Il sud del Venezuela è in fermento. Le violazioni dei diritti umani da parte della Guardia Nacional Bolivariana (GNB) e altri corpi di sicurezza dello Stato sono all'ordine del giorno. La violenza tra le forze ufficiali e i gruppi criminali legati al narcotraffico sembra non avere fine, e i massacri aumentano.
A questo si somma lo sfruttamento del cosiddetto Arco Minero de Orinoco, un progetto lanciato il 24 febbraio 2016 per estrarre oro, diamanti, coltan e altri minerali. I risultati sono stati catastrofici per la biodiversità e i “popoli originari”.
La situazione obbliga allo sfollamento degli indigeni, che separati dalle loro terre cercano di sopravvivere come meglio possono. Dal delta dell'Orinoco, emigrano lungo il fiume di fronte alla lotta diseguale dell'“uomo civilizzato” contro la natura, venendo espatriati dai loro spazi vitali.
Arrivando in luoghi ritenuti “sviluppati”, vengono emarginati perché non parlano spagnolo e i loro costumi sono diversi. Cercano tuttavia di adattarsi. A Cambalache, nel municipio Caroní dello Stato Bolívar, estraggono dalla discarica materiali da rivendere, mentre altri vivono di elemosina.
I più poveri tra i poveri
“Gli indigeni sono i più colpiti semplicemente perché non parlano spagnolo, e vedendosi costretti a fuggire dalle proprie terre si rifugiano in qualsiasi luogo senza sicurezza”, ha commentato ad Aleteia padre José Gregorio Salazar Monroy, che non nega la sua ascendenza waraos.
“Cadono sempre vittime di gruppi criminali che li costringono a subire estorsioni o li uccidono. Altre volte, come in questo caso, soffrono a causa dei corpi di sicurezza dello Stato”. Il 3 febbraio, ha riferito, la GNB ha aperto il fuoco contro delle imbarcazioni indigene.
“L'argomentazione era la confisca di materiali metallici che per i militari rappresentano presunto materiale strategico”, precisa il sacerdote e attivista per i diritti umani, assicurando che le informazioni ricevute dicono che “quei materiali erano di proprietà degli indigeni, perché loro lavorano con la spazzatura per poter sopravvivere”.
“Vedendo che la GNB aveva confiscato due imbarcazioni con i materiali metallici, le hanno seguite e recuperate con gli oggetti. I militari hanno quindi aperto il fuoco”.
Come risultato di questa violenza militare, quattro persone – tra cui due minorenni – sono rimaste ferite da armi da fuoco di alto calibro che le hanno colpite da imbarcazioni chiamate “Pirañas” con cui la GNB pattuglia il fiume Orinoco.
“Sono imbarcazioni equipaggiate con armamenti ad alto potenziale”, ha affermato il sacerdote.
Dei quattro feriti, tre sono tornati a casa dopo aver ricevuto assistenza, “ma un bambino di 12 anni ha una pallottola nello stomaco e dev'essere operato d'urgenza”.
Alcuni hanno denunciato anche la scomparsa di due bambini come conseguenza degli spari della GNB.
Consacrati per servire il prossimo
Il sacerdote spiega che anche se i fatti si sono svolti nella giurisdizione della parrocchia di Nostrra Signora di Fatima bisogna sempre offrire aiuto, “soprattutto quando si tratta di persone indigene, considerate dalla Chiesa i più poveri dei poveri”.
Alcune fotografie mostrano il soccorso offerto dal sacerdote a una giovane indigena rimasta ferita.
In varie occasioni, il presbitero ha consegnato a nome della Chiesa fondi ai centri medici della zona, che, ha detto ad Aleteia, “come in tutto il Venezuela non sfuggono alle calamità della crisi sanitaria”.
Con trent'anni di sacerdozio alle spalle, José Gregorio Salazar Monroy è parroco di Nostra Signora di Coromoto a Los Olivos di Puerto Ordaz, ed è noto come «El cura de Ciudad Guayana», diocesi a cui appartiene. È stato anche vice-segretario dell'episcopato venezuelano.