Nella sua allocuzione del 21 febbraio 2022, Vladimir Putin giustificava con tutte le ragioni possibili l’invasione dell’Ucraina, considerandola come parte integrante del “Russkiy mir” (“Mondo russo” o “santa Russia”). Una di quelle ragioni era il portare soccorso agli ortodossi legati al patriarcato di Mosca, a suo dire repressi da Kiev. Il 24 febbraio, le truppe lanciavano la loro offensiva massiva su più fronti.
Mosca e Kiev, due patriarcati per un territorio
Quando il presidente russo denuncia «la strumentalizzazione del dramma dello scisma religioso» a che cosa si riferisce? Esistono in Ucraina quattro Chiese con l’ambizione legittima a incarnare la nazione e la tradizione religiosa nazionale:
Quale rappresenta al meglio la sola e vera “Chiesa nazionale di Ucraina”? La prima corrisponde alla Chiesa russa, nata a Kiev nel X secolo ma successivamente sviluppata a Mosca, eretta in patriarcato indipendente da Costantinopoli nel XVI secolo, e da cui l’Ucraina dipendeva dal XVII secolo. Le altre due assicurano la continuità, almeno storica e geografica: esse si sono costituite per via di scisma rispetto al patriarcato moscovita, sia per riunirsi alla comunione romana sia (più recentemente) per guadagnare l’autocefalia.
Mille anni di civiltà slava ortodossa
I 1.000 anni di storia delle Chiese ortodosse di Ucraina sono oggetto di un recupero politico da parte dei governanti russi, come pure da parte degli ucraini. Col battesimo del principe Vladimir I, nel 988, Kiev è il luogo di nascita della civiltà slava ortodossa. Nel 991 la sed metropolitana di Kiev è stata creata sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
La Chiesa russa si consolida nel corso dei secoli seguenti, e scandisce sempre più nettamente i termini della propria indipendenza. Nel 1589 viene creato il patriarcato di Mosca, e la Chiesa ortodossa di Russia diviene allora autocefala. In seguito all’unione di Brest, nel 1595, una parte degli ortodossi di Ucraina recupera la comunione con la Sede Romana e diventa greco-cattolica. Nel 1686 la Chiesa ortodossa ucraina è costretta a subordinarsi al Patriarcato di Mosca. Approfittando dell’effimera indipendenza dell’Ucraina, la Chiesa ortodossa autocefala ucraina si separa dalla Chiesa ortodossa russa nel 1919, ma viene rapidamente repressa dal regime sovietico. Si sviluppa allora negli Stati Uniti e in Canada.
Liberare la Chiesa ucraina per liberare l’Ucraina
Bisogna attendere la caduta dell’URSS, nel 1991, perché le Chiese dissidenti, ma non riconosciute, si impongano di nuovo in Ucraina, e tra queste si annovera la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev, creata grazie alla collusione politico-religiosa dei circoli di nomenklatura attorno al primo presidente ucraino, L. Kravtchuk, e Filarete, ex metropolita della Chiesa ortodossa russa. Quest’ultimo venne nominato alla testa della COU-PK. Nel contesto della rivoluzione di Maidan, con l’annessione della Crimea e la guerra del Donbass a partire dal 2014, le rivendicazioni ella Chiesa ucraina si fanno sentire sempre più. Il 6 gennaio 2019 il Patriarcato di Costantinopoli accorda l’autocefalia alla metropoli di Kiev. Nel suo discorso del 15 dicembre 2018, al termine del concilio, l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko, loda il riconoscimento di una «nuova Chiesa senza Putin […] e senza preghiera per l’esercito russo», cosa che segna «la vera indipendenza dell’Ucraina rispetto a Mosca».
L’autocefalia è dunque un marcatore dell’ucrainità, simbolo di sovranità territoriale, di indipendenza e di identità distinta. La Chiesa di Ucraina è filo-europeista e lotta contro il separatismo filorusso del Donbass, nel 2014. Essa utilizza l’ucraino nelle celebrazioni religiose, contrariamente a quanto fa la Chiesa russa, che si attiene allo slavonico. Le diocesi passate sotto la giurisdizione della Chiesa di Ucraina non versano più una parte dei loro proventi finanziari al patriarcato di Mosca.
La collusione tra il Cremlino e la Chiesa russa
Dall’altra parte, il Cremlino e il patriarcato di Mosca sviluppano il concetto di “Russkiy mir”, che corrisponde alla civiltà – dominata da Mosca – dello spazio socioculturale e sopranazionale inglobante non soltanto la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina, ma in pratica l’intero territorio dell’Eurasia. Questa ideologia si fonda principalmente su tre pilastri:
Vladimir Putin e il patriarca Kyrill evocano sistematicamente il “Russkiy mir” in tutti i loro discorsi ufficiali. Nel 2007 è stata perfino creata una fondazione. Il 31 gennaio 2019 il patriarca di Mosca dichiarava che
Gli interessi dello Stato diventano gli interessi della Chiesa, e viceversa. La Chiesa ortodossa gioca un ruolo capitale nella propaganda dell’“idea nazionale”: essa è considerata come una istituzione dello Stato. Se non è costituzionalmente la religione ufficiale, essa può comunque ricevere finanziamenti pubblici e anche partecipare alle attività diplomatiche del Paese.
«Le forze del male»
L’autocefalia della Chiesa ucraina, promulgata dal Patriarcato di Costantinopoli – la prima giurisdizione autocefala, per rango, della Chiesa ortodossa – è ormai riconosciuta sia dalla Chiesa ortodossa di Grecia sia dal Patriarcato di Alessandria e di tutta l’Africa. Essa sottrae l’Ucraina al “Russkiy mir”. Per reazione, il patriarcato moscovita ha rotto la comunione con queste tre Chiese. Da parte loro, le Chiese ortodosse canoniche autocefale, indipendenti sul piano giuridico e amministrativo, sono unite le une alle altre mediante la confessione di un’unica fede comune e di un reciproco riconoscimento. È in nome del “Russkiy mir” che nel 2014 Vladimir Putin ha preteso di soccorrere i russofoni annettendo la Crimea. Ora egli si appresta ad annettere il Donbasse e pretende di soccorrere con ciò gli ortodossi del patriarcato di Mosca.
La Chiesa russa denuncia persecuzioni e restrizioni alla libertà religiosa in Ucraina mediante organizzazioni nazionaliste e di estrema destra, che sarebbero accompagnate da rappresentanti locali dell’amministrazione e della polizia, nonché da convocazione di preti della COU-PM da parte del servizio di sicurezza ucraino (SBU). Nel 2019 sono state avviate 150 procedure di contestazione contro trasferimenti di parrocchie giudicati illegali, specialmente nella regione di Vinnitsa, divenuta un epicentro di questa lotta larvata. La Chiesa russa ha recensito i pretesi attacchi e ha prodotto una mappa interattiva dei trasferimenti coatti delle parrocchie.
Queste repressioni – dando per buona la loro sussistenza –, giustificano una invasione? Le Chiese ucraine condannano unanimemente l’ingiustizia dell’attacco russo del 24 febbraio. Il metropolita di Kiev, Onufro, benché generalmente allineato sulla posizione del patriarcato di Mosca, da cui dipende, parla di una «reiterazione del peccato di Caino, che uccise suo fratello». E aggiunge: «Una tale guerra non può avere giustificazione né davanti a Dio né davanti agli uomini».
Il Patriarca di Mosca, dapprima prudente, ha poi riparato, domenica 27 febbraio, dietro a un’omelia molto politica, qualificando quanti lottano contro l’unità storica dei due Paesi di «forze del male». Ed ha pregato:
Le fragilità della Chiesa autocefala
Mentre il Cremlino e il patriarcato di Mosca continuano a sostenersi a vicenda e ad affermare il loro potere, la Chiesa autocefala di Ucraina potrebbe risultarne infragilita. Essa riscontra tuttora un problema di legittimazione sulla scena locale e su quella internazionale. È indebolita da dissensi interni già dal ritiro di Filarete dall’unione degli ortodossi di Ucraina, nel giugno 2019. Quest’ultimo ha fatto un passo indietro per conservare il patriarcato di Kiev.
La Chiesa autocefala di Ucraina soffre anche dell’assenza di riconoscimento unanime delle altre Chiese ortodosse autocefale (solo tre su 14). C’è più di una differenza tra le istituzioni di Stato e le preferenze confessionali locali, che dipendono più dalle tradizioni o dal carisma del sacerdote che dal vincolo giurisdizionale. Sono piuttosto le popolazioni nel mirino a farne una questione importante, come i reduci di guerra e i nazionalisti. In realtà, prima del 2018 13mila parrocchie su 19mila ricadevano sotto Mosca, e 6mila rispondevano alle Chiese autonome. Alla fine dell’anno 2018 soltanto 600 parrocchie si sono unite alla Chiesa di Ucraina, e talvolta anche per via di costrizione.
Zelensky abbandona la Chiesa autocefala
Questa nuova Chiesa, poi, ha perduto il sostegno politico soprattutto a partire dall’elezione di Volodymyr Zelensky, nell’aprile 2019. Il nuovo presidente ucraino si è fatto beffe della Chiesa nazionale, che il suo predecessore Poroshenko era riuscito a far riconoscere. Quando ancora non era che un conduttore televisivo, non ha mancato di motteggiare il termine “tomos” (nome tecnico del breve ecclesiastico contenente il decreto di autocefalia accordato dal Patriarca di Costantinopoli) con “thermos”…
A fronte dell’invasione russa, però, Zelensky ha saputo vestire i panni presidenziali. Esortando gli Ucraini a resistere, il 1º marzo ha fatto appello agli Europei, invitandoli a «dare prova di essere con l’Ucraina»:
Queste parole Zelensky le ha dette reclamando un ingresso “immediato” del suo Paese all’Unione europea. Basterà questo per disfare le trame del presidente Putin e del patriarca Kyrill?
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]