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Dal carcere a una vita nuova e più libera, grazie a due parroci di Andria

ANDRIA, MASSERIA, CARCERATI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 31/03/22
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Una comunità diocesana ha trasformato una masseria abbandonata in luogo di riabilitazione per detenuti. Racconta uno di loro: "Incontrando don Vincenzo e don Riccardo è come se Gesù fosse venuto a casa mia".

Ricostruire una casa con anime a pezzi

C'erano una volta due parroci e un magistrato. Ma no, non è una favola, anche se tutto è cominciato come un sogno. E il salto tra immaginare e fare spesso riesce se non si è soli: due parroci, appunto, - don Riccardo Agresti e don Vincenzo Giannelli - e un magistrato, Giannicola Sinisi.

Siamo in Puglia, nella diocesi di Andria. Qui ha visto la luce il progetto Senza sbarre, grazie a cui una vecchia masseria è diventata luogo di riabilitazione e reinserimento per decine di detenuti ed ex detenuti. La Masseria San Vittore, nei pressi di Castel del Monte, era un casale abbandonato con 8 ettari di terreno, un po' isolato, e in pessimo stato. Già sede di una comunità di recupero di tossicodipendenti, era di nuovo finita in disuso. Oggi l'attività della masseria è rifiorita, come le anime di chi prova a rinascere dopo l'esperienza della delinquenza:

Fine pena mai

Il tema del carcere si lega sempre, in un cortocircuito vizioso, al problema del sovraffolamento dei penitenziari e all'ipotesi del recupero, inficiata, però, dal dramma delle recidive. Il mondo dei detenuti è uno di quei punti ciechi del nostro vissuto da cui la vista si sottrae, la colpa che si portano addosso è la scusa per noi di rivolgere attenzioni e premure altrove.

E, dunque, a ben vedere fine pena mai non è solo sinonimo di ergastolo, ma racconta la drammatica evidenza che anche quando un carcerato ha scontato la sua pena, non è comunque ben accetto nella società civile. Diciamo pure rifiutato, la sua pena non finisce mai agli occhi del consorzio umano.

Tra le opere di misericordia c'è la visita ai carcerati che Don Riccardo Agresti, sacerdote e anima del progetto Senza sbarre, porge alla nostra attenzione con un significato provocatorio:

La vera opera di misercordia non è fare qualcosa mostrandoci capaci di misericordia verso l'altro, ma compiere un gesto mossi dal bisogno di misericordia come orrizzonte ultimo della nostra vita.

Da questo sguardo è nata una grande comunità che oggi offre un esempio di recupero reale dei detenuti, perché è occasione di bene anche per chi non è detenuto ma si conivolge nell'opera. Il progetto della Masseria San Vittore ha dovuto superare l'ostacolo di molti pregiudizi, ma ha mostrato di essere una via ragionevole e percorribile anche per rispondere al dramma del sovraffollamento delle carceri sia per il pericolo delle recidive.

Madri sole, matrimoni alla prova...

Può essere noioso ripeterlo, ma tant'è: la mossa cristiana la si riconosce dal sigillo dell'incarnato, non comincia mai da un puntiglio ideologico ma da un impatto umano con le presenze vicine a ciascuno. Così capitò a don Riccardo, l'intuizione di un luogo di recupero per carcerati nacque incontrando una madre sola:

Il male che può commettere una persona e la conseguente pena non riguardano solo la sua individualità, ma anche chi gli è a fianco. Charles Dickens ricordava gli anni in cui suo padre finì in carcere, e tutta la famiglia dovette seguirlo dietro le sbarre. Era l'800, non è più così ma resta un'immagine simbolicamente vera. La detenzione è patita anche da chi è fuori dal carcere, figli e madri e padri e nipoti.

E il recupero, dunque, non ha a che fare solo con il percorso personale del detenuto ma anche del nucleo di affetti che lo circorda, o circondava. Facile che i legami si spezzino, quasi un miracolo che tengano:

Il primo luogo da ricostruire ha sempre la forma di una famiglia, non solo di un'anima isolata.

... padri ritrovati

E poi c'è la testimonianza di Paolo che aggiunge un altro tassello, forse quello fondamentale. Paolo è ancora un uomo giovane, ma ricorda quel giorno - di un passato già remoto - in cui i carabinieri vennero ad arrestarlo a casa, davanti a sua madre che svenne. Il carcere è stato per lui occasione di un ripensamento radicale nella propria vita. La sua è una parabola paradossale ma non insolita: Dio si fa trovare in qualunque posto, basta che ci sia un cuore sincero, pronto a riconoscerlo.

Si può dire che Paolo si sia convertito, non solo dalla vita di delinquenza che conduceva. Si è convertito, come tutti noi, nell'istante in cui si è reso conto il gesto decisivo di ogni vita parte da Dio, che viene in cerca di ciascuno, scende e si muove per primo verso la sua creatura.

L'orto della riparazione

Negli 8 ettari di terra della masseria San Vittore c'è anche l'orto della riparazione: ogni detenuto ha comprato e piantato, come gesto simbolico, un ulivo. Il ricavato dei frutti di ogni pianta viene devoluto come segno di riparazione verso le vittime. E' un gesto concreto e piccolo, necessario perché - spiega don Agresti - "la vittima non deve essere esclusa dal processo né dall’incontro con chi le ha fatto del male".

I campi, la terra, sono lo sfondo del lavoro umano che continuerranno a parlare in modo eloquente alla nostra coscienza. Molte parabole di Gesù riguardano il mestiere contadino. Ed è, però, un mondo abbastanza lontano dalla quotidianità di molti di noi, divisi tra uffici, palestre, centri commerciali. Quando, però, si tratta di rimettere a dimora un'anima smarrita la si riporta nel campo:

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