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I quaranta martiri di Sebaste, morti di freddo per Cristo 

martys de sébaste

I quaranta martiri di Sebaste.

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Anne Bernet - pubblicato il 11/03/22
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Dalla fine del III secolo, l’epurazione delle legioni romane aveva fatto martiri a centinaia. Il 9 marzo la Chiesa celebra i santi martiri di Sebaste, quaranta giovani ufficiali che rifiutarono di sacrificare agli idoli.

Dal 313, con la pubblicazione dell’Editto di Milano, il cattolicesimo venne ufficialmente riconosciuto nell’Impero romano, e il suo culto autorizzato. Costantino, vincitore sul rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, allora alla periferia di Roma, ringraziava così il Dio di sua madre, Elena, che gli si era manifestato al suo ingresso in Italia mostrando in cielo una immensa croce sotto la quale sarebbero state scritte le parole latine “In hoc signo vinces” («con questo segno vincerai»). 

Cesare delle province d’Occidente, Costantino si rassegnava ad abbandonare, almeno per qualche tempo, quelle orientali all’omologo Licinio: un compromesso che poteva durare poco, date le ambizioni smisurate dei due. Per rinforzare la loro alleanza strategica, Costantino offrì tuttavia a Licinio la mano di una delle sue sorellastre. Furono celebrate superbe nozze, a Milano, nell’ottobre del 313, e i novelli cognati ratificarono congiuntamente la legislazione che faceva della Chiesa una istituzione che poteva muoversi alla luce del giorno. In linea di principio, nessun cristiano sarebbe più stato inquisito per la sua fede, tantomeno torturato o messo a morte per essa. In linea di principio… 

Potenziali traditori 

Quindici mesi dopo le festività milanesi, Costantino e Licinio si azzuffarono per una faccenda di frontiera sul Danubio, là dove l’imperatore d’Occidente confiscò i territori europei legati alla parte d’Oriente. In posizione di debolezza, Licinio rinunciò a riconquistarle, ma era abbastanza intelligente da comprendere che questa attitudine non l’avrebbe protetto a lungo.

Costantino voleva riunificare l’impero a proprio vantaggio esclusivo. Ciò significa che Licinio, presto o tardi, sarebbe dovuto scomparire – prospettiva che comprensibilmente non gli andava a genio. Ora, se l’Occidente (all’inizio del IV secolo) era ancora largamente pagano, e a seconda delle regioni non contava più del 10-15% di cristiani, non era questo il caso dell’Oriente, evangelizzato prima, dove i cristiani erano maggioritari. 

A partire dall’editto di Milano, la loro potenza si dispiegava apertamente, e Licinio ne era preoccupato. Anche se, ufficialmente, Costantino era sempre pagano, e lo sarebbe rimasto fino al giorno della sua morte, quando si fece battezzare in extremis da un vescovo filo-ariano, la sua simpatia per i cristiani gli sarebbe valsa l’appoggio della Chiesa – appoggio che, nel contesto di tensioni tra i due Cesari, doveva essere problematico per Licinio. È fastidioso sapere che il proprio territorio è pieno di partigiani nel nemico, suscettibili di provocare disordini, rivolte, sedizioni atte a destabilizzare il potere. 

Questa analisi politica incitò Licinio a cambiare completamente attitudine, verso i cristiani, e a ritrattare le libertà accordate applicando l’editto di Milano. Reazione non lungimirante, perché avrebbe consegnato la Chiesa nelle braccia di Costantino “difensore dei perseguitati”… Fin dal 314 Licinio moltiplicò le legislazioni restrittive, chiuse le chiese col pretesto che sarebbero dei potenziali focolai di epidemie…

Nel 319, mentre le tensioni con Costantino si esasperavano, mise le mani sui beni del clero, poi su quelli dei semplici fedeli e, mentre la guerra col cognato era ormai inevitabile, decise di espellere i cristiani dalle schiere dell’esercito. Licinio se ne sentiva in pieno diritto: sarebbe stato rischiosissimo tenere nelle legioni dei potenziali traditori. Occorreva sbarazzarsene d’urgenza. 

Il celebre Polieucto 

Non era la prima volta che soldati e ufficiali cristiani venivano posti a scegliere tra la loro fede e la carriera (nel migliore dei casi: la vita nel peggiore). Dalla fine del III secolo, questa epurazione delle legioni aveva fatto centinaia di martiri. Esisteva un metodo molto semplice: ristabilire sulle insegne delle legioni le aquile ancestrali che Costantino aveva fatto rimpiazzare con la croce della sua visione, il famoso labarum, ed esigere dagli uomini che sacrificassero a quell’effigie pagana. A dirla tutta – vuoi perché i cristiani non erano molto numerosi, vuoi che non avevano la stoffa dei martiri… – l’operazione di scristianizzazione procedeva piuttosto bene e senza effusione di sangue, perché i soldati di Cristo disertavano. 

Questo fino al febbraio 320. A Sebaste, nell’Armenia Minore, venne confinata una delle più gloriose unità dell’esercito romano, la XII Legio Fulminata. Da più di centocinquanta anni quel reparto d’élite era cristianizzato. La Tradizione, anche se i pagani riportano un’altra versione della vicenda, afferma che grazie alle preghiere dei soldati cristiani nel corso di una campagna contro i Goti, un provvidenziale diluvio avrebbe salvato i romani – malmessi per la mancanza d’acqua – guidati da Marco Aurelio. 

Sempre nella XII Fulminata serviva, nel 251, il celebre Polieucto, ufficiale martirizzato per aver stracciato l’editto di Decio che obbligava i cristiani a un giuramento civico assimilabile all’apostasia. Forti di tali esempi, i legionari della Fulminata sentirono di doversi mostrare all’altezza dei loro gloriosi antenati, e quando venne il loro turno di sacrificare agli idoli quaranta giovani ufficiali si presentarono spontaneamente al prefetto militare e gli dichiararono che non avrebbero rinnegato Cristo. 

Un metodo poco comune 

Questo genere di cose è sempre imbarazzante per la gerarchia, soprattutto quando si tratta di un corpo di élite. Molto infastidito, il prefetto cominciò ad esporre ai giovani ufficiali l’assurdità della loro attitudine: con i loro brillanti stati di servizio, come potevano pensare di abbandonare l’esercito? E giù a promettere scatti di carriera, decorazioni, aumenti di stipendio… Portavoce dei compagni, uno degli ufficiali, Quirione, rispose: 

Gli ordini di Licinio erano di non fare martiri, nella misura del possibile, e allora il prefetto fece mettere i quaranta agli arresti per una settimana, nella speranza di vederli piegati. Tutto inutile, perché all’interrogatorio successivo, il 7 marzo, li trovò ancora più determinati di prima. Esasperato, il prefetto fece fracassare mascelle e denti ad alcuni di loro, ma invano. 

Ridicolizzato, fu costretto ad emettere una condanna a morte, ma anche qui – nella speranza di far tornare i testardi sulla loro decisione – optò per un metodo poco comune: di solito i militari cristiani venivano decapitati o passati a fil di spada, con o senza supplizi accessori. Il prefetto si volle meno speditivo: all’ingresso della città si estendevano praterie paludose che, a ogni inverno, si trasformavano in un vasto lago. Ai primi freddi, il lago gelava. Faceva freddissimo, su quell’altopiano d’Asia minore spazzato da vento glaciale…

Quella sera, quando la temperatura sarebbe caduta, si sarebbero condotti i quaranta uomini sulla riva. Li si sarebbe costretti a svestirsi e, nudi, a sdraiarsi sul ghiaccio. Finché morte non fosse sopraggiunta. La fine sarebbe stata lenta e dolorosa. Tanto più lenta e dolorosa che sarebbe stata lasciata loro una possibilità di salvarsi: a bordolago avrebbero allestito una capanna riscaldata. In qualunque momento chiunque sarebbe potuto andare a rifugiarvisi, e il gesto sarebbe stato preso come un sacrificio agli dèi, ovvero un’apostasia. 

Sdraiati sul ghiaccio 

Sdegnosi, i quaranta giovani uomini si spogliarono e, nudi, andarono a sdraiarsi sul lago gelato. Non si mossero più. Con una eccezione. Verso le 3 del mattino, pietrificato dal freddo e privato del sostegno dei compagni – i quali poco a poco erano scivolati nel coma – uno dei ragazzi, battendo i denti, non ce la fece più e, raccogliendo le ultime forze, arrivò fino a riva, entrò nella capanna riscaldata, vi si rifugiò… e morì (l’organismo non sopportò lo choc termico). La sera prima Quirione, il loro capo, aveva detto che Dio aveva permesso loro di essere quaranta a rendere testimonianza, e che al mattino dopo si sarebbero trovati quaranta morti per Cristo. E invece se ne trovarono trentanove.

In lacrime, uno dei soldati di guardia si alzò e disse al suo capo: «Anche io sono cristiano!», e spogliandosi andò a sdraiarsi sul ghiaccio al posto del misero disertore. Il sole levante avrebbe ben presto rivelato quaranta corpi ghiacciati sul lago. I soldati incaricati del conto si accorsero che il più giovane, Melitone, era ancora vivo. Presi da pietà, decisero di salvarlo, incapaci di gettarlo coi cadaveri dei compagni sulla pira allestita. Avevano fatto i conti senza la madre, venuta a rendere gli estremi omaggi al figlio. Eroica, quella pretese che il figlio, vivo, non fosse separato dai compagni morti, e vigilò che fosse portato con gli altri alla cremazione, ripetendogli: 

I nomi dei quaranta 

Così perirono a Sebaste, in Armenia Minore, nella notte fra il 9 e il 10 marzo 320, quaranta ufficiali cristiani. Si chiamavano Quirione, Candido, Domnus, Melitone, Domiziano, Eunuco, Sfissino, Eraclio, Alessandro, Giovanni, Claudio, Atanasio, Valente, Eliano, Editio, Acacio, Vibiano, Elia, Teodulo, Cirillo, Flavio, Celeriano, Valerio, Cudio, Sacerdon, Priscus, Eutichio, Eutiche, Smeraldo, Filoctimone, Ezio, Nicola, Lisimaco, Teofilo, Xanteas, Angias, Leonzio, Esichio, Caio e Gorgone. Peccato che nessuno abbia annotato il nome della madre di Melitone: avrebbe meritato anche lei di condividere la gloria del figlio e dei suoi amici. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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