Il 2 aprile 2005, a Roma, Piazza San Pietro è piena di fedeli raccolti in preghiera. Giovanni Paolo II vive i suoi ultimi istanti terreni nel suo appartamento in Vaticano. Attorno al papa polacco, oltre a medici e infermieri, si trovano i suoi due segretarî (fra cui il futuro cardinale Dziwisz), il suo grande amico mons. Marian Jaworski, il cerimoniere papale mons. Konrad Krajewski. E Wanda Półtawska.
Quest’amica del tempo in cui viveva a Cracovia fa parte della “famiglia” del Papa. È la sua “sorellina”, la sua amica spirituale, la sua consigliera. Psichiatra, madre di quattro figli e già superstite del Lager nazista di Ravernsbrück, riassume la sua amicizia spirituale con Giovanni Paolo II, lunga mezzo secolo, con queste parole annotate nel suo diario:
Ho parlato con quest’uomo per cinquant’anni di Dio, della situazione del mondo. Era preoccupato per le persone. Amava la gente.
Nel suo salone, pieno di libri, di foto di famiglia (alcune delle quali in compagnia di Karol Wojtyła a Cracovia… e più tardi a Castel Gandolfo). È primavera, e Wanda Półtawska, che ha festeggiato i suoi cento anni nello scorso novembre, guarda attraverso la grande finestra aperta sui tetti e sulle campane delle chiese che circondano il Rynek, la celebre piazza della città vecchia. Il cielo, così blu nel pomeriggio, sembra vegliare su di lei. L’abbiamo intervistata per voi.
Marzena Wilkanowicz Devoud: Lei ha accompagnato Giovanni Paolo II nei suoi ultimi istanti di vita e fino alla morte, sopraggiunta alle 21:37 del 2 aprile 2005. Come gli ha detto addio?
Wanda Wiktoria Półtawska: Non risponderò mai nei dettagli a questa domanda. Quei momenti devono restare nel mio cuore. Ero semplicemente lì vicino a lui, di tanto in tanto parlavamo. Mi diceva: «Mi affaticano», riferendosi alle dolorose cure che i medici gli applicavano. Gli rispondevo: «È l’ora dei medici, ma presto sarà l’ora del Cielo».
M. W.D.: Come è nata la vostra amicizia spirituale?
W.W. P.: Il Santo Padre la chiamava “comunione personale”. Credo che questo per lui significasse una comunione delle anime. Ci siamo incontrati in confessionale, nel 1953. Non è accaduto nulla di straordinario, ma l’attenzione, il tono e le frasi che mi diceva rispondevano così bene a quello che volevo! E ho avuto una immediata certezza: sarei tornata da quel prete, perché mi comprendeva.
Terminavo i miei studi in Medicina, quando padre Wojtyła, giovane sacerdote, dopo gli studi romani, si è visto affidare due pastorali: quella degli studenti e quella dei medici. Io facevo parte di quest’ultima. Così la nostra amicizia cominciò a crescere. Del resto, molti studenti avevano legami assai stretti con lui, che andava verso di loro. Amava veramente le persone.
M. W.D.: Sì, ma lei padre Wojtyła la chiamava sua “sorella”… Quando è stato consacrato vescovo, nel 1958, alla fine della cerimonia, qualcuno gli chiese parlando di lei se lei fosse sua sorella, e lui: «Sì, è mia sorella».
W.W. P.: È vero che nel corso del tempo siamo diventati fratello e sorella. Firmava le sue lettere rivolte a me con un semplice “fratello”. Bisogna capire che facevamo insieme tutto: lavoravamo insieme, pregavamo insieme, leggevamo insieme, facevamo passeggiate in montagna insieme. Avevamo le medesime preoccupazioni, specialmente quelle legate ai problemi delle coppie e delle famiglie.
M. W.D.: Da dove veniva questa particolare dedizione a coppie e famiglie?
W.W. P.: Fu nostro cappellano all’epoca in cui l’aborto era diventato legale e gratuito in Polonia (nel 1956). Vedeva, come me, delle giovani in coda… per abortire. Per lui fu uno choc terribile: non poteva concepire il peccato dell’uccisione del proprio figlio.
Allora, una volta diventato arcivescovo, la prima cosa che fece fu di apportare un sostegno morale, materiale e finanziario a tutte le donne incinte e nel bisogno. Voleva aiutarle prima che fosse troppo tardi. Fu in quel momento che la coppia e la famiglia sono diventate la priorità nella sua pastorale, con la preparazione al matrimonio e tutta la sua riflessione filosofica e antropologica sull’amore fra uomo e donna. Per lui, il compimento perfetto dell’amore passa dal reciproco dono di sé.
M. W.D.: Come si occupava delle coppie in crisi e sull’orlo del divorzio?
W.W. P.: Karol Wojtyła cercava sempre di mettersi in ascolto dei loro problemi e di aiutarli. Ha compreso molto presto che la Chiesa doveva prendersi cura di queste famiglie. Fu in quel momento che mi ha chiesto di lavorare con lui, in quanto psichiatra, per dei bambini e degli adolescenti.
Un giorno gli ho chiesto di fare un ritiro spirituale per delle coppie fragili di cui mi occupavo. Mi ricordo la sua prima frase: «C’è una sola soluzione: passare dalla porta dell’umiltà». Quelle coppie chiesero poi di poter continuare i ritiri con padre Wojtyła, e fu così che nacque la formazione in Teologia della Famiglia. Lavoravamo insieme. Il suo scopo era salvare tutte le coppie e le famiglie minacciate. Il futuro papa Giovanni Paolo II voleva ad ogni costo che riscoprissero il carattere sacro della loro unione, che comprendessero il senso profondo del sacramento del matrimonio. Wojtyła ci teneva ad accompagnare innumerevoli coppie in questo cammino.
M. W.D.: Come?
W.W. P.: Ci vedeva più chiaro degli altri. Percepiva la lotta fra il bene e il male. Per lui era chiaro: tutti i problemi coniugali trovavano la loro risoluzione nella genealogia divina, cioè nel fatto che l’uomo è creato a immagine di Dio. Non cessava di mostrare alle coppie che potevano arrivare alla santità, che alla santità erano chiamate, e che non era una cosa riservata ai migliori. Fu quel che disse poi anche ai giovani a Parigi nel 1997: che la loro vita sulla terra è il cammino verso il Cielo, e che l’uomo è fatto per il Cielo.
M. W.D.: Insomma per lui la santità era tutto?
W.W. P.: Sì, assolutamente. Tutte le sue encicliche non parlano che della vocazione dell’uomo alla santità. Per questo bisogna restare connessi a Dio, voler essere fedeli a Cristo. Se la vocazione delle coppie alla santità è, secondo Giovanni Paolo II, la più esigente, Dio è però il loro alleato. E promette loro di aiutarli. Per il Santo Padre la santità è veramente accessibile a tutti.
M. W.D.: Leggendo il suo libro “Diario di un’amicizia” ci si rende conto di quanto la natura fosse importante per il futuro Papa. Facevate spesso escursioni insieme…
W.W. P.: Appena avevamo un giorno libero – mio marito Andrzej, padre Wojtyła e io – in escursione. Il più delle volte sulle montagne di Beskidy, non lontano da Cracovia. Amava camminare, ma poi non si trattava solo di camminare: nello zaino portava tonnellate di libri. Avevamo questo rituale: leggevo ad alta voce libri scelti da lui. Aveva il dono dell’attenzione condivisa, e quindi poteva leggere al tempo stesso anche un altro libro, grazie alla mia lettura. Un dono eccezionale. Tutti quelli che lo conoscevano bene sapevano che poteva fare più cose al tempo stesso: riflettere sull’omelia, partecipare a una riunione e nel frattempo pregare. Le nostre escursioni erano sempre ritmate da queste pause-lettura. Padre Wojtyła leggeva di tutto, e in diverse lingue, senza difficoltà.
M. W.D.: Ma c’erano comunque delle opere che prediligeva in particolare?
W.W. P.: Divorava di tutto, ma per me è stato anzitutto un grande appassionato di poesia. Conosceva a memoria un numero incredibile di poesie. Come sa, egli stesso ne scriveva. Per me, aveva l’anima di un poeta. Con una memoria fuori dal comune, era capace di recitare lunghe poesie.
M. W.D.: Quando camminava in montagna il suo scopo era la performance sportiva?
W.W. P.: No, non direi. Amava stare nella natura e meditare. Camminavamo in silenzio, perché mio marito e io sapevamo che aveva bisogno di riflettere talvolta parecchie ore in silenzio… Io vigilavo che nessuno perturbasse la sua riflessione.
Più tardi, eletto Papa, venivamo in vacanza a Castel Gandolfo. Le passeggiate in montagna si sono trasformate in passeggiate nei giardini, e sempre in silenzio… Giovanni Paolo II ammirava la bellezza del mondo. Amava dire: «Guardate! Dio ha creato un mondo così bello!». Mi ricordo… un giorno eravamo sulle montagne polacche. Giunti in cima, abbiamo deciso di restare lì per la notte. Al sorgere del sole abbiamo preparato l’altare per la messa. Poi, quando padre Wojtyła ha letto il Vangelo, una cerva e il suo cucciolo sono usciti dalla foresta. Sono venuti verso di noi e si sono fermati, restando in piedi tutto il tempo della lettura del Vangelo. Poi è ripartita. In padre Wojtyła ho sentito una vera comunione con la Creazione. Per me, questo ricordo ne è il simbolo.
M. W.D.: Fu durante le vostre escursioni estive del 1978 che lei ebbe il presentimento che sarebbe stato eletto Papa…
W.W. P.: Me ne ricordo benissimo. Siccome partiva per il conclave a Roma per la seconda volta in così pochi mesi, ho avuto un presentimento. E gli ho posto questa domanda con la massima semplicità: «Che nome sceglierai da Papa?». Mio marito rispose per lui: «Come “che nome?”?! Giovanni Paolo II, è logico!». Lui non disse niente.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]