Il Vangelo proclamato nell’odierna festività (Mt 16, 13-19), riporta la professione di fede di Pietro in un dialogo profondo e toccante, contrassegnato non da un vuoto e sterile sentimentalismo passeggero, ma da un’intimità di fede: “Tu sei il Cristo …; Tu sei Pietro”. La fede fa la differenza. Infatti, quando Pietro non pone ostacoli, accoglie la Rivelazione del Padre che lo porta a proclamare non solo che il Cristo è il Messia ma addirittura il Figlio di Dio. Però, appena Pietro si orienta al modo di pensare degli uomini e rifiuta l’annuncio della passione si sentirà dire: “Lungi da me satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mt 16, 23).
Perché? La risposta l’abbiamo leggendo i versetti immediatamente successivi: ” Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?” (Mt 16, 23-26).
Perciò la fede e la salvezza sembrano essere i concetti sui quali siamo chiamati a riflettere in questa festa che ci è data di celebrare nel nostro itinerario quaresimale di conversione. Ciò che è confermato dalla I Lettura (1 Pt 5, 1-4), dove si parla di testimonianza fedele alle sofferenze di Cristo e partecipazione alla gloria che deve manifestarsi.
Qual è il significato della festa odierna per la Chiesa?
Al centro di questo giorno, troviamo Cristo e non Pietro! E solo grazie a Cristo riusciamo a comprendere il significato della Cattedra, simbolo della potestà e della responsabilità di ogni Apostolo e dei loro successori come di Pietro e dei suoi successori al quale compete però uno compito unico.
Fu Pietro che espresse per primo, a nome degli Apostoli, la professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16). Questo è il compito di tutti i Successori di Pietro: essere la guida nella professione di fede in Cristo, il Figlio del Dio vivente. La Cattedra di Roma è anzitutto Cattedra di questo credo. Dall’alto di questa Cattedra il Vescovo di Roma è tenuto costantemente a ripetere che solo “Gesù è il Signore” (Rm 10, 9; 1 Cor 12, 3). Ai Corinzi, con particolare enfasi, disse: “Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra […] per noi c’è un solo Dio, il Padre […]; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1 Cor 8, 5). La Cattedra di Pietro obbliga coloro che ne sono i titolari a dire – come già fece Pietro in un momento di crisi dei discepoli – quando tanti volevano andarsene: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 68). Colui che siede sulla Cattedra di Pietro deve ricordare le parole che il Signore disse a Simon Pietro nell’ora dell’Ultima Cena: “… e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli …” (Lc 22, 32). Quindi a Pietro ed ai suoi successori è conferito il mandato fino alla fine dei tempi di essere sempre e comunque (opportune ed importune: 2 Tm 4, 2) testimone del Cristo risorto (1 Cor 15, 4).
Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà d’insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. Lo fece il Santo Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.
La Cattedra è – diciamolo ancora una volta – simbolo della potestà di insegnamento, che è una potestà di obbedienza e di servizio, affinché la Parola di Dio – la sua verità! – possa risplendere tra di noi, indicandoci la strada. Ma, parlando della Cattedra del Vescovo di Roma, come non ricordare le parole che Sant’Ignazio d’Antiochia scrisse ai Romani? Pietro, provenendo da Antiochia, sua prima sede, si diresse a Roma, sua sede definitiva. Una sede resa definitiva attraverso il martirio con cui legò per sempre la sua successione a Roma. Ignazio, da parte sua, restando Vescovo di Antiochia, era diretto verso il martirio che avrebbe dovuto subire in Roma. Nella sua lettera ai Romani si riferisce alla Chiesa di Roma come a “Colei che presiede nell’amore”, espressione assai significativa. Non sappiamo con certezza che cosa Ignazio avesse davvero in mente usando queste parole. Ma per l’antica Chiesa, la parola amore, agape, accennava al mistero dell’Eucaristia. In questo Mistero l’amore di Cristo si fa sempre tangibile in mezzo a noi. Qui, Egli si dona sempre di nuovo. Qui, Egli si fa trafiggere il cuore sempre di nuovo; qui, Egli mantiene la Sua promessa, la promessa che, dalla Croce, avrebbe attirato tutto a sé. Nell’Eucaristia, noi stessi impariamo l’amore di Cristo. E’ stato grazie a questo centro e cuore, grazie all’Eucaristia, che i martiri hanno versato il loro sangue ed i santi hanno vissuto, portando l’amore di Dio nel mondo in modi e in forme sempre nuove (cf Benedetto XVI, Omelia in occasione della presa di possesso della Cattedra, Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, 7-V-2005).
Cosa significa per noi oggi questa Festa?
Significa prima di tutto ripensare la nostra vita, la Parola, la vita dei martiri e dei santi, la vita della Chiesa in questo mondo, per recuperare il senso più vero e profondo del nostro essere e del nostro fare e questo per evitare di sprecare l’unica vita che abbiamo. Siamo oggi chiamati a recuperare il nostro essere pellegrini e smettere di comportarci da vagabondi. Oggi il Signore rivolge a ciascuno di noi, personalmente, la domanda “Voi chi dite che io sia?”. Ma ad ogni uomo la vita pone tante domande riguardo la sua origine, la sua fine, il perché del bene e del male. Alla fine dei conti tutte domande che manifestano l’eterno desiderio dell’uomo di fuggire le sue paure e soprattutto dalla paura estrema che è quella di non percepire più il senso della propria vita, quindi grida di salvezza dal non senso che solo Cristo può donarci.
Allora chiediamo al Signore in questa Festa che possiamo avere sempre l’onestà e la sincerità di Pietro per riconoscerlo come unico e vero Signore e Salvatore della nostra vita: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” e di fronte alle difficoltà di essere suoi discepoli, quindi persone veramente libere, di non scoraggiarci e di non lasciarci sedurre dalle mode effimere, ma di rispondere come lui “Signore da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna!”. In altre parole, chiediamo di scoprire che: UBI FIDES, IBI LIBERTAS! (sant’Ambrogio, Lettera 65, 5).
OREMUS PRO PONTIFICE NOSTRO
FRANCISCO
DOMINUS CONSERVET EUM
ET VIVIFICET EUM
ET BEATUM FACIAT EUM IN TERRA
ET NON TRADAT EUM
IN ANIMAM INIMICORUM EIUS
Preghiamo per il Papa
Francesco.
Il Signore Lo conservi, Gli doni vita e salute,
Lo renda felice sulla terra
e Lo preservi da ogni male.
Amen.