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Addio all’individualismo moderno: siamo fragili, vulnerabili e dipendenti

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Miguel Pastorino - pubblicato il 11/03/22
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Il sogno dell'individualismo moderno è pensare che l'essere umano sia indipendente e possa realizzarsi senza gli altri, come se fossimo naturalmente egoisti

Siamo sempre più consapevoli del fatto che l'aspetto caratteristico della nostra condizione umana è il fatto di essere interdipendenti, fragili e dipendenti. Quello che caratterizza tutti noi è fondamentalmente la nostra vulnerabilità.

Nella mentalità contemporanea, in cui dominano l'iperindividualismo e l'utilitarismo, diventa naturale la mancata conoscenza del valore dell'essere umano al di là delle sue condizioni vitali o delle sue capacità. Anche la dignità umana, difesa da tutti come inerente alla condizione umana, sembra oggi dipendere da quello che ciascuno pensa individualmente, per dire se la sua vita vale qualcosa o nulla.

In base a questo, si idealizza l'autonomia, come se la dipendenza e la vulnerabilità ci umiliassero. Relativizzata la dignità umana piegandola a considerazioni di valutazione in base alle capacità, si distrugge un presupposto fondamentale di una società democratica: l'uguaglianza.

Vulnerabili e dipendenti per costituzione

La prima cosa che scopriamo nell'esistenza non è la nostra razionalità, ma l'essere indifesi, che ci spinge a cercare l'ausilio nella relazione con gli altri (Martin Buber). L'essere umano è indifeso biologicamente, paragonato ad altri animali, e prevale solo per l'intelligenza, che è la capacità di prevenire e di trasformare le sue carenze in opportunità vitali (Zubiri, 1986). 

L'essere umano ha bisogno degli altri e di cure fin da quando nasce. Il filosofo A. MacIntyre, nella sua opera Animali razionali e dipendenti (2001), afferma che siamo dipendenti perché vulnerabili, che l'umanità “normale” non viene definita da stati di autonomia perfetti, da vite indipendenti, ma al contrario, da diversi stati di dipendenza nel corso della vita.

Siamo animali razionali, e per questo vulnerabili e dipendenti, bisognosi della comunità umana per svilupparci. La nostra fragilità e necessità degli altri comune è facile da constatare, ma difficile da assumere.

Recenti studi storici scoprono che il motore evolutivo dell'umanità è stato l'altruismo e non la competitività, la cura dell'altro e non l'egoismo (Rutger Bregman, 2020). 

La politica di fronte alla vulnerabilità

Autori materialisti come Patricia Churchland e studi di neuroscienze evidenziano la struttura morale del cervello umano e la nostra tendenza a proteggere il debole, a sacrificarci per coloro a cui siamo legati in un impegno biologico di assistenza. Gli esseri umani sono cooperativi, e il sostegno reciproco è un meccanismo di sopravvivenza.

A sua volta, questa vulnerabilità è un'occasione per sviluppare quello che ci costituisce, e così si mostra la cura umana nei confronti dei più bisognosi. La cura umanizza chi la dà e chi la riceve, non solo a livello individuale, ma anche quando si tratta di progresso sociale e politico.

Lo afferma il professor Aniceto Masferrer nella sua opera Per una nuova cultura politica (2019):

Adela Cortina, nella sua recente pubblicazione Etica cosmopolita (2021), ha scritto che “l'interdipendenza ci costituisce, la solidarietà è irrinunciabile”. La filosofa spagnola si mostra convinta del fatto che se i politici generassero coesione sociale da progetti dialogati e condivisi per risolvere i problemi più pressanti, anziché impelagarsi in dispute opportunistiche che promuovono la polarizzazione e il conflitto, potrebbero rispondere con maturità ed elevatezza umana alle sfide del presente, perché comprenderebbero che “i valori con futuro sono quelli che si intessono sulla base della compassione e danno ragioni per la speranza”, perché teniamo gli uni agli altri.

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