San Giuseppe patrono della “buona morte” ci ricorda che “la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Papa Francesco dedica la ventesima catechesi dell’udienza generale agli ultimi momenti di vita del padre terreno di Gesù, di cui nulla scrivono i Vangeli, ma che si pensa abbiano avuto l’amorevole assistenza della Vergine Maria e di Gesù, “prima che lasciasse la casa di Nazaret” e iniziasse la sua vita pubblica.
Sì alle cure palliative, no all’aiuto al suicidio
E sottolinea che dobbiamo essere grati alla medicina che attraverso le “cure palliative” aiuta a vivere l’ultimo tratto di strada “nella maniera più umana possibile”, ma non dobbiamo “confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano ad uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio”. E quindi “va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati”.
Benedetto XV: Giuseppe protettore dei moribondi
Il Papa ricorda che Papa Benedetto XV, un secolo fa, nel Motu proprio Bonum sane, del 1920, incoraggiava le pie pratiche in onore di San Giuseppe, attraverso il quale andiamo a Maria, e attraverso lei a Gesù, e ne raccomandava in particolare una: “Poiché Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli ‘della Buona Morte’, del ‘Transito di San Giuseppe’ e ‘per gli Agonizzanti’”.
Benedetto XVI “davanti alla porta oscura della morte”
E se qualcuno pensa “che questo linguaggio e questo tema siano solo un retaggio del passato”, ricorda che “il nostro rapporto con la morte non riguarda mai il passato, ma sempre il presente”. Francesco lascia il testo preparato per parlare di Papa Benedetto, il Pontefice emerito, che ha detto di se stesso “sono davanti alla porta oscura della morte”. E lo ringrazia per il bel consiglio e la lucidità. “Tutti noi - aggiunge - siamo in cammino verso quella porta “.
La cosiddetta cultura del “benessere” cerca di rimuovere la realtà della morte, ma in maniera drammatica la pandemia del coronavirus l’ha rimessa in evidenza. E’ stato terribile, la morte era dappertutto, e tanti fratelli e sorelle hanno perduto persone care senza poter stare vicino a loro, e questo ha reso la morte ancora più dura da accettare e da elaborare.
Staccando di nuovo gli occhi dal foglio, Papa Francesco ricorda il racconto di un'infermiera, che accudiva una nonna morente a causa del Covid-19.
Le disse: “Io vorrei salutare i miei, prima di andarmene”. E l’infermiera, coraggiosa, ha preso il telefonino e l’ha collegata. La tenerezza di quel congedo …
La fede aiuta ad affrontare la paura della morte
Il Pontefice sottolinea che oggi “si cerca in tutti i modi di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi così di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore”. Ma, ribadisce, “la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla”. E “viene dalla risurrezione di Cristo” la vera luce “che illumina il mistero della morte”. Ricorda che San Paolo, nella Lettera ai Corinzi, critica quanti dicono “che non esiste risurrezione dei morti”, affermando: “Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”.
La risurrezione di Cristo aiuta a guardare la vita con nuovi occhi
Così, ribadisce Papa Francesco, “solo dalla fede nella risurrezione noi possiamo affacciarci sull’abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura”. E possiamo pensare alla morte, illuminata dal mistero di Cristo, ci aiuta “a guardare con occhi nuovi tutta la vita”.
Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Ci andremo soli, senza niente nelle tasche del sudario: niente. Perché il sudario non ha tasche. Non ha senso accumulare se un giorno moriremo. Ciò che dobbiamo accumulare è la carità, è la capacità di condividere, di non restare indifferenti davanti ai bisogni degli altri. Oppure, che senso ha litigare con un fratello, con una sorella, con un amico, con un familiare, o con un fratello o una sorella nella fede se poi un giorno moriremo? Davanti alla morte tante questioni si ridimensionano. È bene morire riconciliati, senza lasciare rancori e senza rimpianti!
Immorale l’accanimento terapeutico
Se in Vangelo ci dice, prosegue il Papa, “che la morte arriva come un ladro”, per quanto noi tentiamo di volerla tenere sotto controllo, “magari programmando la nostra stessa morte”, rimane un evento con cui “dobbiamo fare i conti e davanti a cui fare anche delle scelte”. Due, sottolinea, sono le considerazioni “per noi cristiani”. La prima, affrontata anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica:
Non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico.
Accompagnare alla morte, non provocarla
Quanta saggezza, aggiunge Francesco, nella frase del popolo fedele di Dio: “lascialo morire in pace”. La seconda considerazione “riguarda invece la qualità della morte stessa, del dolore, della sofferenza”:
Dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette “cure palliative”, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano ad uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio.
La vita è un diritto, non la morte
Per questo “va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati”.
La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti.
Inumano accelerare la morte degli anziani con meno mezzi
Qui il Pontefice lascia il discorso preparato e aggiunge una sottolineatura su un “problema sociale”, l’ “accelerare la morte degli anziani”, soprattutto quelli con pochi mezzi economici:
Si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano: questo non è aiutarli, questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell’umanità: sono la nostra saggezza. E se non parlano, e se sono senza senso, ma sono il simbolo della saggezza umana. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino, perché l’inizio della vita e la fine è un mistero sempre, un mistero che va rispettato, accompagnato, curato. Amato.
La preghiera finale per gli agonizzanti e i loro familiari
Possa San Giuseppe, è la preghiera finale di Papa Francesco, “aiutarci a vivere il mistero della morte nel miglior modo possibile”. Per un cristiano “la buona morte è un’esperienza della misericordia di Dio, che si fa vicina a noi anche in quell’ultimo momento della nostra vita”. E ricorda che “anche nella preghiera dell’Ave Maria, noi preghiamo chiedendo alla Madonna di esserci vicini ‘nell’ora della nostra morte’”. Così chiede di pregare insieme “per gli agonizzanti” coloro “che stanno passando per questa porta oscura” e i familiari “che stanno vivendo un lutto”.