di Caterina Allegro in collaborazione con Elisa Motterle etiquette trainer certificata dall’International Protocol and Etiquette Academy di Londra e scrittrice
«E come i piacevoli modi e gentili hanno forza di eccitare la benivolenza di coloro co’ quali noi viviamo, così per lo contrario i zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et a disprezzo di noi».
I “piacevoli modi e gentili” elogiati cinque secoli or sono da Giovanni della Casa, nel suo Galateo, anche oggi hanno la stessa forza. L’educazione, infatti, non passa mai di moda
e, di questi tempi, a ben guardare, ce n’è proprio bisogno. Tanto che qualcuno si spinge anche oltre, sostenendo che «le buone maniere salveranno il mondo». È la ferma convinzione di Elisa Motterle, etiquette trainer e autrice di Bon Ton Pop, guida di galateo contemporaneo il cui obiettivo è farci diventare «la versione migliore di noi stessi».
Eppure, l’etiquette, è da molti percepita come un tema desueto, noioso e finanche classista.
«Ahimè, in Italia, a differenza di altri Paesi, il galateo è stato a lungo utilizzato come un’arma per escludere gli altri», afferma l’autrice. Per questo, ancora oggi, è recepito nel migliore dei casi come una gabbia di sterili formalismi e nel peggiore come una serie di pratiche discriminanti e snob. «In realtà, in un’epoca di assoluta libertà come quella attuale, che ci favorisce ma può anche disorientarci, il bon ton smette di essere una regola imposta, e diventa una scelta, uno strumento al nostro servizio per migliorare noi stessi, rispettare gli altri e indirizzare positivamente la nostra vita».
La scelta fra Lei e tu, l’atteggiamento da tenere a tavola, l’abito giusto nel luogo giusto, l’educazione sui social network... Si tratta di indicazioni, che oggi siamo liberi di seguire o ignorare, «ma per lo meno, conoscendole, possiamo farci un’idea dei nostri confini, e dello standard cui vogliamo aspirare. Il fatto che oggi possiamo fare tutto, infatti, non vuol dire che tutto sia opportuno».
Sapersi comportare, inoltre, può diventare un potente alleato della no- stra autostima. «Io stessa ho iniziato a interessarmi al galateo perché da bambina ero piuttosto insicura», spiega Elisa Motterle.
«E più avanti, lavorando in ambienti formali ed elitari, come case d’asta e marchi della moda e del lusso - non proprio famo- si per essere “accoglienti” - ho dovuto fare i conti col timore che mi generavano. Padroneggiare le regole di base per evitare almeno le figuracce più eclatanti, mi dava molta sicurezza in questi contesti e mi aiutava anche a essere più concentrata ed efficiente nel lavoro».
Prevenire tutto ciò che potrebbe generare ansia e imbarazzo, tramite una griglia di comportamenti che sappiamo per certo essere adeguati, infatti, aiuta a dare il meglio di sé, tanto sul lavoro quanto nelle occasioni sociali.
Saper stare a tavola
Si potrebbe obiettare che alcuni atteggiamenti anticonformisti, spudorati e goliardici non di rado sono considerati un indice di personalità creativa, oltre che fonte di divertimento in compagnia. È dunque necessario scegliere fra savoir faire e spontaneità? Rinunciare a tirarsi le palline di pane, per restare rigidamente seduti coi polsi incollati al bordo del tavolo? «Il punto è proprio questo: non esiste una regola d’oro, che vada bene in ogni occasione. Tutto dipende dal contesto e dal grado di familiarità», chiarisce l’esperta. «Più siamo in confidenza con l’altro, più possiamo permetterci lo scherzo, la dimensione goliardica e di uscire dal politically correct. Meno conosciamo chi abbiamo di fronte (e meno l’altro ci conosce), meno siamo certi di come verranno recepiti il nostro comportamento e le nostre parole». Il galateo, insomma, non è altro che mettersi nei panni degli altri, sviluppando con l’allenamento il senso dell’empatia, e imparando a capire preventivamente cosa potrebbe offendere o creare imbarazzo nelle persone che ci stanno intorno. «È un atto di generosità. Meglio peccare per eccesso di prudenza, piuttosto che rischiare di ferire qualcuno. Anche perché, con un gesto o una parola fuori luogo, rischiamo di bruciarci in partenza la possibilità di creare rapporti validi, sia amicali che professionali».
Le buone maniere, però, non sono qualcosa di esclusivo o di “speciale”, da sfoggiare solo
alle occasioni importanti o con le persone di rilievo.
«Il bon ton è un “lusso quotidiano”, un’attenzione che dobbiamo riservare prima di tutto a
noi stessi e alle persone che ci stanno accanto, a quelle che ci sono più care e con le quali condividiamo il nostro tempo».
Educazione digitale
Ferire ed essere fraintesi è un rischio ancor più reale se la tecnologia fa da filtro. «Quando scriviamo una mail, un messaggio whatsapp o un post sui social, manca la componente paraverbale, che contestualizza quel che esprimiamo al di là della scelta delle parole», spiega Motterle. E così, risultare aggressivi anche contro le nostre intenzioni, è un attimo.
«Se vent’anni fa comunicare richiedeva tempo, denaro e fatica (pensiamo all’impegno e alla cura che mettevamo nello scrivere una lettera, o alle chiamate dai telefoni pubblici, con l’importo inserito che scalava a vista d’occhio) oggi mail, social, messaggi e chiamate non ci costano niente, sono istantanei e accessibili a tutti, in qualunque luogo e qualunque mo- mento. Così li usiamo senza pensarci troppo, e senza dar loro il giusto valore». Sta a noi, invece, decidere di mettere la cura necessaria nel modo in cui comunichiamo. Anche attraverso le nuove tecnologie.
Etica ed etichetta
Tutti i galatei mettono al primo posto il rapporto con gli altri; i più antichi parlano anche della fede, considerando una premessa indispensabile il “saper vivere in pace con Dio”. «C’è chi dice che il termine “etichetta” abbia la stessa radice di “etica”; a livello etimologico in realtà non è così, ma l’idea è molto suggestiva: nella mia visione, infatti, il galateo è soprattutto applicare i propri valori alle azioni concrete nella vita quotidiana».
Il “ben vivere” moderno, per esempio, non può prescindere dal rispetto dell’ambiente. «Oggi non si può pensare di essere una persona educata se non si fa la differenziata o si prende sistematicamente la macchina per fare pochi metri: poco importa se scendi dall’auto griffato dalla testa ai piedi. Sarebbe molto più elegante arrivare in bici o a piedi, se il tragitto è breve».
Nell’era del Covid, poi, il galateo diventa anche la responsabilità individuale che abbiamo tutti nei confronti della collettività. «L’emergenza sanitaria ci ha fatto capire più che mai che siamo tutti interconnessi. Una cartaccia per terra, un commento malevolo, una condotta cinica e incurante degli altri, hanno tutti il potere di inquinare l’ambiente in cui viviamo».
Dire no, ma con stile
Essere troppo educati in un mondo di squali non rischia, però, di renderci deboli, e alla lunga di farci soccombere? «Essere educati non vuol dire assolutamente essere deboli, privi di carattere e dire sempre di sì», chiarisce l’esperta. «Ognuno di noi, al contrario, ha la responsabilità di mettere paletti e farsi rispettare, e può farlo senz’altro conservando educazione e gentilezza. Tuttavia ciò è possibile solo se siamo ben coscienti dei nostri confini».
Un esempio eclatante sono quelle domande personali e invadenti a cui spesso non vogliamo rispondere, ma che ci mettono alle strette. «Un escamotage cordiale è la risposta vuota, ad esempio: “Quando fai un figlio?” “Quando me lo manderà il cielo”. Se la persona ha un minimo di intelligenza sociale, capisce; se insiste, non bisogna aver paura di dire: “È un argomento privato, preferisco non parlarne.” Gentilmente ma con fermezza. E senza prenderla sul personale». In questo momento storico, infatti, siamo tutti molto suscettibili. Eppure il 90 per cento degli sgarbi che subiamo non è “contro di noi”, ma frutto di un vissuto che non ci riguarda o di semplice distrazione. A volte qualcuno ci tratta male perché ha avuto una brutta giornata, è arrabbiato e si sfoga sul primo che passa.
«Un tempo, se qualcuno nel traffico mi insultata, ero capace di scoppiare a piangere. Ora immagino queste persone come camion di immondizia, così stracarichi che al primo urto traboccano. E mi ricordo che io sono diversa, ho altri standard e valori. Non mi faccio trascinare nel fango, rispondendo a insulti con altri insulti, perché il brutto genera brutto e non voglio contribuire a questo circolo vizioso». Invece di mortificarci davanti alla maleducazione, insomma, possiamo vedere la nostra reazione garbata come un modo per rinforza- re la nostra identità. «Più che una serie di regole, il bon ton è una disciplina di vita», conclude l’autrice. «Non abbiamo il potere assoluto su ciò che ci accade, ma possiamo decidere come affrontarlo, tirando fuori sempre il meglio da noi e dal contesto».