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Dalla pandemia, la lezione di un imprenditore valida per tutti

ALETEIA FLAVIO ZANARELLA
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Paola Belletti - pubblicato il 15/03/22
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Abbiamo chiesto a Flavio Zanarella, titolare di Zanarella Group e partner di Aleteia, come ha attraversato la crisi pandemica da imprenditore e quali sono i principi che glielo hanno permesso. Le risposte sono state illuminanti e c'è un'ottima notizia in merito: questi principi sono dichiarati, chiari, semplici e si possono copiare.

Abbiamo intervistato Flavio Zanarella, business angel e imprenditore, leader in diversi settori industriali nel nostro paese, nonché partner di Aleteia, per chiedergli qual è stata la lezione che ha appreso dalla pandemia.

La pandemia da Covid -19 e le misure di contenimento hanno avuto un impatto sulla vita di tutti: sociale, economico, psicologico, oltre che di salute, naturalmente. In che modo hai vissuto questo impatto nelle tue aziende?

Per rispondere, a questa o altre domande, sono abituato a partire sempre con dei principi: sono dei fondamentali, delle ancore, dei punti fermi. Faccio questa premessa sui fondamentali perché da quelli non ci si può mai muovere, altrimenti non sono fondamenta, non sono veri.

Durante questi due anni siamo stati molto a lungo tutti concentrati solo sulla pandemia, che è un problema particolare che pure ha una dimensione globale; ma a ben guardare ogni giorno tutti hanno i loro problemi: in casa, in famiglia, nella vita sociale, ...

Nella misura in cui siamo ancorati a dei credo affrontiamo quello che la vita ci offre, ed è stata un'offerta, paradossalmente, anche la pandemia, se la leggiamo secondo determinati valori.

Uno dei principi sui quali mi appoggio è questo: affrontare le avversità e trasformarle in opportunità.

In un'apparente avversità, nel retro di quella, devi sempre ricordare che c'è altrettanta opportunità, dobbiamo cavalcare questa onda di eventi. E' difficile capirlo, ma se come fondamentale hai questa visione, se vedi il rovescio della foglia, nel tempo vedrai anche il lato di opportunità degli eventi che ti si presentano.

E la pandemia è stata anzi è tuttora un evento da cui non si può prescindere.

Di sicuro. Ma ciò che si presenta all'inizio solo come disgrazia, può diventare grazia. Allora alla fine, cosa possiamo dire? “Grazie agli eventi”. Se affronti tutto con questo principio, ogni cosa ha un senso e niente viene a caso.

Siamo oggettivamente in uno scenario turbolento, attraversato da forze violente, in grado di squassare le navi più robuste. Una condizione di bonaccia è più favorevole alla guida di un'imbarcazione, se la cava anche un principiante, volendo. Invece, date le condizioni meteorologiche persistenti, come si fa a condurre una nave o un'intera flotta senza perdere nemmeno un membro dell'equipaggio?

Confermo e condivido questo scenario, così descritto: facciamo tutti parte di un grande e complesso meccanismo; sono perito meccanico, mi intendo di ingranaggi, per questo l'immagine che uso è quella del motore: un motore funziona se tutti gli ingranaggi sono sincronici tra loro, anche l'ultimo pezzetto, la puleggia. Se non va quella, non funziona più tutto il motore, sono tutti necessari. Mi piace dire Insieme per vincere insieme, il principio è questo. E questo principio va applicato alle circostanze che la vita ci offre.

La reazione più naturale che ci viene in momenti come questi è aspettare che passino, con il rischio di stare in apnea. Ma le crisi, di matrice sanitaria, economica, finanziaria e ora anche bellica, sono un'ipotesi da tenere sempre presente.

Tutto fa parte del game della vita, che è fatto così, di alti e bassi. Tutto questo fa parte delle regole della vita, che ha una sua oscillazione di frequenza. La pandemia è, a suo modo, normale: non sempre si può andare a 300 km all'ora. Proviamo a interpretare gli eventi in questa maniera, cerchiamo di essere ottimisti e costruttivi. Lo stesso evento visto da un focus è di un tipo, ma visto da un altro cambia: tutto dipende dal focus. E chi ce l'ha il focus? Noi. Quindi la lettura degli eventi dipende da noi.

Vero, c'è però il rischio che questo stile sia solo uno sforzo volontaristico, un "volli, fortissimamente volli" o lo slogan, che gli eventi stessi smentiscono, che "nulla ci è impossibile". Invece come imprenditore cristiano sei più nel campo delle virtù, in particolare la speranza. Ecco, dove peschi la tua speranza, come uomo d'azienda, come imprenditore?

Quando accade un evento, prima di farsi prendere dall'evento stesso, è utile condizionare l'inconscio con un modello comportamentale ispirato al principio di cui abbiamo parlato. Come si fa a calare nella realtà di tutti i giorni? Rafforzandolo in tutti i modi per confermarci che questo è vero. Non ho avuto una vita facile, per questo ho dovuto decidere: o ne esci o soccombi.

Quando si è consapevoli che nessuno è nato a caso, se hai questa consapevolezza che non siamo soli, che c'è Qualcuno che ci vuole più bene di noi stessi, ma che paura puoi avere? Quello che accade doveva accadere per il nostro bene, anche il male.

Lo si può dire anche davanti a fatti oggettivamente gravi, a dolori e lutti?

Quest'inverno è morta mia mamma. Siamo umani, lasciare questa vita terrena quindi è anche normale. Ma quando sappiamo che non siamo soli e che tutto ha un senso, allora diventa normale essere più tranquillo e sereno. Ora, pur nella sofferenza del distacco dalla sua presenza fisica, mi rivolgo a lei e le chiedo consiglio interiormente più di quanto facessi prima.

Mi viene in mente un breve racconto, forse è una poesia. Siamo sulla spiaggia e guardando indietro si vedono delle impronte che però in alcuni tratti da quattro diventano solo due.

Perché Gesù mi hai lasciato solo proprio nel momento più duro? Non ti ho lasciato solo, risponde Gesù: in quel tratto tanto difficile ti ho preso in braccio (la poesia da cui è tratta è della scrittrice canadese evangelista Margaret Fishback Powers, ndr).

Come fa a non ridursi a esercizio retorico?

Perché questi fondamentali necessari sono da mettere in luce proprio nel momento del bisogno, non nella tranquillità. Un buon marinaio si riconosce nella tempesta, o nella "turbolenza" come la chiamavi tu prima. E' proprio nella difficoltà che si riconosce il vero capitano: la pandemia è il momento in cui puoi dimostrare che si può. Perché volere è potere. E come?

In che senso e fino a che limite, volere è potere? Perché come uomini sappiamo i nostri limiti, come cristiani ne siamo quasi consolati, contenuti. Perché è a Dio che nulla è impossibile, non a noi, per fortuna...

Molto concretamente la pandemia ha tirato fuori un sacco di innovazioni, che erano già alla nostra portata, ma il nostro modello consolidato non ce le faceva vedere. Abbiamo imparato a fare meno viaggi per fare incontri e fare più incontri facendo meno viaggi. Abbiamo iniziato a performare di più sprecando meno. Sprechiamo meno, inquiniamo meno e si sta cambiando modello.

Ma non come corsa all'efficienza fine a sé stessa; la pandemia ci ha insegnato anche questo, ci ha permesso di riscoprire il valore dello stare insieme che prima era banalizzato; ora non vediamo l'ora di stare insieme e lo si apprezza. Mi rendo conto di quello che ho immaginando di non averlo. Quante famiglie si sono ritrovate, proprio grazie a questo. Avevano perso il dialogo, sono stati costretti a stare di più insieme e così ne hanno riassaporato la bellezza.

Sto analizzando un evento, che ha creato i seguenti vantaggi: ecologia, ottimizzazione delle risorse, riduzione degli sprechi, nuovo gusto dei momenti di condivisione. Se uno sapesse che sto parlando della pandemia si sorprenderebbe, no?

C'è un altro principio che la pandemia ha messo messo alla prova: le persone al centro. Sappiamo che nelle aziende di cui sei alla guida tutti i 400 posti di lavoro sono stati preservati: come è stato possibile?

Lo abbiamo fatto cercando soluzioni trasversali, anziché percorrendo il classico modello operativo, e pensando al fatto che siamo dotati di forze più grandi di quelle che immaginiamo. Attraverso il principio per cui ci sono più soluzioni che problemi, abbiamo trovato soluzioni. C'è il problema pandemia, bene: soluzioni? Per arrivarci non servono formule magiche ma impegno, dedizione e costanza. Con questi elementi in gioco il problema ha già dentro la soluzione.

So che i tuoi due figli, di 22 e 26 anni, sono impegnati professionalmente con te ma che non è una cosa che hai imposto. E' così?

Faccio una premessa importante. Innanzitutto non ho mai voluto che facessero quello che io desideravo. Bisogna lasciare accadere e maturare gli eventi: quando andavano a scuola, li ho seguiti come bambini e ragazzi, e di lavoro parlavo solo il tre per cento del mio tempo, giusto perché avessero coscienza che il papà era impegnato nel lavoro. Ho dato attenzione alla loro persona; il resto è maturato lasciando che le cose accadessero. Ma il successo non sta nel fatto che ora collaborano con me; se il frutto doveva essere questo, bene, altrimenti bene lo stesso.

Abitano a 150 chilometri da me eppure loro, per loro scelta, ora sono impegnati professionalmente con me. Il Covid mi ha fatto tanti favori. Federico era a Miami, e prima a Londra, dove lavorava come barman, ma la pandemia lo ha obbligato a rientrare. A quel punto gli ho proposto di venire da me per riprendere il suo percorso appena fosse stato possibile.

Ha cominciato e poi si è talmente coinvolto che ora fa parte del DNA del progetto imprenditoriale e ha anche una sua start up già avviata. Una cosa veramente bellissima, per me soprattutto perché lui per primo è contentissimo.

Stessa cosa per Leonardo; per lui il coinvolgimento non è stato per il Covid, ma, coincidenza, entrambi si sono coinvolti con me in tempi ravvicinati.

La sola raccomandazione che ho sempre fatto loro, dai tempi della scuola in avanti, è stata questa: "Fate quello che volete, l'importante è che lo facciate bene".

C'è qualcosa che può sintetizzare il vostro modo di collaborare?

Lavorare anche con loro, vederli coinvolti, ognuno secondo il proprio stile e obiettivi, nella stessa avventura, mi ha dato grandi soddisfazioni.

Possiamo, anzi dobbiamo sempre migliorare, errori ce ne sono stati, ma non importa.

C'è una cosa, semplice e potente: quando ci vediamo, la prima cosa che facciamo è abbracciarci; anche se sono in riunione, interrompo qualche secondo, ci abbracciamo e si va avanti. E la cosa ha un effetto anche sugli altri, diffonde un'energia diversa. Sembra una cosa da poco e invece ti indirizza la giornata.

Perché lo fai? gli effetti sono positivi ma per essere vero, questo gesto, si capisce che sia disinteressato. Trasformarlo in abitudine è un potenziamento del bene. Ma prima di tutto questo, che cosa vuoi dire loro?

Devono sapere che hanno qualcuno che li ama. Si tratta di questo.

Ci sono i problemi, certo, ma si risolvono; e in questo il lavoro, con le sue richieste, gli ostacoli, le sfide è come una serie di esercizi che la vita ci offre.

Quello che conta non sono tanto gli esercizi ma come li stai facendo, cosa impari di te, degli altri, della vita, mentre sei impegnato nel lavoro. E anche ciò che lasci come segno, con il tuo esempio, che è il miglior insegnamento.

Se inizi la giornata con un abbraccio veloce, anche solo un sorriso, ti viene automatico ed è un'ancora positiva fortissima, anche una riunione un po' complessa cambia stile. Questo atteggiamento è virtuoso, fa del bene e fa star bene.

Le cose vere hanno questa caratteristica che è come una firma: sono semplici.

Che non significa banali o facili. C'è un'altra caratteristica del rapporto personale e professionale del rapporto coi tuoi figli che vuoi mettere in evidenza?

L'altro tratto fondamentale è che con loro ho un rapporto paritetico. Non impugno i miei 51 anni; anzi capita spesso che loro colgano aspetti che io non colgo di determinate situazioni. Questo modo di considerarli e di considerare il nostro rapporto passa. L'imperfezione non è un ostacolo. La cosa più importante è la coerenza, tra valori, principi, comportamento, modo di guardare le cose e soprattutto le persone.

Credo che sia stato questo insieme di principi e questo stile di comportamento a permettere il nostro naturale, libero avvicinamento nel lavoro. Il Covid ha dato la spinta decisiva: paradossalmente la distanza ci ha avvicinato.

Cosa possiamo rubarvi da portare nella nostra vita?

Gli eventi non hanno un potere assoluto; noi persone, il nostro modo di guardare gli eventi ha il potere più grande, siamo noi ad avere le quote di maggioranza e, possiamo dire, "imponiamo la linea", cioè decidiamo come vedere le cose, come giudicarle, da che punto di vista, con quale focus. Abbiamo molta libertà, a voler ben vedere.

Come ci si allena a questo approccio?

Il sistema è staccarsi dagli eventi per vedere in maniera più ampia. Bisogna aumentare, allargare il cono ottico: se stai a 5 cm dal tavolo vedrai solo un pezzetto del piano, non saprai nemmeno che è un tavolo. Se ti allontani capisci il tavolo, conquisti una visione più ampia, leggi non solo il tavolo ma il contesto a cui appartiene. Servono pochi principi, ma chiari.

E soprattutto chi ha la fede ha una spensieratezza che altrimenti non si sa dove attingere. Spensieratezza e sano fatalismo, ovvero senso del destino. Ma noi sappiamo che questo destino è buono! Che c'è un Padre...

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