Nelle prime pagine di tutti i giornali del mondo è scritto che siamo in guerra, ma gli scrittori lo ripetono da sempre. Dante comincia il suo viaggio in mezzo all'umano, dichiarando subito la parola scandalosa:
Cammino di guerra e pietà
Essere uomini tra gli uomini è abitare macerie, toccare arti feriti, vedere i segni della morte, ma anche assistere a piccolissimi istanti in cui un taglio di luce dall'alto illumina qualcosa di resistente alla disperazione. Il coraggio di Dante fu di mettere pietate come parola-rima successiva a guerra. Non rimano tra loro. Nella poesia guerra rima con terra e pietate con aiutate. Spiegarlo rovina la forza dei versi, ma aiuta: la guerra è da sempre piantata nella nostra terra e l'opposto - se nasce - è un verbo coniugato al plurale, aiutate.
Plurale è la voce che esce dalla raccolta di racconti Gli undici di Stas' Gawronski (Fuorilinea editore). Sono undici vite che potremmo avere sfiorato nei nostri percorsi quotidiani, una figlia, un insegnante, un medico, una moglie, una sorella. Magari è quel volto che per un attimo ci colpisce sul bus e poi sparisce. Per un attimo ci sembra familiare la ruga di dolore che ha sul volto.
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La follia di un gesto inatteso
Ovunque può esserci la fessura per un incontro in cui accade quel aiutate. Nessuno capisce da solo la propria guerra. Men che meno risolve la sua guerra guardandosi allo specchio e parlando di sé. La vera pietà è togliere l'io di mezzo e sprofondare nell'altro, farlo parlare, qualunque cosa dica.
Chi parla è un poeta che non ha parole per ricucire il rapporto con la figlia, quasi un albero a cui è stato tagliato l'unico ramo vegeto. Nel vertice più infimo della sua parabola - un post sbronza fatto di incoscienza e vomito - la mano occasionale che lo lava potrebbe essere giudicata ancora più sporca di lui, è quella di una sconosciuta prostituta. Non decidiamo da dove arriva la pietà che ci fa rinascere. Gesù s'inginocchiò a lavare i piedi dei Suoi. La follia di quel gesto non si ripete nei mimi bigotti di chi vuole esibire la pietà, ma accade lì dove qualcuno, pulendo lo sporco dell'altro, sta implorando per sé di non essere stritolato dal terrore di essere solo un grumo repellente.
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Mettersi in una posizione scomoda
«L'astrattezza è un vento maligno che ci fa perdere la rotta». Ho recuperato questa frase dagli appunti presi durante i corsi di scrittura del The Writer Studio Italia tenuti da Stas' Gawronski. E un altro appunto che ho scritto è questo: «stare attaccati al dettaglio che colpisce e mette in crisi». A lezione, Stas' ci ha ripetuto spesso che ci sono punti in cui la realtà si fa incandescente e non lo diceva pensando di darci un consiglio per diventare scrittori di successo, ma innanzitutto per essere persone presenti alla realtà.
In questo tempo in cui ho scritto un libro è il ventaglio con cui chiunque si dà delle arie, la vera urgenza è saper leggere quello che incontriamo dentro e fuori l'uscio di casa (a partire dall'evidenza che è il mio cuore il paese più straziato - scrisse Ungaretti). È la ferita non rimarginata in noi che ci chiede di uscire e incontrare altri uomini feriti come noi.
Un libro di racconti può servire per passare bene il tempo, in compagnia de Gli undici accade qualcosa di diverso dall'intrattenimento. Devo dirlo tirando fuori un altro appunto: «c'è un desiderio latente di comunione». Siamo indifferenti gli uni agli altri, quasi sempre. Eppure si sente la scossa del filo elettrico che ci attraversa tutti. E non è altruismo, è proprio brama di comunione.
La comunione non accade quando si spiega un personaggio, quando si organizza una storia partendo da un inizio prestabilito e arrivando a una conclusione già ipotizzata in partenza. Si fa presente nei momenti in cui la vulnerabilità ci mette letteralmente nelle mani degli altri, come nel caso di un attacco di panico che capita in mezzo alla folla di un aeroporto.
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Il Mistero ci tende delle trappole, strappando dal buio delle nostre paure o disperazioni dei pezzi di pelle, o poche sillabe. Ci si aggrappa a questi dettagli con la stessa fiducia con cui un bambino cammina tenendo per mano sua madre. Vale per lo scrittore, vale per chiunque: non siamo i registi delle nostre storie, siamo compagni di viaggio di gente disgraziata in cerca di grazia.
Nel travaglio della vita
Chi di noi non conosce questa scena? La zingara col figlio al collo su un mezzo pubblico. Presenza più scomoda non c'è. E va a rimestare nel pantano di un disagio che pesca più a fondo del razzismo. Lo sguardo della voce narrante però fissa quel braccino che esce dagli stracci.
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Ci sono queste mani tese che sbucano in mezzo agli stracci delle nostre giornate. Non dovremmo avere paura di guardare gli angoli bui che attraversiamo, di ascoltare i pensieri indecenti che come un rigurgito salgono dal fondo dell'anima mentre facciamo altro. Ho usato come titolo una frase che Stas' mi ha scritto quando gli ho mandato un messaggio per dirgli che stavo leggendo i suoi racconti. La Grazia fa capolino in mezzo agli scarti e ai feriti.
Sì, abitiamo nel territorio del diavolo, stesi davanti a noi ci sono infiniti tappeti rossi per percorrere la via della separazione, la tentazione di risolvere il nostro mistero da soli. Ma quel territorio bazzicato dal diavolo non è opera della sua Creazione. Le mani protese in mezzo agli stracci ci sono, perché Chi ha fatto il mondo sta nel travaglio della vita con noi. Sono mani-presenze che aspettano che un'anima appesantita dai suoi peccati si fermi e dica a voce alta il suo male, e soprattutto il bene che non smette di chiedere.