È lecito chiedersi per quale motivo privarsi di un pasto o due dovrebbe influire sugli equilibri mondiali. Ecco come e perché ciò avviene.
Ieri sera ho ricevuto via whatsapp il messaggio vocale con cui il Santo Padre ha invitato per oggi a «una speciale giornata di digiuno e preghiera per la pace».
Mi ha fatto sorridere perché me lo ha mandato un’amica teologa, e una teologa “progressista”, di quelle che in astratto criticherebbe pure le pratiche di penitenza corporale. Però questo messaggio me lo ha girato, e proprio in tempo utile perché fungesse da promemoria. Benissimo, mettiamo da parte la futile questione se la mia amica abbia cambiato idea sul digiuno in sé o no: «Purché in ogni maniera […] – parafrasando Paolo – Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1, 18). Perché è di Cristo che si parla.
E allo stesso tempo, il Vangelo è annuncio e uscita, prima e più che cultura e identità. Dimenticarlo ci riporterebbe a strettoie mentali da guerra fredda, simili a quelle che nel 1963 accompagnarono la pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII: «Santità – dicevano allora affettatamente – capiamo le sue buone intenzioni, la pace è una cosa bellissima, ma diplomaticamente parlarne significherebbe fare un endorsement al blocco sovietico…».
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La pace è roba da comunisti, insomma. Forse i cattolici dovrebbero rovesciare le parole che l’8 maggio 1981 Norberto Bobbio disse a proposito dell’aborto: «Mi stupisco […] che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere». Anche noi cattolici dovremmo stupirci che la propaganda di un mondo crollato sotto il muro di Berlino continui a rubarci «il privilegio e l’onore di affermare che non si deve fare la guerra».
E non tratteremo qui dell’ipotesi di scuola della “guerra giusta”: oggi è giorno di digiuno, non di accademia. Piuttosto, facilmente qualcuno chiederà: com’è possibile che il mio digiuno fermi la guerra? Che c’entra quello che mangio con la pace nel mondo?
Ottima domanda, ma prima di spiegare come e perché ciò avvenga, vorrei ricordare che questo di fatto avviene, e anzi è già avvenuto. Rammentate a cosa arrivò la crisi siriana nel 2013?
Il conflitto rischiava di far divampare il triste focolaio bellico locale a dimensione globale, preannunciando paurosi scenari postatomici. Papa Francesco ricorse ancora al digiuno e alla preghiera. «Questa specie di demonî – diceva Gesù – non può essere scacciata se non mediante il digiuno e la preghiera» (Mt 17, 21). E così fu, se ricordate. Vale la pena di ricordare come ne parlò, pochi giorni dopo, Sandro Magister:
ROMA, 12 settembre 2013 – A distanza di giorni diventa sempre più percepibile la straordinarietà della veglia presieduta da papa Francesco in piazza San Pietro, la sera di sabato 7 settembre.
Anzitutto il motivo: una giornata di digiuno e di preghiera per invocare la pace in Siria, in Medio Oriente e dovunque c’è guerra. Con la partecipazione non solo di cattolici ma di uomini di ogni religione o semplicemente “di buona volontà”. Non solo a Roma ma in numerose città del mondo.
Poi la durata. Non si ricorda una veglia pubblica di preghiera di quattro ore consecutive, dal tramonto a notte fonda, alla presenza costante del papa.
Poi ancora il silenzio. Nell’intero arco della veglia il raccoglimento delle centomila persone che gremivano piazza San Pietro e le aree antistanti è stato intenso e commosso. In sintonia con l’accentuata austerità della stessa presenza del papa.
Poi soprattutto la forma che ha assunto la preghiera. È cominciata con il rosario, la più evangelica e universale delle preghiere “popolari”, e con una meditazione di papa Francesco. È proseguita con l’adorazione del sacramento dell’eucaristia. È continuata con l’ufficio delle letture – cioè la salmodia notturna dei monaci – con la lettura di brani di Geremia, di san Leone Magno e del Vangelo di Giovanni. Si è conclusa con il canto del “Te Deum” e con la benedizione eucaristica impartita dal papa.
Ma forse ciò che ha più colpito i presenti è stato l’ingresso nella piazza, all’inizio della celebrazione, dell’icona mariana della “Salus Populi Romani”, sorretta da quattro alabardieri delle Guardie Svizzere e preceduta da due bambine con fasci di fiori. L’icona è stata intronizzata davanti a papa Francesco, che l’ha venerata devotamente. Ed è stata punto di riferimento dell’intera veglia, a lato dell’altare.
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Pare che sia proprio vero ciò che cantavano Mariah Carey e Whitney Houston vent’anni fa – ciò che in fondo tutta la Tradizione cristiana ha sempre ripetuto – «There can be miracles / when you believe» [in italiano suonava: «Vedrai miracoli / se crederai»].
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E cosa c’entra il digiuno? Perché accompagnare la fede e la preghiera col digiuno? Ci sono diversi motivi, provo ad elencarne qualcuno (senza pretesa di esaustività):
- il digiuno piega l’orgoglio dell’uomo, e ogni guerra nasce dall’orgoglio di qualcuno: digiunando noi riconosciamo di essere fratelli degli orgogliosi e orgogliosi come i nostri fratelli guerrafondai, chiedendo a Dio di convertire i cuori di tutti noi;
- il digiuno introduce a una preghiera umile, che non si ponga sul piedistallo rispetto ad altri: il fariseo della parabola raccontata da Gesù digiunava, sì, tre volte la settimana, ma col suo menarne vanto vanificava quel gesto, ne evacuava la portata sacrificale e – per così dire – “se lo rimangiava”;
- il digiuno porta chi lo fa ad esprimere com-passione nei confronti delle vittime dirette della violenza e della guerra: non abbiamo meriti se siamo “dalla parte giusta” del mondo, anzi forse è il nostro stesso stare “dalla parte giusta” a costituire in qualche modo una concausa delle sofferenze altrui (ma ciò necessita di essere meglio spiegato);
- il digiuno spezza le dinamiche del consumo, riporta l’uomo all’essenziale e gli mostra che può vivere anche senza tutto quello che l’opulenza del nostro mondo c’induce a ritenere “essenziale”: si apre allora la prospettiva di uno stile di vita essenzialmente sobrio, all’insegna di un’ecologia integrale, che restituisca alla (spesso stanca) sigla “equo e solidale” il suo destino più alto, che è il Paradiso.
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Il digiuno, dunque, non è “la pace”, ma è più modestamente giusto: richiama alla realtà da molti punti di vista. Per questo Isaia dice che
Frutto della giustizia sarà la pace,
effetto del diritto una perenne sicurezza.Is 32, 17
La pace è dono del Cielo, ma può essere impetrata facendo la giustizia. Non a caso il salmista canta:
Ascolterò che cosa dice Dio,
il Signore: egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.Sal 84 (85), 9-14
Laviamoci e profumiamoci, quindi, come raccomanda Gesù (Mt 6, 16-18). E digiuniamo con grave gioia supplicando:
Facci ritornare a te, Signore,
e noi ritorneremo.Lam 5, 21
Guardate, il Signore già ci viene incontro:
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro patrimonio per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.Is 55, 2