di María Belén Andrada
Sappiamo tutti che è buona educazione ringraziare quando si riceve un favore, un bene, un regalo, una lode... A volte è una risposta immediata e automatica, qualcosa come desiderare “Salute!” a qualcuno che starnutisce in nostra presenza.
Oggi vorrei parlarvi della vera e profonda gratitudine, che può trasformarvi la vita, perché trasformerà il vostro cuore e il vostro rapporto con Dio.
La gratitudine ci tira fuori da noi stessi
Capita a tutti, in certi momenti o in certi periodi, di vedersi schiacciati dalle preoccupazioni. Ci preoccupiamo di quello che non abbiamo e ci manca, delle esigenze del lavoro o della vita familiare, a volte anche di questioni spirituali. Ci rimproveriamo - “Non ho tempo per pregare”, “Sono mancato di nuovo a Messa”, “Ho bisogno di direzione spirituale” e un lungo eccetera.
Questo stato ci fa passare dalla preoccupazione all'ansia, dall'ansia alla tristezza e dalla tristezza alla frustrazione. E così possiamo continuare a saltare da un'emozione all'altra. Non siamo a nostro agio non solo con la realtà che ci angoscia, ma neanche con noi stessi. Vi dice qualcosa la frase “In questo momento neanch'io mi sopporto”?
Quando proviamo questo – quando non sopportiamo noi stessi – è come se volessimo “uscire” dal nostro corpo, come se si trattasse di uscire da una stanza con fumo o aria tossica. L'unico modo per farlo è la gratitudine. Non possiamo aprire una porta, fare un salto e “lasciarci” indietro sbattendo la porta, ma possiamo concentrarci su ciò che ci sta intorno per non guardare troppo dentro.
La gratitudine è una boccata d'aria fresca, che ci permette non solo di uscire da questo egocentrismo, ma anche di renderci conto della quantità di cose belle o positive che a volte non vediamo perché siamo distratti da quelle che ci angosciano, cose che non possiamo controllare.
Esprimere riconoscenza è risvegliare lo stupore
Una volta ho letto un consiglio di Santa Teresa di Gesù che diceva “Offritevi a Dio cinquanta volte al giorno”.
Scrivendo questo articolo, me ne sono ricordata e mi sono messa a pensare a cosa accadrebbe se ogni giorno ringraziassimo per cinquanta cose. Ci sono molte persone, credenti o meno, che hanno la buona abitudine di indicare ogni giorno le cose per cui sono grati.
Penso che se anche noi adottassimo questa pratica vedremmo un risultato interessante: forse le prime cose per cui ringrazieremmo sarebbero le più “ovvie” (“Grazie per un nuovo giorno”, “Grazie perché mi hai chiamato alla vita”, “Grazie perché posso vedere”, “Grazie perché ho un tetto”...), ma andando avanti dovremmo ingegnarci un po' di più.
Questo ci costringerà ad affinare lo sguardo e il cuore, rendendoli più sensibili nei confronti di ciò che abbiamo intorno e dei doni ricevuti da Dio. E nella misura in cui questo accade, anche noi ci avvicineremo di più a Lui, perché ci staremo “facendo i muscoli” nello sguardo soprannaturale, esercitandolo per capire ciò che a volte passa inosservato.
Con le parole di un santo: “Abìtuati a elevare il tuo cuore a Dio, in azione di grazie, molte volte al giorno. Perché ti dà questo e altro. Perché ti hanno disprezzato. Perché non hai quello di cui hai bisogno o perché ce l'hai. Perché ha fatto così bella sua Madre, che è anche Madre tua. Perché ha creato il Sole e la Luna, e quell'animale e quella pianta. Perché ha fatto quell'uomo eloquente e te impacciato... Rendigli grazie per tutto, perché tutto è positivo” (San Josemaría Escrivá).
Ringraziando ci disponiamo a ricevere
È vero che fa piacere aiutare chi valorizza la nostra assistenza, o regalare qualcosa a chi si emoziona per qualsiasi cosa gli doniamo? Immagino che debba accadere qualcosa del genere con Dio, che sarà felice di dare dei doni a chi li sa ricevere e far fruttare.
“La vita cristiana è anzitutto la risposta grata a un Padre generoso”
(Papa Francesco, Catechesi sulla riconoscenza, 2018)