Come si torna a vivere, a fidarsi degli altri, a pensare al futuro quando hai vissuto l'inferno?Chi sa farsi carico di un dolore così grande e mostrarti che una rinascita è possibile? E se diventassi tu a tua volta occasione di riscatto e liberazione per tante altre ragazze vittime di violenza e sfruttamento della prostituzione? Da quando Anele ha incontrato Don Pietro alla Casa della Misericordia sa che tutto questo non solo è possibile ma la rende finalmente felice.
La storia di Anele
Prima gli uomini erano solo quelli a cui dovevo dei soldi, molti soldi o quelli che potevano darmi dei soldi, sempre troppo pochi. In fondo a quella montagna di denaro vedevo la libertà, ma prima c'erano solo la strada, la maman, il terrore di quella maledizione su di me, sui miei fratellini e mia mamma rimasti al villaggio.
Se tradisci muori e i tuoi avranno disgrazie. Me lo ricordo ancora il sapore del cuore di pollo che ho ingoiato quella sera e qua, vedi, sul braccio ho una cicatrice: il santone (come dite voi) mi ha tagliato con un rasoio per fare uscire un po' di sangue e far entrare lo spirito insieme alla cenere delle ossa di animali usati per il rito. A quello dovevo obbedire ormai per sempre. Ci hanno provato ad abolirlo, lo Juju (che ormai indica il rituale per legare le donne a uno spirito, ma che dovrebbe indicare le religioni dell'Africa Occidentale, ndr), ma loro lo trovano sempre il modo di convincerti.
Sono arrivata in Italia come tutte quelle come me. Nel mio villaggio non si riesce a restare bambine per tanto tempo perché appena ci cresce un po' di seno e il vestito tira appena sui fianchi ci contano come donne e le donne servono agli uomini; ma adesso sempre di più usano come donne anche le bambine che se fossero qua nelle vostre città starebbero a fare i balletti su TikTok.
Mi chiamo Anele e ho 28 anni. Non posso dire che “vengo dalla Nigeria” come fosse un viaggio perché mi sono strappata via da quella terra da sola, nonostante la paura, le maledizioni e le minacce; sono scappata perché restare lì era peggio di morire.
Almeno così credevo io. Cosa c'è di peggio che morire? Molte cose, ho scoperto.
Ne avevo solo 14 di anni quando mio padre mi ha venduta. Tante mogli, troppi figli da mantenere.
Non sapevo nemmeno di avere tutti quei fratelli, prima. Una mattina lungo il tragitto che facciamo per andare a prendere l'acqua ho visto anche le sorelle: le bambine avevano ancora un po' di tempo ma quelle di 12, 13 anni no, lo stavano già per finire. Perché nascere femmina deve essere una condanna?
Mi ha ceduta al capo villaggio che in cambio gli ha dato dei soldi. Quanto gli saranno durate quelle naira? Poco: tante mogli, tanti figli ancora piccoli e molta fame, quella non passa mai, ma di figlie da vendere ne ha ancora.
Il capo del villaggio mi usava un po' per sé e un po' per darmi ad altri uomini; alcuni erano giovani ma tanti erano vecchi. Vecchi come si diventa vecchi lì, non come qua in Italia che si invecchia piano, ben vestiti, con le creme per il viso intorno agli occhi che però diventano tristi lo stesso.
Basta, scappo in Italia, ho saputo che Mansura e Kubra ce l'hanno fatta, scrivono ogni tanto alla famiglia, mandano soldi. Voglio andare anch'io che dell'Italia non so proprio niente, solo che c'è Venezia, Milano e che le strade non diventano un muro di polvere se ci passano tre macchine in fila.
La notte in cui scappo è tranquilla, senza vento, la pioggia, se arriva, arriva a inizio giugno. Devo stare attenta, però, se non mi allontano di almeno 30 chilometri prima dell'alba mi trovano e mi riportano indietro e io voglio andare avanti, invece.
Vado avanti e non so più dirvi come. I giorni che seguono sono strani, buio e brividi, luce e sudore, ma soprattutto sete. Mio Dio che sete che ho, la lingua si attacca al palato e staccarla fa male, brucia tutto fino in gola. Per fortuna prima che sorgesse il sole mi aveva raggiunto un ragazzo; mi ha visto scappare e non ha chiamato nessuno, forse mi voleva bene. Le due bottiglie di plastica piene d'acqua giallastra che mi lancia insieme al suo "buona fortuna" mi hanno quasi certamente impedito di morire.
Da lì in poi ho dei ricordi che si mescolano agli incubi: la carovana a cui mi unisco attraversa il deserto che è grande come un mare, sempre uguale e sempre più terribile perché intanto diventi sempre più stanco, debole, neanche gli occhi sai più tenere alzati.
Se ci penso ora credo che almeno sette delle persone che vedevo accartocciate insieme a me sul fondo del camion siano sparite. Si muore così e nessuno se ne accorge, a nessuno importa. Basta che il carico sia sufficiente a riempire i barconi quando arriva in Libia.
Lo sapete già cosa succede alle donne in Libia? Ora anche io, ma prima no. Tutte, senza scampo, vengono violentate e mai si ha il privilegio che sia uno solo a schiacciarti col suo peso e a usare la tua carne, sono sempre tanti.
Non basta quello, ti picchiano, usano bastoni, vetri rotti, sassi. Ho visto anche i segni che lasciano le fruste sulle schiene. Io per me posso anche sopportare, ma vedere cosa stanno facendo a quella giovane incinta...
Sogno di ucciderli con le mie mani, posso solo sognare in quel momento, non ho più forza di alzare nemmeno una mano. Mi si spengono anche le orecchie, vedo ma non sento più nulla, crollo.
Per il resto restiamo stese in una stanza dove il pavimento alla fine siamo noi, noi e i nostri escrementi. Pochi ormai perché non mangiamo niente, ma l'odore è nauseante ed è alla fine quello che ci tiene sveglie.
Si può benedire un inferno del genere? Eppure è quell'orrore e quell'odore che mi hanno fatto piangere di gioia quando alla Casa della Misericordia ho fatto la prima doccia. Era calda, pulita e potevo starci sotto a piangere. Il bagnoschiuma profumava di miele, da allora è il mio preferito, ha l'odore della vita che ricomincia.
Ci ho pianto a lungo sotto l'acqua che mi picchiettava sulla testa e la spalle; per la rabbia di tutto il male che mi era stato scaricato addosso, per tutto l'orrore che non uscirà mai dalla mia mente, per le volte che mi sveglio sudata perché le coperte pesano e mi ricordano le cosce di quei maledetti.
Era don Pietro. La sua faccia non l'avevo ancora imparata ma la voce sì, da allora non l'avrei mai più confusa con altre né dimenticata.
Dopo qualche giorno, quando ho smesso di sembrare un cane randagio e aggressivo che nessuno vuole avvicinare – ma lo fanno lo stesso! Vengono a salutarmi, e c'è quella signora bionda con la ricrescita grigia di tre dita che mi sorride in modo esagerato, è sempre contenta, mi fa quasi rabbia - don Pietro torna da me.
Lui fa in modo di salutare sempre tutti gli ospiti e ci chiama per nome: Vasily, Jamilah, Mohamed, Luigi, Katia, Mariam, Franco.
Si avvicina e mi dice una cosa bellissima che gli ho rubato e adesso ripeto sempre anche io a quelle che vado a prendere: “Hai voglia di raccontarmi di te, di quello che ti piace, di cosa vorresti fare? Ti ascolto”. Si può invecchiare anche così, allora, come Don Pietro che non usa le creme ma ha gli occhi che ridono.
Non era ancora finita La Casa della Misericordia quando sono arrivata, c'erano ancora alcune stanze da ristrutturare, ma era già bellissima.
“Lo sai che qua era pieno di topi e muffa quando ho chiesto al cardinale se potevamo usare questi locali per voi? e guarda adesso che meraviglia!"
Voi siamo noi, i poveri. Ma lui ci guarda come si guarda uno che non è più povero, anzi che non lo è mai stato. Ci vede belli, ci vede un po' come se fossimo ricchi senza saperlo.
Non ci credo che un posto tanto pulito, caldo e sicuro possa essere stato lurido e puzzolente. Non credevo nemmeno che ci fossero uomini con quegli occhi, capaci di guardarmi così, come se mi volessero bene davvero, come se potessi essere una persona e non un pezzo di carne da buttare in pasto a qualcuno o andare a nascondere sotto terra.
Ci ho messo tanto tempo a capire che non sono solo carne, che non devo più difendermi a morsi da chi mi vuole usare.
L'ho fatto, sai? Ho affondato i denti nella spalla di quel maled...di quell'uomo. Mi ricordo il suo odore, persino il sapore della pelle prima della botta che mi ha fatto perdere coscienza e parecchio sangue dallo zigomo.
Ho picchiato anch'io, mettevo paura alle mie “colleghe” quando sono finita in strada e scoppiava qualche lite e poi in quelle stanze dove ci hanno nascosto perché così i servizi anti-tratta fanno una fatica del diavolo a tirarci fuori di lì. Non mi fidavo più di nessuno, non mi fidavo di me.
Il mio solo desiderio era vendicarmi e ricambiare la vita con almeno una briciola dell'orrore che mi aveva regalato per anni.
Ma non esistono solo gli uomini che ti vendono, che ti violentano, che ti sfruttano. Non ci sono solo le donne che ti usano e vengono ogni sera a riscuotere i soldi; che se ne porti pochi anche loro sanno picchiare e in più sanno dire cose così crudeli.
Non ci sono solo maman e papponi.
Ci sono anche quelli che hanno gli occhi come quelli che servono al ristorante L'Eau vive dove mangio tutti i giorni tranne quando sono fuori Roma per il servizio che faccio ormai da tre anni.
Ho iniziato a vedere occhi diversi, ecco cosa fa cambiare anche i miei. E così cerco quelli delle ragazzine finite in Italia come schiave del sesso perché le voglio liberare da quella rete di angoscia che le tiene legate alla strada più dei debiti che tanto non salderanno mai.
Io so come avvicinarle, so cosa dire, so di cosa hanno paura.
Glielo racconto subito che ci sono anche altri uomini, nel mondo. E che le maledizioni non hanno potere, non tanto come chi ti vuole bene. L'ho capito quando qui alla Casa mi hanno ridato i miei vestiti stirati e profumati. Chi è che ti lava e stira i vestiti se non qualcuno che ti vuole bene?
“Dai, Hamidah, vieni a prendere il caffè con me che poi ti faccio vedere al computer come si prepara un curriculum. Che fortuna che l'inglese noi lo impariamo fin da piccole. C'è anche Maurizio che ci può dare una mano”.
Dai che lo troviamo un lavoro vero e quello non lo dovrà fare mai più nessuna ragazza.
E' diventato questo il mio sogno e a volte è così forte che tiene lontani persino i soliti incubi.