Dopo 23 anni di matrimonio felice con Enrico I, re di Germania, chiamato anche “Enrico l’Uccellatore” in ragione della sua passione per la caccia al falcone, la regina Mathilde proseguì le sue opere buone iniziate al fianco del marito, e fece costruire numerosi ospedali e monasteri. Opere pie e caritatevoli che non andavano pienamente a genio ai figli.
Mathilde ed Enrico avevano cinque figli – tre maschi e due femmine. Il maggiore, Ottone, sarebbe diventato imperatore di Germania e re d’Italia, primo titolare del Sacro Romano Impero Germanico. Enrico sarebbe stato re di Baviera e il cadetto, Bruno, vescovo di Colonia, canonizzato e noto anche come san Bruno di Colonia. Quanto alle figlie: Gerberga avrebbe sposato Luigi IV d’Oltremare, re di Francia, ed Edwige sarebbe diventata la moglie di Ugo il Grande, dunque la madre di Ugo Capeto.
In concomitanza della designazione di Ottone come erede, nel settembre 929, Enrico I accrebbe considerevolmente i beni personali di Mathilde per premunirla in caso di vedovanza. Le concesse in particolare le rendite dei dominî di Quedlinburg, Pöhlde, Nordhausen, Grone e Duderstadt.
«I miei figli sono per me strumento della volontà di Dio»
Alla morte del re, però, i due figli Ottone ed Enrico si allearono per spogliare Mathilde della sua dote e relegarla in un convento in Westfalia. L’accusarono di dilapidare il denaro del regno a forza di fondare monasteri e di fare l’elemosina ai poveri.
Senza lamentarsi del suo ritiro forzato, ella rispose ai principi e ai prelati che andavano a confortarla: «I miei figli sono per me lo strumento della volontà di Dio: sia Egli benedetto, e voglia Egli benedirli».
Una dolcezza che ricorda l’attitudine a cui invita Cristo. Quando siamo messi alla prova, Gesù esorta a non cedere all’istinto e all’odio. Egli invita piuttosto a superarsi al punto da rendere bene per male, porgendo l’altra guancia: «A chi ti colpisce su una guancia, presenta anche l’altra» (Lc 6,29). Commentando il racconto della Passione in cui Gesù riceve uno schiaffo da una delle guardie e si limita a chiederne conto («Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi schiaffeggi?»), papa Francesco ha ricordato, nel suo Angelus del 20 febbraio scorso, che «porgere l’altra guancia non significa subire in silenzio, cedere all’ingiustizia». Gesù lo fa «senza ira, senza violenza, anzi con gentilezza. Non vuole innescare una discussione, ma disinnescare il rancore».
Una gentilezza e una pazienza di cui sembra aver dato prova la futura santa Mathilde di Ringelheim, e che vengono ricompensate. Grazie all’intervento della nuora, la moglie di Ottone, Mathilde ritrovò i suoi beni e la sua libertà. I due principi si riconciliarono con la madre e la ristabilirono a corte nella sua prima fortuna.
Di lei si diceva: «Nessuno giungeva a lei dolente senza ripartire gioioso». La sua dolcezza e la sua grandezza d’animo fanno di santa Mathilde la santa patrona delle famiglie numerose. In particolare è invocata per venire in aiuto ai genitori in conflitto con i figli.
Ecco la preghiera di santa Mathilde, quella che avrebbe recitato poco prima della morte:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]