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Le piaghe d’Egitto sono fenomeni naturali o punizioni di Dio all’Egitto?

La morte dei primogeniti: il figlio del Faraone muore tra le braccia del padre.

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 06/04/22
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Ecco una rilettura dei “dieci segni” di Dio al popolo d’Israele (che farà discutere) nel nuovo libro del biblista Grasso

Le “dieci piaghe” non sono interventi di Dio per creare morte e distruzioni in Egitto e aiutare a fuggire il popolo d’Israele. Piuttosto, il racconto dell’Esodo vuole mostrare la fragilità della creazione, e di come l’uomo rischi di sconquassarla con cambiamenti climatici e scarsa cura.  I "dieci segni" di Dio, in tal senso, sono profetici e proiettati verso un futuro sempre più attuale. Ne dà questa rilettura il nuovo saggio del biblista Santi Grasso: “Ma Dio interviene nella storia?” (Città Nuova).

Il libro dell’Esodo smentisce la Genesi?

Nel libro dell’Esodo la narrazione delle “dieci piaghe d’Egitto” oppure dei “dieci segni di Dio all’Egitto” sembrerebbe smentire platealmente il messaggio del primo racconto della creazione in Genesi, secondo il quale Dio farebbe un passo indietro nei confronti del cosmo e della storia perché ne sono protagonisti l’uomo e la donna. Il racconto delle piaghe, infatti, palesa apparentemente una fede esplicita nell’azione concreta e fattuale di Dio per liberare gli schiavi ebrei dall’oppressione egiziana.

Israele come popolo 

Il libro dell’Esodo ripercorre l’evento che ha costituito Israele come popolo, poiché tutta la sua storia nasce dopo l’uscita dall’Egitto. La vicenda dell’Esodo non va analizzata attraverso i normali criteri storici, rintracciando in altre fonti antiche gli avvenimenti o le notizie relative al periodo in cui essa è avvenuta.

La richiesta di Ramses II

Il faraone Ramses II aveva deciso di costruire due nuove città di cui una in suo nome: Pitom e Ramses. Per la costruzione serviva manodopera, quella degli schiavi ebrei. In questo contesto storico, ricostruibile solo attraverso rarefatte fonti extra-bibliche, viene ambientata la storia di liberazione del popolo ebraico con toni drammatici e in essa emerge, con funzioni di leader, il personaggio di Mosè.  Per far uscire Israele dall’Egitto egli persegue un suo personale e umano progetto, che però fallisce, concludendosi con l’uccisione per sua mano di un egiziano. 

La fuga di Mosè 

Mosè allora è costretto a fuggire. Questo periodo di fuga passato nella terra di Madian è soprattutto un tempo di purificazione e senza di esso probabilmente Mosè non avrebbe mai accettato l’idea di una liberazione non per sua mano, ma operata da Dio. Il racconto biblico mostra questa evoluzione, quasi psicologica, di Mosè. Inizialmente egli pensa di essere il protagonista e di poter fare tutto da solo. Ma il suo tentativo naufraga.

Da creazione in caos

La narrazione dei dieci segni, sebbene sia da considerarsi una sezione omogenea, risente tuttavia di un lavoro redazionale di grande peso. Le piaghe sono il rovescio dell’atto creativo di Dio: le acque al posto di essere fonte di vita diventano causa di morte, gli animali invece che servire l’uomo lo danneggiano, le tenebre vincono la luce. Così la creazione si ritrasforma in caos.

La prima piaga: il Nilo di sangue e la grande piena 

Non è casuale che il primo a essere colpito sia il Nilo che “si tinge di sangue”, perché anch’esso era considerato una divinità. Nell’antichità il fenomeno del Nilo rosso avveniva ogni tanto. La grande piena a luglio e agosto colorava di rosso l’acqua, a causa del fango e dei micro-organismi animali (Euglena sanguinea) trascinati con sé. Poiché questi ultimi assorbivano molto ossigeno, i pesci morivano. Il “segno” era in realtà un fenomeno naturale, che capitava quasi regolarmente, ma che la religione del tempo, sia quella egiziana sia quella ebraica, interpretavano come azione divina.

UGANDA

Le rane? Un avvenimento naturale

Il secondo segno è quello dell’invasione di rane in tutto l’Egitto. Anch’esso corrisponde a un fenomeno naturale che avveniva di tanto in tanto in Egitto, sebbene, a causa dei mutamenti climatici, oggi non abbia più luogo. Dal momento che i pesci morti infestavano l’acqua, le rane si ritiravano in luoghi umidi e freschi, cioè nelle abitazioni. Avendo però contratto dei microbi (Bacillus anthracis) morivano. Pertanto, anche questo segno risulta ambiguo, anzi ambivalente; sembrerebbe essere la ragione per la quale il cuore del faraone si indurisce ancora di più.

In ogni caso, non si tratta di un evento oggettivo dal carattere strepitoso e incontrovertibile, ma di un avvenimento naturale, che viene riletto alla luce della fede.

Pidocchi e tafani 

Il racconto di Esodo procede con le altre piaghe d'Egitto, che corrispondono ad altrettanti fenomeni naturali frequenti nell’Africa del nord. Le zanzare in realtà sono pidocchi. Tale fenomeno è sempre legato alle conseguenze dell’inondazione del Nilo. In ottobre-novembre sul terreno si formano zone paludose e stagni che favoriscono la proliferazione di questi parassiti.

Per quanto riguarda i tafani, in Egitto si conosce una mosca tropicale e sub-tropicale (Stomoxys calcitrans) che attacca bestie e uomini e in dicembre-gennaio prolifera durante la decrescita dell’inondazione del Nilo per poi scomparire.

La moria del bestiame e le ulcere virali 

Spiega la moria del bestiame il fatto che questo, uscendo al pascolo in gennaio, contrarrebbe il Bacillus anthracis, già causa della morte delle rane. Nel delta invece il bestiame degli ebrei esce più tardi, quando le piogge hanno maggiormente lavato il terreno e pertanto si salva.

Le ulcere sono da identificare con l’antrace trasmesso dalla mosca Stomoxys calcitrans che attacca case e stalle in dicembre-gennaio.

Grandine rara e cavallette in “movimento”

Le altre piaghe: la grandine è rara in Egitto e può capitare nel periodo invernale, probabilmente all’inizio di febbraio poiché è documentato che danneggia il lino e l’orzo e non il grano e la spelta, più tardivi.

Le cavallette, dal nord dell’Arabia, si spostano in Egitto in massa, spinte dal vento dell’est, quando l’annata è umida.

Le tenebre prodotte dal Khamsin

Le tenebre corrispondevano a un fenomeno naturale prodotto dal Khamsin, un vento del deserto che portava caligine, arrivando perfino a nascondere il sole.

La morte dei primogeniti (tranne gli israeliati)

Una piaga molto discussa dagli storici è la morte dei primogeniti: probabilmente riconducibile a un’epidemia di tifo o di febbre da carestia, morbo che si presentava quando i bambini erano indeboliti dalla fame, dalle ulcere e dalla miseria.

Se si tratta di un’epidemia, come spiegare che i figli degli ebrei sono stati risparmiati? I discendenti di Giacobbe non vivevano assieme agli egiziani, ma risiedevano nella terra di Gosen, in un’enclave, situata nell’alto Egitto, mentre le città egiziane erano vicine al Nilo e soprattutto al suo delta. L’epidemia, quindi, poteva aver colpito solo alcune regioni e non altre. La narrazione popolare antica inoltre ha la caratteristica di ingrandire o addirittura estremizzare gli avvenimenti.

La fragilità del cosmo

Le dieci piaghe non fanno altro che annunciare la fragilità del cosmo e della storia umana. Al di là della descrizione estremamente roboante, tipica di questo genere letterario, l’autore vuole alludere a tutti gli avvenimenti terribili che accadono costantemente. Essi hanno un senso, una funzione? Sicuramente non sono mandati in modo specifico a qualcuno e non a qualcun altro. La struttura fragile del creato, che permette l’emergere di eventi drammatici, riprodotti qui attraverso la simbologia delle dieci piaghe, conferisce loro una funzione profetica, evidenziando una strutturale e pervasiva fragilità a tutti i livelli del vivere. Il credente è chiamato a interpretarla. 

Nessuno è onnipotente

Le piaghe d'Egitto diventano allora segni profetici tali da mettere in guardia affinché nessuno creda di essere compiuto in se stesso, autosufficiente o addirittura onnipotente. Se la vita terrena non è perfetta, Dio – e lui solo – può portarla a compimento. Il creato è fragile per lo stesso progetto divino che vuole l’essere umano libero di compiere sia il bene che il male.

Per completare una buona esegesi

A questo punto però bisogna capire a cosa ci serve sapere queste cose, nel nostro approccio alle Scritture, perché se il succo di queste conoscenze fosse che “non è vero ciò che la Bibbia afferma essere vero” chiaramente saremmo fuori strada. Dio parla (anche) attraverso il libro della natura, e questo è chiaro, ma se conoscendo la biodinamica dell'Euglena sanguinea finissimo ad affermare che Dio non sarebbe intervenuto personalmente, negli eventi che hanno portato alla liberazione del suo popolo, staremmo producendo un'esegesi pessima: l'analisi morfologica del significante – diremmo con termini un po' astratti – non deve distoglierci dall'intelligenza del significato.

Talvolta si ha l'impressione di star facendo un'esegesi “scientifica” solo in quanto procede (non sempre equilibratamente) alla “demitizzazione” della lettera scritturistica, ma questo (laddove opportuno) è solo un primo passo nell'intelligenza delle Scritture ispirate: la Rivelazione ci parla di un Dio amante, provvidente e salvatore… se studiando la Bibbia arrivassimo a sostenere altro (o – Dio non voglia – il contrario) la staremmo leggendo praticamente a rovescio.

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