Monsignor Paolo Pezzi è dal 2007 l’arcivescovo cattolico di Mosca. Una diocesi vastissima, grande nove volte l’Italia. Comprende al suo interno un caleidoscopio di nazionalità, fra cui la comunità armena, quella coreana, quella vietnamita, e via dicendo. In totale sono 180mila i cattolici della diocesi, mentre i religiosi sono circa 200.
Più bellezza e più fragilità
Più bellezza da condividere ma anche, a volte, più timore nel testimoniare ciò che si crede. Perché quando si è minoranza si è più fragili. Quando si è minoranza l’identità viene sollecitata ogni giorno e ogni giorno sei chiamato a verificarne la consistenza, che è Cristo stesso. Nel libro ”La piccola Chiesa nella grande Russia” (edizioni Ares), mons. Pezzi racconta a Riccardo Maccioni la sua esperienza tra i cattolici di Mosca e della diocesi. Ci sono luci e ombre che il vescovo spiega con estrema chiarezza.
Giovani spaesati
Le ombre sono costituite da quei giovani, che stanno pagando un prezzo altissimo alla crisi in termini di difficoltà di accesso al mondo del lavoro e di possibilità di costruirsi una famiglia. Problemi a ben vedere che riguardano anche il mondo occidentale, Italia compresa. Quanto alla Russia, secondo mons. Pezzi, tra i giovani esiste «una “problematica vocazionale”, anche se non la si chiama così, cioè la necessità di trovare il motivo, la ragione per cui io sono a questo mondo, in queste condizioni, e a che cosa serve la vita».
Il desiderio di farsi una famiglia
I giovani cattolici della diocesi di Mosca «avvertono inoltre molto forte il desiderio di avere una famiglia propria, nel segno della stabilità, di costruire legami capaci di resistere al passare del tempo».
La voglia di fare del bene agli altri
Ma c’è un altro aspetto, prosegue mons. Pezzi, «che ho osservato, soprattutto durante la pandemia, ed è il desiderio di andare incontro all’altro, di non chiudersi, di prendere l’iniziativa per fare qualcosa di bene, non solo per la propria vita ma anche per la società, per le persone intorno. Ho trovato nei giovani questi aspetti più vivi di quanto immaginassi».
Un mito da sfatare: la famiglia perfetta russa
Un’altra ombra osservata dal vescovo di Mosca, tra i cattolici russi, è la famiglia. Il desiderio dei giovani è farsi una famiglia, ma nel tempo, una volta che si crea questa famiglia, la stabilità viene meno.
«Parlando di famiglia - afferma mons. Pezzi - quando noi pensiamo alla Russia la immaginiamo più legata che in Occidente ai modelli tradizionali, più solida, meno disponibile a frastagliarsi che da noi. Ma forse è un luogo comune. La famiglia in quanto tale è una realtà molto scardinata. Non dimentichiamo che l’Urss è stato uno dei primi Stati a introdurre il divorzio, il primo, cent’anni fa, a rendere legale e sistematico l’aborto. Tutto questo ha introdotto una diffidenza o perlomeno una dubbiosità riguardo alla stabilità familiare. È molto difficile ancora oggi trovare giovani i cui genitori siano uniti in matrimonio per la prima volta».
“Radicata” ma “non definitiva”
Riassumendo, «la famiglia intesa come rapporto tra un uomo e una donna è certamente molto radicata nel tessuto sociale, mentre non lo è altrettanto il fatto che il rapporto tra quell’uomo e quella donna sia definitivo».
Le “luci” in Russia: il modo di testimoniare la fede
Tra gli aspetti positivi della evangelizzazione tra i cattolici russi, il vescovo evidenzia tre aspetti. «Il primo è la testimonianza di fede, che poi è ciò che crea e sviluppa una comunità. Per questo ho sempre cercato di valorizzare quelle persone e quelle parrocchie dove c’era e si manifestava in modo chiaro: attraverso la carità, attraverso l’attenzione gli uni agli altri, attraverso il farsi carico dei bisogni e anche attraverso la comunicazione del contenuto della fede».
L’esperimento di una parrocchia
Pezzi ricorda «che in una parrocchia mi colpì il metodo di evangelizzazione e di catechesi. In quella comunità il parroco, due o tre volte all’anno, invitava i fedeli che accettavano a fare una comunicazione esplicita della propria fede ai familiari, agli amici, ai parenti, ai colleghi di lavoro, senza nessuna pretesa, invitandoli semplicemente a partecipare a degli incontri. Nel giro di una decina d’anni la frequentazione della parrocchia è pressocché raddoppiata. Ma più dei numeri è stata importante la crescita della fede».
“Una cosa bella, non un giogo”
La fede è molto radicata in quelle famiglie che invece, restano stabili. “L’indissolubilità del matrimonio” è vissuta, secondo il vescovo di Mosca, «come una cosa bella, e non come un giogo. Detto in altri termini, sono le situazioni in cui il sacramento è fonte continua di rinnovamento familiare».
Giovani leader carismatici
Un altro aspetto positivo, secondo Pezzi, «sono i giovani nei quali appare in modo molto trasparente come la vita sia vocazione. Ed è interessante notare come questi ragazzi diventino spesso dei trascinatori».
Gli scheletri dell’Unione Sovietica
Il problema che solleva il vescovo di Mosca, è questi giovani sono pochi. «Questa deresponsabilizzazione è dovuta, almeno in parte, all’eredità del regime totalitario, in cui uno Stato oppressore aveva abituato la gente a non decidere. Tra l’altro, paradossalmente, molte persone che li hanno vissuti, ricordano con una certa nostalgia quegli anni. Sembra impossibile ma il non doversi assumere delle responsabilità viene sentito come una forma di libertà».