Quando ho incrociato la storia di Jordan Monge, raccontata in un breve video di Youtube, ho ritrovato in lei buona parte del mio percorso spirituale. Non sono mai stata atea, ma la conversione capita anche a chi si professa cristiano a voce, ma non lo è nell'esperienza.
Fu la voce di Don Giussani a scardinare tutti i miei criteri e ragionamenti, e quella sua inossidabile certezza sul fatto che chiunque prenda sul serio le domande essenziali sulla vita non può non incontrare il mistero buono di Dio. Così è stato anche per l'americana Jordan, intelligentissima e atea. Piena di domande e con una ferita da curare.
Il lieto fine è quello che ciascuno di noi può testimoniare. Si va in cerca di risposte, e si trova Qualcuno. Domandiamo spiegazioni e c'imbattiamo in un incontro vivo.
La più intelligente fa domande
Non a caso il racconto di Jordan comincia da questa cornice domestica. L'educazione è una finestra sul mondo, e questa ragazza americana ci si è affacciata con l'ipotesi di dover essere di più. Lo sforzo competitivo che fin da piccola sente è quello di fondare il suo valore interamente sulle proprie azioni e sui risultati che ne conseguono. Inizialmente la sua voce si impone in modo eccellente. Non solo Jordan cresce atea, ma dall'età di 11 anni decide di sfidare i suoi compagni cristiani per smontare le loro ragioni.
Le sapevano solo rispondere "ci vuole fede", e a lei questa pareva una frase da codardi. Il ring di questa lotta è, ancora, puramente astratto e razionalistico. Eppure è evidente, tra le righe, che questa sete di confronto serrato, di fare domande, nasconde qualcosa di personalmente interrogativo. C'è un irrisolto dentro questa ragazza che, essendo davvero intelligente, pone anche a se stessa domande rivelatrici delle sue intime contraddizioni.
La scelta cade su Harvard, il cui motto è: "Verità".
Le risposte arrivano in un incontro
Il mondo accademico americano sa essere feroce quanto a competitività. Molti studenti si confrontano con la depressione proprio a fronte dei livelli di eccellenza richiesti nei campus. Può essere devastante fondare il proprio valore esclusivamente sul profilo che emerge dal quadro scolastico. Jordan Monge è stata tra coloro che, ambiziosi di partenza, hanno trovato nell'università il buco nero che provoca la competizione esasperata. Ma per lei è stata una benedetta doccia fredda.
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E finalmente tutto questo cumulo di domande trova un interlocutore. Prima ancora delle risposte, Jordan incontra qualcuno che si prende cura di lei, della sua fame e sete di una conoscenza che trabocchi di senso.
Diventa amica di uno studente cristiano, John Joseph Porter. Ed è lui ad avere molte domande per lei:
L'amicizia tra i due la fa scendere dal suo piedistallo di solide convinzioni. Nella sua testimonianza intitolata Il dilemma di un'atea, Jordan racconta di aver rinfacciato a John la teoria del Big Bang come verità scientifica opposta alla Creazione della Bibbia. E John, semplicemente, le ha risposto facendole notare che uno dei primi a formulare l'ipotesi del Big Bang era stato un prete cattolico, Georges Lemaître. E dunque? Dunque, da questa amicizia, che incarna perfettamente cosa sia un vero confronto tra persone libere, il viaggio di conoscenza di Jordan arriva a incontrare un altro amico, C. S. Lewis.
Non stupisce, in effetti. Spesso io ansimo e sudo a stare al passo della finezza e del rigore mentale di Lewis, le cui parole sono spade affilatissime quando a ragionevolezza e intelligenza. A chi è affamato di risposte che sazino l'intelligenza, sicuramente offre un lauto banchetto. Frequentando una classe di studi etici, Jordan viene folgorata da quest' intuizione:
Il punto di rottura arriva qui, quando la teoria e le domande sul bene approdano al confronto con Qualcuno che esige di essere incontrato.
No, Aslan, no
La prima via su cui Jordan s'incammina per conoscere questo Dio è la lettura della Bibbia, non più svolta per trovare contraddizioni. E leggendo si scopre letta, la Parola è uno svelamento di sé.
Il discorso delle Beatitudini provoca il lei questo primo terremoto, ma la crisi arriva leggendo la Crocifissione come raccontata dall'Evangelista Giovanni. Jordan si commuove, e tra sé e sé dice «No, Aslan, no»: piangendo per la pena patita da Gesù sulla Croce, lo chiama col nome del leone di Narnia. Si rende conto che il libro che aveva letto tante volte e amato era più di una storia di fantasia.
Se Aslan era Gesù, lei si riconosceva perfettamente in Edmund, il ragazzo arrogante e che tradisce ma è redento dalla morte del leone.
Amici, quando ci si scopre redenti
Si potrebbe pensare che anche quest'ultimo tassello della storia di Jordan sia intellettuale. In fondo si parla sempre di pensieri e di libri. Ma ci sono storie e storie. E ci sono storie in cui le parole fanno le veci di un'amicizia che non si può tecnicamente vivere in presenza, nondimeno è vera. Non stupisce che il punto di deflagrazione - quello che ha portato una ragazza a sentire su di sé la carezza della Redenzione - sia arrivato attraverso Aslan. Che non è solo un personaggio in un libro. Aslan è il grido di gioia e gratitudine di un uomo, che aveva vissuto sulla sua pelle la stessa lotta di Jordan ed arrivò a convertirsi proprio perché alcuni suoi amici non mollarono la presa sulla realtà della Redenzione.
Nella notte del 19 settembre 1931 C. S. Lewis rimase fino alle 4 del mattino a discutere con J.R. Tolkien e H. Dyson di ciò che più arrovellava la sua mente assetata di risposte:
Dopo quella notte, sorse il sole ... in tutti i sensi. Lewis uscì da quel confronto serrato con i suoi amici con lo stesso stupore - per una gioia scritta nella carne - che è identico a quello di una ragazza venuta più di 70 anni dopo.