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Olga, fuggita dalla guerra: grazie a chi mi fa sentire a casa qui in Italia

CAMPAGNA DONAZIONI DON PIETRO SIGURANI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 19/03/22
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Ecco la prima storia di dolore e speranza di chi ha incontrato l'opera di Don Pietro Sigurani che Aleteia sta sostenendo con la campagna di donazioni di Pasqua.

E se la casa che hai abitato per tutta la vita è lontana e forse non esiste più? Che ne è di chi fugge dalla guerra ed è solo? Di cosa ha veramente bisogno e con quali incubi fa i conti? Dio non è un discorso rassicurante, ma è un incontro solido quanto un abbraccio.

Ecco la storia di una giovane donna ucraina che è arrivata alla Casa della Misericordia creata a Roma da don Pietro Sigurani.

La testimonianza di Olga

Sono Olga e in italiano so dire solo grazie, buongiorno e caffè. È forte e buono il caffè italiano, dà subito la sveglia e le energie. Buongiorno me lo ha detto anche Don Pietro con il sorriso quando mi ha invitata a entrare alla Casa della Misericordia, ma io non capivo e sono rimasta seria e ho abbassato gli occhi. Era come se fossi muta e sorda finché non è arrivata Ada, che traduce le mie parole e mi fa capire quello che gli altri dicono. Buongiorno è difficile da pronunciare, ma provo a dirlo spesso e ora mi viene più facile.

Fino a un mese fa vivevo in un piccolo paese dell’Ucraina, lontano dalle grandi città che adesso vedete distrutte. I miei genitori sono contadini e sono rimasti là, io sono scappata. Mia madre mi ha spinto a scappare, non avevo capito bene cosa stava succedendo. Sono una commessa, non ho studiato molto. Gli insegnanti dicevano a mio padre che ero stupida, allora lui ha trovato per me un lavoro nel negozio di un parente che vende casalinghi.

Ho perso il senso del tempo, forse due o tre settimane fa, sono tornata a casa dal negozio e mia madre mi aveva preparato una valigia e uno zaino: «Tu vai via da qui». Noi non siamo chiacchieroni come voi italiani. Aveva messo in quelle borse tutto quello che poteva darmi. Ecco quello che è successo. Fino a quel momento il mio problema e la mia vergogna è che ho più di 30 anni e non ho un fidanzato. Tutte le mie amiche ce l’hanno o si sono sposate, perciò mi sono fatta da parte e stavo sempre sola.

Quella sera ho ascoltato mio padre, mi diceva di arrivare col treno fino in Polonia. Perché così lontano? Poi, dopo ore di viaggio, sono arrivata alla stazione di Kiev e ho capito. No, non ho capito. Sono rimasta ferma come un sasso: sembrava che la città fosse tutta lì, non avevo mai visto tanta gente tutta stretta insieme. Non si vedevano i binari, solo valigie e persone e voci. Un bambino seduto nel passeggino mi ha guardata a lungo. Un’altra voce mi ha detto di prendere un po’ di tè caldo. Non ascoltavo neanche quello che dicevano gli altoparlanti. Volevo tornare indietro a casa, ma tutti si dicevano addio.

TRENI, PROFUGHI, UCRAINA

È tutto confuso da quel momento, so che alcuni mi hanno aiutato, donne che erano in gruppo e mi hanno vista persa. Ho preso i treni su cui salivano loro, c’erano dei momenti in cui piangevamo e altri in cui mi spiegavano cosa fare. Loro avevano i mariti che telefonavano, ascoltavo. In una stazione, avevamo già passato la frontiera, le ho perse. Sono andata in bagno perché mi sentivo sporca e non le ho più trovate, neanche la mia valigia. C’era troppa confusione. Lì mi sono detta che avevano proprio a dire che sono stupida. Non l’ho detto a mia madre, quando mi ha telefonato. Ho detto solo: «Polonia, tutto bene». Ma non so dov’ero. Mi restava lo zaino con i soldi di mio padre, il cellulare e il passaporto. Non sapevo cosa fare e mi sono seduta per terra, appoggiata al muro e c’era molto freddo.

Ricordo una donna grande, molto robusta, mi è venuta vicino e mi ha sollevata, ripeteva nella mia lingua Italia, Italia. Mi ha dato un pezzo di cioccolata. Poi ricordo un pullman blu e di nuovo tutti schiacciati sui sedili. Tanti animali, anche. Un cane si è messo addosso a me ed è stato bello, perché era caldo. Sentivo parole sulla guerra, una ha urlato al telefono per uno zio morto. Non so i giorni di viaggio, una sera siamo arrivati in un grande parcheggio e lì c’era gente. Sembrava che tutti quelli del pullman avessero qualcuno che li aspettava. Sono rimasta lì la notte, su una panchina sotto un albero. E mi sono detta che forse morivo e andava bene così, perché non sapevo dov’ero e neanche più chi ero. Non avevo niente.

Un uomo in divisa – carabiniere, mi ha spiegato dopo Ada – è venuto da me, gli ho dato il passaporto, parlava molto. È stato lui a portarmi dove sono adesso, sembrava amico di quelli che hanno aperto la porta. Mi hanno fatto mangiare la colazione fuori, per strada. Vedevano che non volevo entrare anche se ripetevano ok, ok.

Buongiorno, mi ha detto Don Pietro e non l’ho capito. Ma l’ho sentito quando ho fatto la doccia calda. Mi è sembrato che mia madre mi dicesse che andava tutto bene. Questa è la Casa della Misericordia. Mi hanno dato dei vestiti per cambiarmi, in tanti li hanno donati per noi profughi. Profuga, questo sono ora. È strano mettersi le mutande che sono state di un altro. È strano mangiare un cibo che ha sapori mai sentiti. Però gli spaghetti alla carbonara mi piacciono molto. Ada ci ha provato a scandire bene, ma no: alla carbonara non riesco a dirlo.

UCRAINA, DONNA, PROFUGA

Quando ho capito che questo posto è parte di una chiesa cristiana, ho voluto dirlo subito che non lo sono. La mia famiglia non è religiosa e io non ho mai pensato a Dio. C’è un uomo vecchio che incontro di mattina nella sala dove ci danno il caffè, viene qui a farsi la doccia e a leggere i giornali e, se c’è Ada a tradurre, lui mi racconta cosa succede al mio paese. Su una cartina geografica mi ha fatto vedere dove sono, Roma per me era solo un nome e non sapevo che è vicino al mare. Neanche il mare ho mai visto.

È stato quest’uomo vecchio a dirmi che cristiano è chi ama quelli che incontra. Io amo queste persone che ho incontrato senza volerlo. Amo Ada che traduce e questo signore che legge i giornali, amo la signora Clara che mi fa dormire la notte a casa sua. Amo Don Pietro che quando mi vede dice che questa casa è più bella ora che ci sono.

Da due giorni i miei genitori non rispondono al telefono. Ho le mani che mi fanno male da quanto stringo il cellulare. Ed è successo questo, la signora Clara e altri che vanno nella chiesa di Don Pietro mi hanno detto: preghiamo. Ci siamo messi in ginocchio davanti a una croce grande e loro hanno pregato insieme, a bassa voce. Stavo zitta, ascoltandoli, e ho pensato a una cosa: che a casa mia ormai non avevo più amici e ora qui, in mezzo a sconosciuti che non capisco quando parlano, non mi sento sola. Non so cosa succederà domani, però oggi dico grazie.

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