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«Ho paura della morte», la risposta del teologo

GIRL, OPEN ARMS
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Toscana Oggi - pubblicato il 10/02/22
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«ho passato i 50 anni e ho un’atroce paura della morte. Amo la mia famiglia, non voglio un paradiso per contemplare Dio». La risposta del teologo: la speranza che la morte non annienti l'amore

Scrivo perché ho passato i 50 anni e ho un’atroce paura della morte, di cui ho avuto sempre paura. Amo la mia famiglia, adoro mia moglie e mia figlia. Ho paura di lasciarle e non rivederle più, di perdere gli abbracci di mia moglie e le sue carezze i suoi baci e i suoi affetti.
Non voglio un paradiso per contemplare Dio, io il paradiso l’ho qui sulla terra, del paradiso in cielo non mi interessa. Non ho la vostra fede, ho solo paura di perdere tutto e di trovare solamente il nulla perché di Dio e del paradiso non c'è prova certa.
Lettera firmata

Risponde padre Athos Turchi, docente di Filosofia

La veemenza dell’angoscia che esce dallo scritto fa pensare a una fobia profonda e radicata. È complicato «ragionare» quando dentro l’animo si agitano forze di tal genere, perciò la risposta è solo una riflessione su quello che di molto interessante dice il lettore.
La morte non fa parte dell’essere umano come tale, altrimenti non ne avremo paura, e quindi, per contrario, non siamo creati per morire. E allora: che cos’è la vita, il suo significato e la ragione per cui esistiamo? Lo scrive benissimo il lettore.

Dio non ci ha creati per un «fine» che sia diverso dalla nostra stessa e intima vita, non ci ha creati per andare in paradiso, o per amare Lui stesso, o per vivere con Lui (sennò non ci avrebbe fatti mortali). Queste sono conseguenze ed effetti dello scopo principale per cui ha creato l’essere umano. Dio fa «l’uomo» a sua immagine e somiglianza: Dio è amore e anche l’uomo è amore, e come Dio è ricco di «persone divine», così l’uomo è ricco di persone umane: l’uomo, la donna, i figli. Dio è uno e trino, e anche l’uomo è uno e maschile-femminile. Dio è vita d’amore di tre persone, l’uomo è vita d’amore di due persone maschile e femminile.

Dunque dire «essere umano» o dire «amore in natura» è la stessa cosa, natura che dobbiamo intendere come un unico «esser-amore» che vive della relazione tra «uomo e donna». L’essere umano è «unico» ma dentro di lui c’è la «vita», c’è una originaria e vivace vitalità che è data da due attori: l’uomo e la donna, al punto che si generano figli ad accrescere, di «vita abbondante», l’amore che, per le due persone, è l’unica natura umana essendo esse consustanziali. Dio crea l’uomo e la donna perché si amino e si amino profondamente con tutto loro stessi: questo è il vero e unico «scopo» per cui Dio crea l’uomo ed è il fine della creazione.

Così il lettore ha ragione di dire che il suo «paradiso» è qui sulla terra e lui l’ha trovato: Dio ha creato l’uomo a immagine di se stesso, perciò la vita d’amore che l’uomo e la donna vivono tra loro stessi è «Dio» stesso in forma analoga, relativa, similare ma pur sempre come un «piccolo-Dio». E come Dio è assoluto e non necessita di nient’altro oltre se stesso, così l’uomo ama la donna e la donna ama l’uomo, perché sono due forme-persone distinte dell’unica sostanza che è l’«amore» che li costituisce un «piccolo Assoluto» e non hanno altro scopo e fine che questo. Ripetiamolo: l’uomo – come Dio – è amore, e per questo è maschile e femminile e in se stesso è completo e perfetto.

E il lettore rivendica proprio ciò: sta vivendo quello che è lo stato massimo, perfettivo, pieno e totale dell’essere umano, cioè una vita nella pienezza d’amore tra lui, la moglie, la figlia. È uno stato che non richiede nient’altro, non Dio, non paradisi, non altri «extra», perché quello «status» è il luogo di Dio e del paradiso. Dio, per l’uomo che vive l’amore, non è più lì fuori ma è lo stesso senso della vita d’amore che l’uomo in quel momento attua: «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv. 4,16). Non c’è un Dio che è lì fuori, perché Egli è nella grazia di quella vita umanissima.

Qui si capisce la ragione per cui emerge profonda la paura della morte quale sbriciolamento di questo «status» perfettivo, come quando si vede arrivare da lontano una frana che distruggerà la nostra casa. Purtroppo il male e la morte entrarono in questo «originario stato d’amore» fin da Adamo ed Eva, retaggio che non possiamo annullare, se non appellandoci a quel Dio che prima era familiare dell’uomo e della donna (li andava a trovare ogni giorno nel pomeriggio, Gn.3,8), e dal quale, dopo il peccato, ci siamo allontanati e lo abbiamo perso di vista. Solo con l’Incarnazione abbiamo rivisto il suo volto. E questa è l’unica speranza che rimane al lettore di una salvezza eterna insieme alle amate moglie e figlia, nella vita nuova che avrà scaturigine dal cuore stesso di Dio che è l’«Amore».

Non so se il lettore di questi pensieri ne resterà consolato, tuttavia è bello sentire tutta la vertigine che una vita piena d’amore produce in un cuore umano capace di rendersi conto di quanto l’amore tra uomo e donna sia il vero e unico scopo dell’esistenza, e solo su questo terreno è possibile far crescere la pianta della vita che prende linfa dal cuore di Cristo, da cui scaturisce, anche, unica la speranza che la morte non annienta tale «amore» ma che sarà portato a pienezza quando rinascerà eterno nella casa di Dio.

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