La guerra capita a me
Mi permetto di cominciare facendo l’antipatica. Noto lo slancio crescente di molti a professarsi esperti di geopolitica e di scenari internazionali di guerra. Ora che c’è la guerra, è tutto un tripudio di post sui vari social network di commenti che, sostanzialmente, vogliono dimostrare che è colpa della Nato o è colpa di Putin. La comprensione storica degli eventi merita la nostra attenzione, soprattutto il nostro ponderato discernimento.
Diffido di chi è capace di sintesi in mezzo al casino. Diffido di chi nel mezzo di questo lacerante presente si rifugia nel cantuccio protetto delle analisi. Ma, voglio dirlo con una certa robustezza, è un male endemico la visceralità del “ho capito e te lo spiego”. Che spesso vuol dire: ho visto un video, mi ha preso di pancia, e lo rilancio su facebook spacciandolo per una verità acquisita e digerita. Perciò ripeto. La comprensione storica degli eventi merita la nostra attenzione, soprattutto il nostro ponderato discernimento.
Perciò rifuggo dalle analisi geopolitiche pret a porter e dalle raffinate disquisizioni su buoni e cattivi. Penso che sia un passatempo-paravento per non lasciarci interrogare dalla guerra in quanto disastro umano globale. La guerra non capita tra l’Ucraina e la Russia, ma a me. Voglio non abbassare lo sguardo dal terremoto che genera nella mia persona, e lo genera.
Stop. Fine della parte borbottona.
Sorella morte
Ringrazio invece chi usa i social in modo poco istintivo e molto edificante. In particolare oggi dico grazie a Giacomo Berchi che ha condiviso su Instagram un documento di C.S. Lewis che è una manna dal cielo.
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La sua citazione mi ha allargato il cuore. Grazie ora e sempre al dono che la voce di C.S. Lewis è per l’umanità. Il documento a cui fa riferimento Giacomo – Learning in War Time – è disponibile online. Sono 6 paginette di pura ragionevolezza ardita, le trovate qui.
Chi sa cos’è la guerra non parla di scenari e fantapolitica, va dritto al punto: la morte. Sa che le circostanze presenti, catastrofiche e non, sono occasione per l’anima di giocarsi l’eternità. E dunque in quel testo – siamo nel 1939 – Lewis parla a docenti e studenti di Oxford ponendo una gran bella questione: ma noi che facciamo? Continuiamo a fare il nostro dovere di stare sui libri mentre sta per esplodere la guerra?
Che, tradotto in soldoni, si può declinare in: ma io continuo a fare le solite cose – il mio lavoro, le faccende domestiche, le incombenze quotidiane – mentre vedo bombe e catastrofi umanitarie ai TG?
Leggetevi quelle 6 paginette per aprire gli occhi sull’ essere uomini. Condivido qui il passaggio finale, come antidoto alla grande tentazione dell’orgoglio.
La nostra tricea
Lewis parlava a universitari, per questo si riferisce al dovere della conoscenza. Stava dicendo: se quel che fai ogni giorno è occasione di verifica del tuo rapporto con Dio, rendendoti conto che qui non c’è la pace ma il travaglio di un cammino verso un destino eterno (che sarà pace), allora fai bene e umilmente quello che devi fare.
La guerra può farci finalmente ricordare che questa vita è un pellegrinaggio – dice Lewis. Chi si industria a spiegare troppo raffinatamente come stanno le cose, è schiavo dell’idea che sulla terra ogni cosa sarà spiegata e capita. No. La chiarezza verrà dopo, qui c’è solo da giocarsi una partita dura e sudata che vale l’eternità.
Quindi.
Se siamo mamme, continueremo a lavare i piatti. Ciascuno lo declini per sé. L’antidoto alla guerra non è diventare esperti di guerra. Non è lanciarsi in spiegazioni e post tonanti sui social networks, scritti per far vedere che io lo so come stanno i fatti (spoiler: è solo orgoglio). Il contrario della guerra è amare il proprio non-nulla quotidiano. Possiamo vivere ogni piccolo gesto consapevoli del dramma che la mortalità scritta nella nostra carne ci chiede, eppure strappandolo alla logica disumana che tutto sia nulla. Nessuno di noi farà tacere le bombe. Non riusciremo a lenire anche il più piccolo dolore di un bambino sotto le bombe. Nessuno di noi cambierà la pessima verità sulla tendenza recidiva dell’uomo a cadere e ricadere nella guerra.
Ma possiamo stare al nostro posto come fosse una trincea. Lo è, non è una metafora. I nostri piccoli doveri è impegni quotidiani sono il sì di una creatura, sempre a un passo dalla morte, a all’ipotesi di un Bene che ci ha già strappato alla morte e ci porterà a Casa.