In un video di meno di tre minuti, un vescovo colombiano che ha lavorato per molti anni con Papa San Giovanni Paolo II in Vaticano ha offerto un esempio ammirevole di fiducia e abbandono alla volontà di Dio.
“Anch'io spero di poter dire: 'Signore, non preferisco né andare né restare, preferisco compiere la volontà di Dio', come ha detto l'apostolo Paolo ai Filippesi”. È una delle frasi toccanti registrate dal presule nella sua stanza della Clínica del Rosario di Medellín poco prima di essere sottoposto a un intervento chirurgico per la rimozione di un carcinoma al fegato.
Secondo un comunicato della diocesi di Garzón (municipio al centro del Paese), il presule 72enne è morto questo mercoledì per la mancanza di risposta del suo corpo all'intervento del venerdì precedente e ad altre complicazioni provocate dalla carenza epatica.
Senza mostrare segni di timore o impazienza, il vescovo ha espresso la gravità della sua situazione dicendo “Tutti necessariamente, che lo accettiamo o meno, dobbiamo morire”; “l'importante è assumere la realtà della morte”.
Il presule ha anche reso grazie a Dio per la serenità che gli donava e ha aggiunto: “Non è perché non sia consapevole della gravità del momento, ma confido in Dio che tutto andrà non come voglio io, ma come vuole Lui”.
Ecco il messaggio di monsignor Duque Jaramillo dalla clinica:
È il momento di vivere quello che ho predicato”
Padre Héctor Trujillo, vicario generale della diocesi, ha rivelato ad Aleteia che monsignor Duque Jaramillo era così preparato ad affrontare la sua partenza da aver lasciato pronto tutto quello che la riguardava. Aveva anche dato istruzioni precise per disporre le sue esequie nella cattedrale di San Michele Arcangelo a Garzón, dove verranno sepolti i suoi resti mortali.
Il vicario ha definito il vescovo “un uomo di Dio, molto intelligente e con il dono della parola, dal grande zelo apostolico e con un profondo amore per il suo ministero, che ha sempre predicato la croce, il dolore e la sofferenza”.
Venendo a conoscenza della sua diagnosi, ha aggiunto, fra' Fabio gli ha detto che per lui era terminato il sermone sul dolore ed era giunto il momento “di vivere sulla propria carne quello che aveva predicato. Da quel momento, ha assunto la realtà in tutta la sua completezza”.
Prima di entrare in sala operatoria, i due hanno parlato, e il vescovo ha detto molto sereno: “Se il Signore vuole che torni a Garzón lo farò, altrimenti farò la volontà di Dio”.
Un frate prima di tutto
Fabio Duque Jaramillo, entrato nel 1970 nell'Ordine dei Frati Minori, preferiva che lo chiamassero frate.
“Mi presento sempre ai fratelli dicendo che sono vescovo per caso e frate per vocazione. La chiamata del Signore nella mia vita è stata ad essere frate minore nella Chiesa, ovvero a vivere l'esperienza di Gesù sulla base della figura di San Francesco d'Assisi”.
“La mia esperienza come frate inizia quando mi rendo conto di chi sono e del fatto che ho bisongo che Gesù Cristo diventi carne nella mia vita. La prima anima che andava salvata era la mia, e non potevo salvare gli altri se prima non mi sentivo salvato io stesso”, ha affermato davanti ad altri sacerdoti della sua comunità nel video ricevuto da Aleteia.
“Poi sono arrivate molte esperienze, sono stato in varie parti del mondo. Ho lavorato per 15 anni con Papa Giovanni Paolo II in Vaticano, sempre come frate, vivendo in un convento e cercando di essere testimone della pace e del bene”.
Fra' Fabio, originario di Armenia (regione dell'Eje Cafetero), era laureato in Filosofia e Teologia e insegnava in vari seminari colombiani. Era considerato un'autorità in materia di Liturgia e Patristica. È stato presidente del Dipartamento di Liturgia della Conferenza Episcopale del suo Paese e ha ricoperto incarichi importanti presso il Pontificio Consiglio della Cultura, in cui è stato responsabile dell'area di Lingua Spagnola e Portoghese.
In rappresentanza del Vaticano ha partecipato a varie conferenze generali dell'UNESCO, ed era esperto di Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità.
Nella sua diocesi viene ricordato anche come grande promotore della causa di beatificazione di padre Pedro María Ramírez Ramos, noto come “Martire di Armero”. Come vescovo aveva partecipato alla cerimonia durante la quale Papa Francesco ha dichiarato beato questo sacerdote.
Oltre ai tre giorni di lutto decretati nella sua giurisdizione ecclesiastica, la Conferenza Episcopale ha lamentato la sua morte, ha inviato un sentito messaggio e ha ricordato il vescovo come “un uomo dal forte senso di servizio missionario e appassionato del tema della liturgia, il che gli ha permesso come presidente della Commissione Episcopale di Liturgia di offrire un grande apporto in questo campo alla Chiesa colombiana”.