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Il calciatore che ha “coperto” tutta la schiena con un tatuaggio di Gesù

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 31/01/22
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“Qualcuno mi critica per quel tatuaggio, ma io sono un vero credente. Lo sono io, lo è la mia famiglia e anche mia moglie”, dice Pasquale Mazzocchi

Il calciatore con un mega tatuaggio di Gesù. Questa è la storia di Pasquale Mazzocchi, 26enne napoletano, ora in forza alla Salernitana. Un calciatore dal talento soprannaturale, che si è guadagnato la Serie A con sudore, sacrifici e volontà. 

Mazzocchi ama i tatuaggi. Identificano le cose a cui è più legato nella vita. E sulla schiena ha deciso di fare un mega tatuaggio: non ha scelto draghi o teschi, né frasi ad effetto, ma una splendida immagine di Gesù, con tanto di corona di spine a testimoniarne la sofferenza. Una sofferenza che il calciatore porta nel suo cuore per la perdita di un caro amico d’infanzia, scomparso troppo prematuramente, e che ha voluto affidare alla protezione celeste di Gesù.

Un sogno nato alla periferia di Napoli

Per questo calciatore la famiglia è tutto, a partire dalla moglie conosciuta da ragazzino nel quartiere e che non ha più lasciato. Mazzocchi è un ragazzo umile: è rimasto lo stesso e ogni volta che torna a Barra, nella periferia di Napoli, torna ad essere quel bambino che da lì è dovuto partire a 11 anni per inseguire un sogno. Il sogno lo ha realizzato, per la gioia di tutti: sua, della sua famiglia, dei suoi amici e di un intero quartiere, che oggi lo considera un esempio. 

La fede in famiglia

«Per me la fede è tutto - ha detto a Fan Page (ottobre 2021) -. Se non credi in Dio non credi in nulla. Qualcuno mi critica per quel tatuaggio, ma io sono un vero credente. Lo sono io, lo è la mia famiglia e anche mia moglie. Io rispetto tutti, ma mi aspetto che gli altri facciano lo stesso con me».

Il tatuaggio del bimbo sul cuore

Non solo il tatuaggio di Gesù: il calciatore della Salernitana ne ha anche un altro molto importante. E’ un bimbo che tatuato sul cuore. «E’ l’amico a cui ho dedicato il gol contro l’Empoli - ha spiegato il calciatore della Salernitana -. E’ un ragazzino con il quale sono cresciuto nel quartiere, eravamo inseparabili. Purtroppo, a 9 anni una meningite se l’è portato via e da allora non c’è giorno che non lo ricordi. Oggi spesso i giovani si chiamano “Fratello”, ma lui per me lo era davvero. E, quando è morto, con lui se n’è andata anche una parte di me. Sembrano frasi fatte, ma posso assicurare che non lo sono. E se ho intrapreso questa carriera lo devo anche a lui, perché sono sicuro che, in qualche modo, da lassù, mi ha dato il coraggio di lasciare tutto e trasferirmi a Benevento (dove la sua carriera da calciatore è svoltata ndr)».

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