Quando ho saputo di essere incinta della mia terza figlia, ho scelto di essere accompagnata da un'ostetrica non solo al momento del parto, ma anche nei mesi precedenti alla nascita. Ho conosciuto così Chiara Carati, e tuttora la ringrazio. Non è stata un'esigenza medica, ma il bisogno di vivere appieno il tempo dell'attesa. Chiara mi ha aiutato a guardare e ascoltate la mia maternità che cresceva insieme alla figlia nella pancia. La gestazione - con tutte le sue altalenanti fasi - non riguarda solo il bambino che cresce, ma anche la mamma che cresce insieme al figlio.
Diventare madre può sembrare un'esperienza singolare, qualcosa che la donna porta avanti da sola nel suo corpo, condividendo la parte emotiva con la famiglia che ha accanto. Da Chiara ho imparato che maternità è un plurale, che fa molto bene incontrare altre donne per condividere lo stupore e le incertezze.
Di recente ho scoperto che Chiara, insieme all'amica Federica, ha realizzato un podcast dedicato a questo sguardo plurale sulla maternità.
Femminile plurale
Vi ho già detto che Chiara Carati è ostetrica, vi basterebbe sentirla parlare pochi secondi per capire che questo mestiere è proprio la sua vocazione. Federica Benuzzi, invece, è assegnista di ricerca in filologia greca presso l’Università di Venezia ed è consulente babywearing in formazione con la scuola ClauWi Trageschule Italia.
Si sono conosciute quando Chiara ha accompagnato Federica alla nascita del suo primo figlio. E, col tempo, è nato il progetto di un podcast che ora mette a vostra disposizione 11 puntate, preziose tutte. Si chiama Femminile plurale, è stato realizzato in collaborazione con Radio Sonora ed è disponibile su Spotify. Potete seguire la comunità di mamme che si raccoglie attorno a questo salotto virtuale anche su Facebook e su Instagram.
Oggi scelgo di condividere con voi il contenuto di una puntata davvero scabrosa: diventare mamme da giovanissime non è una catastrofe, come vorrebbe la vulgata del pensiero dominante. Chiara e Federica hanno ascoltato e ospitato il racconto di Irene che è diventata mamma della sua prima figlia durante l'ultimo anno di scuola superiore.
Mamma a 18 anni, una gioia
Premessa per inquadrare l'argomento. Noi redattori web abbiamo a disposizione delle banche dati da cui attingere immagini con cui corredare i pezzi che scriviamo. Cercando l'immagine di copertina per questo pezzo ho usato come parole chiave "ragazza giovane incinta" e sono comparse davanti ai miei occhi - con una prevalenza che rasenta la totalità - solo immagini di sconcerto, tristezza, paura. Come a dire che l'argomento ha una sola possibile chiave di lettura: se resti incinta da adolescente, è un errore che vivrai con angoscia.
Ascoltando il racconto di Irene si palesa l'evidenza che non è tutto scritto nel copione di una società i cui parametri tendono a isolare il percorso umano di una donna nelle griglie di un'autoderminazione che spesso e volentieri significa "se vuoi realizzarti, la maternità è un inciampo". Anche se capita senza calcolo quando sei ancora sui banchi di scuola, la gravidanza è fare i conti con un figlio, che c'è. Imprevisto è sinonimo di incognite, ma anche di gioia, come racconta Irene:
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Qui c'è una vera maturità, qualcosa che matura nel corpo e fa crescere anche la giovane mamma. Ma non è quello stereotipo per cui crescere in fretta significa perdersi il bello e la spensieratezza della giovinezza. C'è proprio il gusto di un frutto che maturando prende sapore.
E la gioia incosciente di cui parla non è quella di una sprovveduta. Anzi è proprio l'antidoto a quell'eccesso di raziocinio che tende a cancellare la meraviglia della vita nascente con domande egocentriche e strettamente utilitaristiche. La realizzazione di sé c'è già ed è piena in questa gioia che piomba giù da cielo insieme a una creatura che impari a chiamare figlia. C'è senz'altro anche il sacrificio, la stanchezza, le incognite.
Dicesi "normale"
Una ragazza di 18 anni col pancione, mi ripeto, è una presenza scabrosa perché interroga chi la guarda. Irene si è lasciata guardare e proprio all'inizio della gravidanza ha incontrato sul suo percorso qualcuno che avrebbe dovuto offrirle strumenti di supporto e invece l'ha inchiodata a una domanda inopportuna.
Facciamo di necessità virtù. Sì, indubbiamente l'uscita fuori luogo dell'operatore sanitario ci conferma che il re è nudo. E allora sarebbe bello rimbalzare la domanda su chi l'ha posta: e lei cosa considera normale? L'accadere della vita in un corpo di donna non è l'evento normale per eccellenza? (Talmente normale che ognuno di noi viene da lì). Prendiamo atto, e certo non è una novità, che il significato di normale oggi è stato artificiosamente traslato e vuol dire: un figlio va pianificato, ricorri a ogni strumento che ne argini l'imprevedibilità, un figlio si fa da adulti dopo la realizzazione professionale.
Ma ci sono altre pieghe più entusiasmanti e positive nel racconto di Irene.
Guardavano la pancia senza guardarmi in faccia
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Questo è un dettaglio che mi ha molto colpito nella testimonianza di questa giovane mamma: gli adulti sono stati meno giudicanti dei suoi coetanei. I professori l'hanno aiutata rendendo flessibile il suo percorso scolastico (e lei, certo, non si è risparmiata: è tornata a scuola una settimana dopo il parto, e il suo profitto è aumentato).
Invece i ragazzi della sua età erano più a disagio di fronte alla sua presenza che fin dall'aspetto rotondo raccontava una storia diversa dal solito. Non so come interpretare questo dato, confesso un pensiero amaro che è sorto. Stiamo davvero facendo un brutto lavaggio del cervello alle generazioni più giovani. Pare che il messaggio sia passato: goditi il sesso quanto ti pare, ma evita come la peste una gravidanza. Abbiamo separato il gesto dal senso, riducendo l'atto sessuale a un piacere corporeo che può e deve essere separato dall'imprevisto sgradevole della procreazione.
Una ragazzina col pancione è un alieno. Una ragazzina col pancione e felice è un mostro (etimologicamente: qualcosa che si mostra).
Pance che si vedono e ferite che non si vedono
In effetti, il pancione non puoi nasconderlo. Ed è qui che Irene ha l'intuizione di tirare in ballo qualcosa di molto profondo.
Questa considerazione è tutto fuorché un dito puntato contro chi sceglie l'aborto. Anzi. L'aspetto dell'invisibilità è proprio la spina più dolorosa dell'esperienza abortiva. Togliere un feto dalla pancia è un'operazione che non segna il corpo alla vista altrui. Prendere due pillole si può fare da sole in bagno. Quello che, poi, resta invisibile è anche la ferita da curare dopo quella scelta. Apparentemente non è accaduto nulla e il corpo non manifesta il cambiamento clamoroso che è invece un pancione, ma anche il corpo e il cuore di una donna che ha abortito sono segnati da un evento altrettanto enorme.
Ecco, a maggior ragione, le ragazze e le donne hanno bisogno di farsi compagnia su questi temi. Vi ho solo accennato alcuni passi del cammino di Irene nel diventare mamma, godetevi per intero il suo viaggio ascoltando il podcast. Spoiler: vi imbatterete in altre scommesse vinte e gioie inattese.