? 

A. T.: Il Papa ha detto chiaramente che è una proposta “sul tavolo”. Se i media vaticani parlassero di un sogno, si darebbe l’impressione che il sogno sia una realtà. Per il momento, si tratta di un’ipotesi al vaglio. Il Papa ha detto molto chiaramente di essere disposto a fare qualunque cosa «ove se ne diano le condizioni». Allora bisogna chiedersi quali siano le “condizioni”. 

Io non credo che a questione prioritaria, da parte del Papa, sia quella della sicurezza. Chiaramente la problematica esiste, ma abbiamo visto che il Papa ha effettuato viaggi molto pericolosi in Iraq e in Centrafrica, contro il parere di tutti… 

Credo però che la preoccupazione del Papa sia soprattutto quella di sapere se un tale viaggio possa contribuire, concretamente, nel fermare la guerra. Quali sono le condizioni che permetterebbero di fare in modo che un tale viaggio contribuisca a un passo concreto, stabile, effettivo, verso la pace? Io penso che sia questa la domanda principale in rapporto al progetto. Sarebbe in ogni caso un viaggio per la pace, per manifestare prossimità riguardo a tutti – alle Chiese, alla popolazione. Prima però di guardare a queste modalità, bisogna anzitutto sapere se si diano le condizioni di un viaggio. 

i.M: Come lavorano le sezioni russa e ucraina di Radio Vaticana, in questo frangente bellico? 

A. T.: Fin dall’inizio dell’offensiva russa, abbiamo organizzato riunioni quotidiane allargate, che hanno implicato molte più persone del solito. Abbiamo dato voce e spazio ai nostri colleghi di quelle piccole sezioni, che sono costantemente in contatto con i loro cari e con le Chiese locali. 

È stato molto bello celebrare il Mercoledì delle Ceneri con tutte le redazioni: la messa è stata concelebrata all’altare dal prete responsabile della sezione russa e dal prete responsabile della sezione ucraina, che è un greco-cattolico. C’è stata una preghiera particolare, è stato un momento molto bello. 

Insomma qui, a Palazzo Pio, è una guerra che sentiamo fortemente, perché quotidianamente lavoriamo con colleghi ucraini e russi. E poi abbiamo avuto degli inviati per accompagnare i cardinali partiti per andare incontro ai rifugiati ucraini. 

i.M: Questa solidarietà fra le differenti sezioni ha permesso insomma a Radio Vaticana di diventare uno snodo di sostegno umanitario per l’Ucraina? 

A. T.: Sì, ci sono stati degli annunci, e in particolare abbiamo partecipato alla colletta organizzata dall’Elemosineria Apostolica. Mediante i legami personali di certi colleghi, abbiamo rilanciato le informazioni sulle iniziative di solidarietà organizzate a Roma, per comprendere come potevamo aiutare. 

i.M: Questa tragica situazione nel cuore dell’Europa ha permesso di riscoprire l’importanza delle piccole sezioni linguistiche di Radio Vaticana, dopo un periodo di loro rimessa in discussione, nel quadro della riforma della Comunicazione? 

A. T.: I media del Vaticano trasmettono e pubblicano informazioni in cinquantuno lingue differenti. Tutte le lingue sono importanti, tutte le culture sono importanti. In un’occasione come questa, vediamo emergere ancora più chiaramente il valore di questo multilinguismo. Finché sarà possibile, esso continuerà ad esistere, ed è bello che sia così. 

L’atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria ha potuto essere seguito sia in Russia sia in Ucraina. Ogni giorno ci domandiamo come comunicare seguendo lo “schema di pace”. Queste redazioni rappresentano un ponte e un contatto diretto con quei Paesi. 

Non c’è però bisogno della guerra in Ucraina per rendersi conto dell’importanza di queste sezioni: ricevere informazioni in una lingua che si comprende intimamente è tutta un’altra cosa. In India, ad esempio, l’inglese è compreso pressappoco ovunque, ma le trasmissioni in hindi o in malayalam comunicano dell’altro. Sono cose che permettono ad alcuni ascoltatori di ricevere notizie sul Papa e sulla Santa Sede nella lingua del cuore, la lingua materna. È una cosa diversa, e questo ha grande valore sul piano culturale. Il multilinguismo resta dunque un obiettivo centrale per i media del Vaticano. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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