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“Rosario criminale”: appunti sulle corone dai grani a forma di pallottole 

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 23/02/22
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Degli store USA vendono corone dai grani a forma di proiettili. Ciò invoca un riepilogo storico e una riflessione filosofico-religiosa.

Sarà perché fin dai tempi di Caino le armi hanno mostrato il potere di togliere la vita – formidabile gioco di prestigio che scimmiotta l’unico potere soprannaturale, cioè quello di crearla e donarla –, ma di certo non è un segreto che esse abbiano evocato, dacché mondo è mondo, un’aura sacrale. 

Armi, sangue, tagli e sacrifici sono da sempre il retaggio di ogni religione naturale, e religioso è sempre stato il rapporto che gli uomini (quanto più quelli “naturali”, ossia meno sovraccarichi di tecnica) hanno avuto con la guerra. Basterà ricordare i riti sacri che nell’epica omerica accompagnano la consegna delle armi ai soldati, dei quali riecheggia tuttora pallida eco nell’“onore delle armi” che si rende in contesto marziale agli avversari sconfitti. Si ricorderà che, secondo il racconto di Erodoto, gli Spartani differirono di qualche giorno l’intervento militare a Maratona in supporto di Atene per via dei rituali sacri delle feste Carnee, che costrinsero i Lacedemoni ad attendere il plenilunio! 

L’apporto della rivelazione giudaico-cristiana

Le stesse Scritture che ebrei e cristiani considerano sacre perché ispirate sovrabbondano di questa relazione tra la violenza e il sacro, poiché essa afferisce appunto alla religiosità naturale, in breve a ogni paganesimo noto. Il progresso che la rivelazione giudaica impose a questa cultura religiosa naturale ebbe diversi stadî, tra cui bisogna ricordare almeno: 

    In breve, le Scritture giudaico-cristiane procedettero a una graduale e progressiva spiritualizzazione semantica del lessico e dell’immaginario marziale. Il culmine di questo processo è probabilmente il passaggio di Efesini 6: 

    Come si vede inequivocabilmente, il lessico paolino impone all’immaginario marziale una torsione semantica per la quale l’“armatura” è tale solo nominalmente, secondo la direttrice offerta dalla fortunata parola profetica: 

    Nella prima età patristica, quella che viene detta “epoca degli apologisti”, gli scrittori ecclesiastici si distinsero per la loro vivace (e talvolta virulenta) condanna del cruore pagano, tanto in relazione alla guerra quanto (ancora di più) ai culti idolatrici in tutte le loro forme (perfino nelle loro celebrazioni letterarie). A titolo meramente esemplificativo e certamente non esaustivo riporto un paragrafo del Protrettico di Clemente di Alessandria, che dovrebbe risalire agli ultimi anni del II secolo d.C.: 

    Quando le spade divennero cruciformi

    Avvenne poi – sintetizzando brutalmente – che nell’arco dei due secoli successivi prima il gladio romano smettesse di perseguitare i cristiani, e poi, assumendo peraltro “fogge barbariche” nell’elsa, cominciasse ad assomigliare sempre di più alla non-più-ignominiosa croce cristiana. In capo a qualche secolo ancora, i crociati franchi sarebbero partiti per la “guerra santa” ricevendo la spada con uno spirito poco dissimile da quello con cui gli spartiati avevano ricevuto lo scudo. 

    “Poco dissimile” a quanto si può giudicare, certamente, e nessuno può sentenziare sugli atteggiamenti spirituali dei singoli che in quelle enormi vicende furono coinvolti. Sta di fatto che laddove il pagano Virgilio disse “Canto le armi e l’uomo…” («arma virumque cano»), e soltanto di quest’ultimo qualche verso dopo predica la pietà, il cristiano Tasso scrisse “Canto l’arme pietose, e ’l Capitano…”: le armi stesse diventarono pie, nella narrazione propagandistica delle crociate. 

    Il confronto col modello virgiliano è suscettibile di mettere i cristiani ancora più in difficoltà, se si pensa che quando Goffredo entra vittorioso a Gerusalemme neppure si lava del sangue, prima di entrare nel Santo Sepolcro: 

    Si pensi solo che mentre fuggiva da Troia in fiamme (era dunque implicato in una guerra difensiva, a differenza del condottiero cristiano), Enea non osò toccare con mano i «sacra […] patriosque penatis»: 

    Né questo umiliante contrasto si ritrova solo con il poema virgiliano, che un Orosio avrebbe detto «già illuminato dal chiarore dell’ormai sorgente cristianesimo» e che i critici moderni malignano essere asservito alla “propaganda pacifista” di Ottaviano: anche l’Ettore dell’omerica Iliade ha uno spirito religioso più distante da certi sacri e furenti cruori. 

    Di tanto in tanto poi mi è capitato di leggere di una presunta “messa armata” – cioè la facoltà di celebrare messa in armis, “privilegio” riservato ai vescovi-conti –, ma non ne ho mai trovato riscontri inequivocabili: potrebbe essere l’iperbole di qualche polemista anti-cattolico intento ad esasperare le contraddizioni degli ecclesiastici… eppure anche se (come mi auguro) così fosse l’esagerazione dovrebbe partire da un elemento storicamente dato. Tale elemento è l’ambiguità di fondo di un movimento religioso che – rivendicandosi fondato da una Rivelazione indeducibile – propone la sublimazione più alta della religiosità naturale dell’uomo… ma che ciclicamente sembra ricadere in fasi ben più arcaiche della dialettica tra violenza e sacralità. 

    WASP & Guns: i cristiani d’America e la violenza

    Se c’è un popolo che attualmente sembra avere particolari problemi nel prendere coscienza di questa ambiguità, questo è quello dei cristiani (protestanti e cattolici) statunitensi. Resta indimenticato il tweet “natalizio” del representative del Kentucky Thomas Massie, in cui il politico americano posa in armi con tutta la famiglia davanti all’albero di Natale. Si direbbe una “letterina a Babbo Natale”, visto che il capofamiglia chiede a San Nicola rifornimenti di munizioni… 

    Lascia pure perplessi il “bullet rosary” in vendita su certi siti (ancora una volta statunitensi): in inglese, come in italiano (ma non in francese, per esempio), “rosario” non è solo il nome della preghiera mariana, ma anche quello dell’oggetto con cui essa viene recitata (ciò che in italiano si chiama anche “corona” e in francese “chapelet”). Materialmente essa è fatta di grani, fin dalle sue origini (che peraltro sembrano attingere per via di oriente cristiano all’oggettistica religiosa islamica), i quali vengono a simboleggiare delle rose per intendere che recitare questa preghiera è come intrecciare una corona votiva di rose per la Vergine Maria. E in quale culto non si offrono fiori alle entità venerate? Il problema semantico, però, sta nel fatto che col tempo la semantica della “lotta spirituale” si è sovrapposta a quella della corona floreale votiva, e così il rosario è stato definito “arma”. 

    Il rischio di snaturare la preghiera cristiana

    Arma spirituale, si capisce: nel senso che, come insegnava padre Pio parafrasando Gesù, nel corso della tentazione (o, meglio ancora, per prevenirla) la preghiera del Rosario sarebbe un ritrovato di invincibile potenza. Ora, da qui a produrre delle corone per il rosario fatte di pallottole anziché di grani… ce ne passa. Il grave problema semantico-spirituale è che la preghiera non viene più concepita come invocazione alla divinità (eppure il Magistero non si stanca di ripetere che il Rosario è preghiera cristocentrica e teologica in quanto meditazione dei misteri di Cristo), bensì come strumento apotropaico contro le forze del male. Sembra di arrivare insomma al rovescio della profezia di Michea ripresa da Isaia: 

    E non c’è nulla di profetico, in questo: ciò è precisamente quanto che il già ricordato Caino riuscì a combinare da sé ed è ciò che la storia umana è solita chiamare con l’eufemistica perifrasi “sforzo bellico”. Al contrario, il mondo è pieno di campane ottenute dalla fusione votiva di obici marziali, e questa tras-formazione (laddove cioè a un oggetto viene cambiata la forma per risignificarne la materia) è un ben più efficace e meno ambiguo segno dell’anelito profetico. 

    Ci sono casi in cui tale trasformazione avviene solo parzialmente, per limiti dovuti a circostanze contingenti: capita a fagiolo la segnalazione che mi fa un’amica del quadro votivo conservato nella chiesa torinese di Madonna delle Rose (nella via ora omonima che un secolo fa si chiamava Corso Stupinigi). I soldati della Grande Guerra avevano dipinto quel quadro in trincea e gli avevano fatto una cornice con le pallottole date loro in dotazione. Non solo ciò significa “fare di necessità virtù”, ma in tutti i sensi sottrarre all’azione guerresca dei mezzi che per essa erano stati progettati. 

    L’esigenza della parola Evangelica, insomma, è quella che sempre deve veri-ficare la consistenza della religiosità umana e il superamento delle sue fasi di naturale paganesimo. Ettore ed Enea testimoniano – nero su bianco – che davvero alcuni uomini (indubbiamente sostenuti dalla Grazia) si erano spinti verso vette elevatissime pur senza disporre dei mezzi di salvezza ordinariamente dati ai cristiani. Cristo chiede di più perché infinitamente di più è quanto offre. Questa sua domanda ai propri discepoli attraversa tutti i secoli: 

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