Come tutti sanno, i demonî sono violenti e cattivi: è nella loro natura. Quel che si sa meno è che neanche i nostri angeli custodi hanno dei caratteri facili: la loro esigenza cresce con i nostri progressi spirituali, e possono arrivare a correggere con ruvidità i loro protessi ove questi stiano per deluderli. Santa Francesca Romana, nel suo XVI secolo, ne fece esperienza personale.
La visita di sant’Alessio
Nata nel 1384 nell’alta nobiltà romana, Francesca Bussa, ricchissima figlia unica, andò in sposa a undici anni, contro la sua volontà, a Lorenzo Ponziani. Il fatto non era che Lorenzo – giovane, bello, fortunato, coraggioso, delicato, innamorato – non fosse un buon partito: è che Francesca sognava la vita religiosa, e questo matrimonio coatto era per lei un incubo. Se ne ammalò tanto gravemente che la credettero prossima alla morte.
Una notte, circonfuso di gloria, un giovane le apparve: era sant’Alessio, quel patrizio che un millennio prima fuggì – volendo scappare dal matrimonio e dalla vita mondana – per condurre un’esistenza errante e tornare alla fine, come un clochard, a morire sotto le scale della casa paterna. Nessuno meglio di lui poteva capire i tormenti di Francesca, e il santo le spiegò che Dio l’aveva mandato a farle un’offerta: se davvero la vita nel mondo le risultava intollerabile, avrebbe potuto morire all’istante, ma avrebbe così rinunciato a tutto il bene che avrebbe potuto fare, anche fuori dal convento, per la gloria divina. Al contrario, se avesse accettato di restare nella vita corporale avrebbe sofferto molto e a lungo, ma con le sue opere e con i suoi sacrifici avrebbe ottenuto ricompense celesti.
Francesca scelse di vivere e di soffrire per amore di Dio e per la salvezza delle anime. Ne sarebbe stata ricompensata.
Le maniere forti
Immediatamente guarita, fu da quel momento perseguitata dai demonî, furiosi per la sua scelta. Le tentazioni comuni non avevano presa su di lei, bisognava ricorrere alle maniere forti. Si cominciò con la visita di un religioso mendicante dall’aria di un sant’uomo e che venne accolto come tale a palazzo Ponziani.
Solo che, nei colloqui spirituali che ebbe con Francesca e coi suoi famigliari, il fratacchione tracciò della vita devota un quadro spaventoso: la descrisse vana, ridicola, inutile al pari delle mortificazioni e delle penitenze che la giovane signora non cessava di infliggersi. La preghiera, il digiuno… tutte cose che non servono a niente! La vita è breve, tanto vale godersela! A sentire queste frasi, Francesca riconobbe il Maligno e, con un segno di croce, mise in fuga il falso religioso.
Allora il mondo infernale passò alle vessazioni fisiche, processo riservato alle anime d’élite, difficili da impressionare con mezzi ordinari. Giorno e notte, Francesca veniva battuta, colpita, buttata giù dal letto, sollevata in alto e poi precipitata: se ne ritrovò coperta di contusioni ed ematomi, mentre sopportava le vessazioni senza lagnarsene. E se fosse toccato ai suoi cari?
La giovane donna non aveva che un’amica, la cognata Vanozza, che introduceva alle vie della santità, la sua unica confidente, l’unica che non si faceva burle del suo vestire povero né delle sue dispendiose opere caritatevoli. Se Vanozza fosse scomparsa, Francesca sarebbe rimasta sola. «Ucciderò Vanozza e così cadrai nella disperazione», le sibilò all’orecchio il demonio.
Parlava sul serio: poco dopo, mentre le due cognate passeggiavano sul Lungotevere, un aggressore invisibile si precipitò su di loro e le scaraventò nel fiume. Non sapevano nuotare e sarebbero annegate, se i loro angeli custodi non le avessero tratte dall’acqua e riportate sull’argine. «Omicida fin dal principio», il maligno tornò all’attacco: pochi giorni dopo, Francesca e Vanozza scendevano i gradini di una stradina ben erta. All’improvviso Vanozza fu violentemente precipitata in fondo alla rampa, e sarebbe morta nella caduta, se ancora una volta una mano potente non l’avesse presa e depositata dolcemente in fondo alla china.
L’angelo custode non la lascia
Il diavolo tornò ancora una volta, cambiando registro, e stavolta puntò sul macabro: una notte, Francesca si svegliò con la sensazione di una presenza nel suo letto. Lorenzo però era in guerra. Con orrore, la donna constatò che sì, c’era un uomo sdraiato accanto a lei, ma ridotto allo stato di cadavere in putrefazione. L’atroce odore l’avrebbe perseguitata a lungo.
Fortunatamente, in questo combattimento Francesca non era sola: il suo angelo custode non la lasciava mai, e anzi dopo la straziante morte dei suoi figli maggiori (Giovanni Evangelista e Agnese) fu sostituito da un arcangelo proveniente dall’ottavo coro angelico, la cui vista bastava a far arretrare i demonî.
Ciononostante, in generale Francesca si traeva d’impaccio da sé e, se lo spirito beato interveniva a mettere in rotta l’assalitore senza che lei l’avesse chiamato, quella sospirava: «Grazie, ma avrei voluto vedere la fine della farsa…».
L’arcangelo però non era di temperamento facile, e lei ne sapeva qualcosa. Una sera di ricevimento a palazzo Ponziani, Francesca, distratta, lasciò che la conversazione volgesse alla maldicenza. Normalmente, in quei casi cambiava argomento o prendeva le parti della persona calunniata. Eccezionalmente, quella volta non lo fece: forse, in fondo era d’accordo con le cose che venivano dette… ma questa cosa non piacque all’arcangelo. Il rumore secco di uno schiaffo ammutolì il capannello, e tutti si voltarono verso la padrona di casa: sulla guancia livida di Francesca, in lacrime, stava l’impronta di una mano che le aveva assestato una superba cinquina. Nel mondo angelico non si scherza con la carità, né con la fama del prossimo.
La correzione che meritava
Francesca lo imparò a sue spese, né fu la sola: l’unico dei suoi figli che le sopravvisse, Gian Battista, sposò a undici anni Mobilia una ragazza di alta nobiltà, madida di orgoglio fin dalle fasce.
La nuora disprezzava cordialmente quella suocera vestita da popolana che passava le giornate a curare malati puzzolenti negli ospedali o ad ospitare i poveri nelle loro soffitte. Non perdeva alcuna occasione per insultarla o per umiliarla in pubblico, senza che né il marito né il suocero – tutti soggiogati dallo charme della smorfiosa – la rimettessero al suo posto.
Quella sera fu così odiosa che Francesca, sempre mite, proruppe in lacrime. Ed ecco che Mobilia si alzò come se l’avessero strappata dalla sedia, emise grida di dolore, cadde al suolo e si dimenò come se tentasse di sfuggire a una raffica di randellate. Ed era proprio quanto stava avvenendo. Esasperato, l’angelo le stava applicando la correzione che meritava. Mai più, da quella sera, avrebbe mancato di rispetto alla suocera.
Sapeva però mostrarsi dolce e pieno di attenzioni, e ne avrebbe dato la prova. Una cosa divertente: Francesca diceva al suo confessore (l’unico ufficialmente al corrente della presenza sensibile dello spirito beato accanto a lei) che la sua luce era molto pratica, perché la sera poteva leggere il breviario senza accendere la lampada. Ma l’arcangelo aveva pure altri vantaggi…
«Vieni a prenderlo ora!»
Mobilia ebbe due figli: quando ebbe tre anni il maggiore, Girolamo, giocava nel salone vicino alla nonna e ai genitori. Ed ecco entrare un intruso. Francesca era così abituata alle visite demoniache che non ci faceva neanche più caso. Il marito, il figlio e la nuora non videro lo sgradevole ospite, mentre Girolamo – ancora abbastanza innocente da discernere il mondo invisibile – si mise a urlare, terrorizzato dalla vista del demonio. Sola a comprendere la ragione del suo pianto, Francesca lo prese fra le braccia, e questo diede al Maligno l’idea di prendersela col bambino. Francesca moltiplicava segni di croce e invocazioni, senza pertanto riuscire ad allontanarlo dal piccolo. E il diavolo rideva del suo ghigno sardonico, cosa che raddoppiava il panico di Girolamo.
Testimone silenzioso della scena, l’Arcangelo avanzò, respinse sdegnosamente il demonio, prese Girolamo fra le braccia della nonna, e diede all’avversario un’occhiata come a dire “vieni a prenderlo ora!”: gli astanti videro il bambino fluttuare in aria, all’altezza cui si sarebbe trovato se qualcuno l’avesse tenuto fra le braccia, e poi scivolare nel vuoto fino alla culla, dove l’angelo lo depose rimboccandogli le coperte.
Poco dopo, un angelo del sesto coro, quello delle Potenze (esorcisti incaricati di allontanare da questo mondo le legioni infernali), sarebbe venuto a rimpiazzare l’arcangelo presso Francesca, e non l’avrebbe più lasciata fino alla sua morte, il 9 marzo 1440. La sua sola presenza presso lei e i suoi cari sarebbe bastata a sventare ogni impresa demoniaca attorno a quella che i Romani soprannominavano teneramente “la poverella di Trastevere”.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]