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Voglio essere un papà presente, non un “mammo”

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Paola Belletti - pubblicato il 23/02/22
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I padri di oggi sono, tendenzialmente, più attenti e partecipi di qualche decennio fa; eppure si chiedono a quale ideale di paternità possano rifarsi per esercitare al meglio il loro prezioso, insostituibile ruolo. Non basta l'affetto e la presenza, come non è sufficiente imporre rigide norme. Una riflessione per trovare il giusto equilibrio.

Essere padre

Credo che anche in ambito cattolico ci siano passi da fare, in avanti e più a fondo, in merito all'importanza del ruolo dei padri.

La sofferenza inflitta a una generazione che si trova spesso sprovvista di figure genitoriali stabili, adulte non solo all'anagrafe, certe del bene della propria vita prima ancora che di quella del figlio, non può essere liquidata con nostalgiche quanto generiche lodi ai tempi passati.

I bei tempi che non furono

Quelli in cui "ah se mio padre diceva no era no e basta e nessuno osava alzare lo sguardo"; gli stessi nei quali le donne abitavano pacifiche la loro maternità esercitata con tale abnegazione che non restava nemmeno il fiato per dire "non sono solo una madre".

Quei tempi, di fatto, nemmeno sono mai esistiti.

E se è vero, come accidenti se è vero, che la mancanza, o meglio la volatilità dei padri ha inferto ferite spesso non più sanabili a eserciti di bambini, è ancora più vero che il modello del padre distaccato, solo ed esclusivamente normativo non è la risposta al bisogno più vero dei figli. Nemmeno delle donne né degli uomini stessi.

A che modello guardare?

Sull'ultimo numero della rivista BenEssere, in edicola ora, ho letto tra gli altri un articolo breve ma interessante proprio sulla figura del padre e l'esercizio della paternità. Come spesso accade, lo spunto di riflessione è offerto da un padre vero, in carne e ossa, che cerca di essere un buon padre per i suoi figli e che si interroga proprio sul modello al quale potersi ispirare.

Autorità o tenerezza?

Ciò che lo interroga è proprio il dibattersi in questo dilemma: padre, autorità dura e pura o papà presente, affettuoso e accomodante?

Forse lo sa già che la risposta sta proprio nel mezzo, ma anche in questo caso più in alto o più a fondo.

La vera chiave è "fatica"

La domanda di Mattia è bella, umile, chiara. Se dovessi scegliere la parola chiave di questa lettera, quella che forse dà la giusta prospettiva e costituisce un vero indizio nella caccia al tesoro della paternità, è "faticoso".

La fatica di trovare l'equilibrio tra la tenerezza, che non diventi una accondiscendenza esito di una resa, e la fermezza della guida, delle regole necessarie e della durezza che devono pure portare con sé.

La bellezza della relazione

Ciò che sembra sia mancato, forse, nell'autorità imposta e indiscutibile del padre così come Mattia lo ricorda è forse proprio questa fatica. Anche l'autorità dura e pura è in fondo una resa, anzi un sottrarsi alla fatica della relazione. E quando si tratta di bambini si sa che la relazione con loro, continua, incessante, esigentissima è il vero terreno di gioco che ci spezza il fiato e le gambe e nello stesso tempo ci offre le più grandi, impagabili soddisfazioni.

La risposta dell'esperto

Vediamo per punti essenziali la risposta di Pietro Verdelli, psicologo, membro dell'équipe Associazione Pollicino e Centro crisi genitori Onlus che dalla domanda di questo papà prende le mosse per disegnare l'evoluzione della paternità e il necessario equilibrio tra le due spinte che Mattia percepisce nel costruire e abitare il suo "essere un buon padre".

Padre: colui che protegge e che nutre

Padri presenti e alleati delle madri

Sappiamo però che questa armonizzazione, almeno a livello diffuso, generalizzato, il livello che sarebbe necessario al benessere della famiglia di famiglie, la società, non è ancora compiuta e che il prevalere dell'aspetto di premura a scapito o addirittura in conflitto con quello di guida e normatività, è causa prima di problemi per lo sviluppo integrale dei figli e a cascata per tutta la comunità umana.

Per questo a volte ci si rifugia nei ricordi tutti sfumati e falsamente ideali di un passato ordinato e perfetto. Inoltre possiamo anche ragionarci da "mogli e mamme": chi di noi vorrebbe un coniuge distaccato, esclusivamente orientato al mondo del lavoro, che per i figli sia solo fonte di sostentamento e figura normativa? chi non prova invece gratitudine per come insieme, sebbene con molte differenze quasi tutte salutari e alcune dolorose, ci siamo buttati nella folle avventura di mettere su famiglia e "tirar grandi" i nostri bambini?

Spendersi insieme, fino in fondo

Io no di sicuro. E non solo perché ora il carico professionale ricade anche su noi donne, cosa desiderabile e praticabile sebbene ancora troppo ostacolata da normative inique e da mancanza di attenzione vera alle madri e ai bambini; ma soprattutto perché la chiamata a custodire e promuovere la vita dei nostri figli, testimoniando davanti a loro che sì, valeva la pena venire al mondo e spendersi per ciò in cui si crede, è la vera asta che non si può lasciar andare deserta.

Spesso ci tocca rilanciare, contenderci con altri "banditori" l'attenzione e la stima dei nostri figli, ma se facciamo dei mutui per avere una casa, non ci impressionerà certo dare fondo a tutte le nostre risorse interiori per difendere il valore della loro vita, l'originalità della loro persona, l'urgenza che anche loro, a modo loro, si giochino nella realtà i talenti che si trovano addosso.

Sono papà, non "mammi"

Non sono mammi, dunque, i nuovi padri più presenti e partecipi; non diventano per forza grottesche mamme con la barba (immagine che evoca ben altre transizioni). Non sono dei pappamolle se, appunto, danno la pappa alla loro piccolina di 7 mesi, né se danno il cambio alla moglie esausta per l'ennesimo risveglio notturno dell'ultimo nato. Non hanno bisogno di allattare per sentirsi parte attiva dell'avventura familiare, né di lasciare per forza le scarpe sul tappeto anziché nella scarpiera per difendere la loro virilità.

Differenze reali, non maschere

Come per le donne non è facendo coincidere la loro dignità solo con la maternità biologica che affermiamo la loro unicità, così per gli uomini non è riducendo a macchietta la loro mascolinità o banalizzando il loro ruolo in famiglia che li difenderemo davvero.

La famiglia è un sistema aperto, dinamico, complesso. La sua felicità non è la somma aritmetica della felicità dei singoli membri.

La famiglia è anche un eccellente laboratorio di relazioni, di conflitti, di capacità di mediazione ma soprattutto di sacrificio, vero motore della prosperità (quello sano, ben diverso dall'annientamento e dall'alienazione).

L'uguaglianza in famiglia non è democrazia

In famiglia si impara anche che avere tutti lo stesso valore non significa che non esistono ruoli e asimmetrie. Come non è simmetrico, per intendersi, il rapporto medico - paziente o insegnante e discente, così nemmeno quello tra padre e figlio lo è. Questa disparità, lungi dal mortificare la dignità del figlio, esiste proprio per proteggerlo e dargli il tempo, lo spazio e i confini entro cui crescere, mettersi alla prova, imparare a dominarsi.

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